All’altra estremità del campo.

Il 1967 è un anno molto importante per Xerra: in agosto partecipa con i piacentini Locatelli, Spagnoli e Vescovi alla prima edizione della manifestazione incontro Parole sui Muri, che si svolge nelle strade di Fiumalbo8, un piccolo centro dell’Appennino modenese, dove si incontrano artisti provenienti da tutto il mondo. Qui stringe un sodale rapporto d’amicizia con Adriano Spatola e Corrado Costa, che condivideranno con lui un lungo percorso, intrecciando assidue frequentazioni a iniziative e progetti. In questo periodo si intensificano i rapporti con il gruppo modenese, con Parmiggiani, Della Casa, Vaccari; sono gli anni del sodalizio con Locatelli e Vassalli, con i quali collabora alla redazione della rivista d’avanguardia “Ant Ed”9, della partecipazione a “Geiger”, l’antologia sperimentale curata da Adriano Spatola. In dicembre Xerra, Locatelli, Comini, Arcelli, Gorra e Spagnoli inaugurano a Piacenza il Centro di Documentazione Visiva10 che si apre con una mostra dedicata a Lucio Fontana. In questo clima si situa l’abbandono della pittura e l’inizio di un percorso segnato, nelle serigrafie, da una ricerca di un’apertura verso la semplificazione dei mezzi grafici e, nelle coeve sculture, dall’organizzazione dinamica dello spazio in dimensioni plastico-ambientali. Nelle serigrafie, realizzate con l’uso del solo retino senza l’intervento della pittura, come nel collage Evasione/spazio del 1967, Xerra elimina la materia pittorica, ma la sagoma, sebbene nettamente campita e tratteggiata in contorni ben delimitati, ha un’origine precisa, è la sintesi del viso, dell’urlo di quella figura impastata nei pigmenti cromatici delle tele realizzate intorno alla metà degli anni Sessanta, e in seguito trasmutata in sagoma nei cieli degli acrilici. Attraverso la composizione grafica e l’uso dei retini tipografici, gli elementi del racconto acrilico assurgono a simboli archetipi, l’ultima metamorfosi del corpo è l’astrazione della cavità esistenziale in forma di ellissi11. La contrapposizione tra questa sagoma scura e la superficie bianca raffigura l’opposizione spazio-tempo, secondo una peculiare trascrizione dell’astrazione analogica di Balla, riletta attraverso le più avvertite ricerche dell’arte programmata.
Nelle ultime serigrafie (S.t. 1967), inoltre, Xerra attua un’accorta riflessione sullo statuto della visione che incontra l’esperienza condotta in ambito minimal da Sol Lewitt, dimostrando, peraltro, un’attenta lettura della nuova grammatica del vedere. L’artista piacentino, infatti, del fondamentale contributo di Arnheim12 nel campo dell’interpretazione psicologica delle arti, approfondisce le note che riguardano il rapporto figura/sfondo, determinante nella percezione dello spazio. Comprende appieno che il rilevo in profondità della sagoma è rappresentato in superficie dai confini bidimensionali concavi o convessi, dai contorni ritagliati, che sono sì linee di demarcazione tra pieno e vuoto, ma in quanto componenti dell’articolazione dello spazio; tuttavia ancor più applica la teoria del rapporto figura/sfondo ai volumi tridimensionali, in particolare nelle sculture, improntate al principio di concavità e convessità. È un momento importante, di sintesi, un punto e a capo dell’esperienza di Xerra. A capo, infatti è il titolo del libro edito nel 1968 dalle edizioni “Geiger” con testo di Scalise, dove sono pubblicate alcune serigrafie. Alla fine degli anni Sessanta, tuttavia, è nelle sculture, esempio d’opera totale nell’accezione sostenuta da Spatola, che il gesto e il comportamento di Xerra, incluse l’installazione e la performance, divengono elementi essenziali del processo artistico, come bene evidenziano gli elementi mobili in serie presentati alla mostra Spazio negato del 1968 e le strutture modulari esposte a Valmanera nel 197013. Queste sculture si giustificano come presenza ambientale, palesano, infatti l’esigenza di trovare altri mezzi da quelli tradizionali del fare pittorico e la necessità di uscire dalla superficie bidimensionale, avvertite da Xerra in un confronto serrato con l’arte povera (in tale direzione va la scelta dei materiali) e con le proposte di un’arte di comportamento che sconfina nell’azione e coinvolge lo spettatore. Dopo le sculture, infatti, la ricerca si svolge da un lato alla progettazione d’ambienti e spazi abitabili, dall’altro alla decostruzione del linguaggio,
un percorso che conduce da un lato al Labirinto e all’altro agli Innesti. Il Labirinto è lo spazio di un’esperienza temporale, che prende le mosse da un’immagine antropomorfa, tale è la sagoma in materiale riflettente, che costituisce l’unità frazionata dell’ambiente abitabile. Per Vassalli14 Xerra è una “personalità spaziale” il cui punto di riferimento è Fontana. Se lo spazio di Piero è idealizzazione di uno spazio tridimensionale su misura per l’uomo, dopo la terza dimensione effettiva delle esperienze di Fontana si può procedere solo verso il recupero della quarta dimensione, e Xerra intende, proprio, fare rientrare il tempo in uno spazio suddiviso in moduli spaziali.

Nel 1968 Fontana, al quale Xerra guarda come a un maestro, realizza a Kassel un ambiente spaziale per Documenta 4, un labirinto bianco che conduce a un taglio, e include già la quarta dimensione ideale, e, due anni prima, alla XXXIII Biennale nell’ambiente ovale con edicole che accolgono tagli propone uno spazio labirintico e percorribile, ma il Labirinto di Xerra allude alla figura umana, benché frazionata, come misura dello spazio. Nelle sculture, nel Labirinto e nei libri-oggetto Xerra ripercorre un insolito cammino, quello che attraverso Fontana riconduce a Martini. Quest’ultimo considera, infatti, elementi essenziali dell’arte plastica i vuoti e i pieni: “concavi e convessi – scrive – sono in scultura negati alla costruzione perché privi di presa e di forza d’innesto… I vuoti sono come i ritagli che si fanno con le forbici nella carta, i pieni sono la sagoma che ne risulta”. Pensiamo al significato che l’antitetica giustapposizione tra il taglio e la sagoma, dalle serigrafie al libro-oggetto, al Labirinto assume nell’arte di Xerra, senza dimenticare che la tagliatura innesta l’urlo in una astrattizzata figura, che infine assume la funzione dello specchio. Il gesto di Fontana, segno di un’arte processuale che indaga il procedimento, rileva ancora tutta la sua efficacia nel taglio di Xerra, azione che, tuttavia, appartiene già a un’arte di comportamento, coinvolgendo l’astante. Per questo costruisce luoghi formati da superfici specchianti, ritagliate strutture sagomate in cui lo spettatore vede riflesso nell’acciaio speculare il proprio corpo parcellizzato. Il Labirinto non è semplicemente l’esito di una ricerca temporale aggiunta all’elemento spaziale, è un ambiente fortemente connotato in termini simbolici.

Le forme attive e sperimentali mediante le quali Xerra costruisce gli spazi si localizzano All’altra estremità del campo; così si intitola il libro-oggetto del 1970
in cartone bianco fustellato, realizzato mediante la combinazione di una serie di tagli attuati sulle pagine a formare sagome in modo tale che non vi sia alcun angolo retto. Il libro-oggetto e le tavole di Uno spazio dopo sono rigorosamente bianchi, una scelta che si inquadra
bene nella linea che dal Quadrato bianco su bianco di Malevič giunge al Libro bianco d’artista di Fontana. Nei testi poetici è interrogata la durezza del taglio che incide le pagine bianche di rigido cartone: lo spazio è “a misura di campo – per Albertazzi – bianco del bianco (…) in tagli-incastri che ruotano di 90 gradi in tutte le direzioni (…) combinazioni in una serie di tagli-sagome”. Celli nel bisturi che taglia al margine dei campi scorge l’uomo che taglia ricuce la natura a sua immagine, ma sa che “non è facile chiudere il profilo del (…) viso in un’iperbole”. La durezza del taglio conduce, dunque, ricorda Arrigo Lora Totino, all’altra estremità del campo, un campo aperto, come quello de La Rose, “summa poetica” di Porta che sonda i limiti del fare lirico16. Il taglio di Xerra, al di là degli evincenti nessi con le ricerche di Fontana, è, altresì, segno di una linea di confine fluttuante su cui indugia, borderline della pagina bianca nel libro-oggetto17. Il concetto di campo, infatti, che insistito ritorna in quest’ultima espressione della “personalità spaziale” di Xerra, deve essere inteso nelle molteplici accezioni che assume nei diversi ambiti, dalle teorie di Faraday e Maxwell al principio di relatività generale, dalla teoria del campo nella psicologia della forma di Lewin al campo semantico in linguistica. Il campo di Xerra è un luogo fisico e metaforico che sollecita la partecipazione dello spettatore, al quale l’artista affida la possibilità di orientarsi nella geometria topologica di un campo visivo e di consapevolezza.