Elogio della menzogna. Nella civiltà dell’edulcorazione a cui il sistema dell’arte non si sottrae, spesso più preoccupato di ricercare nuove strategie di marketing che contenuti, la provocazione arriva ancora una volta dalle ceneri degli anni ’70, culla di avanguardie che rivoluzionarono il concetto stesso di identità dell’oggetto d’arte. «Io Mento» è il manifesto paradossale di William Xerra, uno degli artisti italiani più significativi del periodo concettuale, cresciuto nell’alveo della cosiddetta poesia visiva, ricerca linguistica di matrice dadaista e che ha reinventato il confine tra parola e immagine. A Xerra, che ne rimase contaminato durante la frequentazione di poeti e intellettuali del Gruppo ’63 e che ha saputo sviluppare un percorso personalissimo, viene dedicata una raffinata mostra a cura di Roberto Borghi negli spazi di Artepensiero-eventi culturali (Via del Vecchio Politecnico 5). Un gruppo ben selezionato di opere ben fotografa la ricerca di questo artista nato a Firenze ma a cui Milano, patria della poesia visiva e concreta, deve moltissimo. Sono rappresentati i due nuclei fondamentali di un percorso iconografico sempre incentrato sull’azzeramento semantico dell’oggetto e dell’opera e su una nuova referenzialità, ai limiti della popo art, data agli scarti figurativi della quotidianità: ora un frammento di pittura antica acquistato sul banco di un rigattiere, ora una cartolina d’auguri un po’ kitsch, ora una fotografia d’epoca. Questi oggetti «sbagliati» vengono duchampianamente riqualificati dall’artista secondo un nuovo codice verbo-visuale in cui l’elemento linguistico assume un ruolo determinante. La parola “Vive”, utilizzata nell’accezione tipografica come ripensamento alla correzione di un errore testuale, è leitmotiv del ciclo degli anni ’70, inserita sulla tela, su un oggetto o su una vecchia foto. Pierre Restany, il grande padre del Nouveau Realismo recentemente scomparso e con cui Xerra ebbe un lungo sodalizio, spigava come alla «riabilitazione della cosa cancellata» corrisponda una motivazione umana molto precisa, un atto di volontà contro l’affermazione negata che corrisponde all’idea critica del rifiuto. «Applicando il criterio dell’arte e della poesia – sottolinea Roberto Borghi – l’errore può essere oggetto di ricordo, strumento di bellezza e fonte di significato.»

Il secondo nucleo, degli anni ’90 è legato all’assioma «Io Mento», manifesto critico dei processi mistificatori dell’arte contemporanea e della civiltà mediatici. Il binomio vero-falso rappresenta l’evoluzione del binomio corretto-sbagliato. La ricerca del senso autentico dell’opera d’arte viene provocatoriamente messa in atto dall’artista attraverso il disvelamento della menzogna. Xerra scrive nelle sue opere «Io Mento» in tutte le lingue, dall’inglese al greco allo swahili come a sottolineare un principio di falsità che è insito al comunicare stesso. «Scrivendo Io Mento – dice Borghi – Xerra ci spinge a domandarci qual’è la verità che stiamo negando, con un atto che non comporta alcun atteggiamento nichilista, nessun abbandono alle innumerevoli tragedia di cartapesta di una scena artistica sostanzialmente grottesca». Quella che è sotto gli occhi di tutti.


Mimmo Di Marzio

Il Giornale, 24 gennaio 2008

UN’ESPOSIZIONE APERTA AD «ARTEPENSIERO» FINO AL 20 FEBBRAIO


La poesia visiva di Xerra, l’arte del mentire