Possono uno stanzone o un sottoscala tornare a raccontare l’orrore di cui, in anni lontani, sono stati muti testimoni? A osservare le immagini di Paula Luttringer verrebbe da rispondere di sì. Di fronte a queste pareti squallide e scrostate, a questi luridi soffitti malamente illuminati da una gelida e fioca lampadina, si ha davvero l’impressione di intraudire l’eco dei gemiti, delle grida, dei respiri angosciosi che per un tempo interminabile hanno continuato a risuonare laggiù: come se le mura stesse avessero assorbito un tale carico di dolore da emettere pure loro una sorta di lamento. Nel 1977 la giovane Paula Luttringer, allora studentessa di botanica, venne per ben cinque mesi imprigionat
a e torturata in uno dei tanti centri di detenzione clandestina messi in piedi dai militari argentini negli anni della famigerata dittatura militare (1976-1983). Fuggita poi all’estero, Paula Luttringer è potuta tornare in patria solo nel 1992. Divenuta fotografa, ha dedicato buona parte del proprio lavoro artistico a una riflessione che incrocia la sua storia personale con quella dell’Argentina. Realizzato fra il 2000 e il 2006 El lamento de los muros è il frutto di una lunga ricerca che combina fotografia e testi brevi per rievocare – e nei limiti del possibile farci comprendere – l’indicibile condizione dei desaparecidos: un’esperienza talmente atroce, talmente disgregatrice della persona umana, che molti sopravvissuti non hanno trovato per
anni la capacità di raccontarla, ma neanche di lasciarsela alle spalle. Infatti – come spiega la stessa Luttringer – “basta un rumore, un odore, per farci ripiombare in un attimo nella situazione passata”. E poiché l’orrore di quanto avvenuto è talmente enorme da non potere certo essere restituito e testimoniato nella sua interezza, l’artista argentina ha scelto la via di concentrarsi solo su pochi, intensi, particolari: ha fotografato, ad anni di distanza, alcuni dettagli delle tante celle dove vennero rinchiuse e seviziate innumerevoli donne, e a ogni singola immagine ha accostato un ricordo scritto, una concisa testimonianza narrata in prima persona dalle prigioniere stesse. Frammenti di ricordi e scorci di luoghi finiscono così per rimandare drammaticamente gli uni agli altri e per creare uno effetto di intensificazione che ci fa percepire l’abisso in cui la dignità umana può essere fatta precipitare.


Gigliola Foschi

Storico e critico della fotografia

 

Paula Luttringer

El lamento de los muros