MENTO A QUEST’ORA

 
 
 

Mento a quest’ora


William Xerra nasce a Firenze nel 1937 e vive e lavora a Ziano Piacentino. Esordisce negli anni ’60 con opere informali, tra fumetto, arte meccanica e performances. Dal 1967 approda alla poesia visiva grazie al contratto col gruppo ’63, e questo particolare aspetto contraddistingue tutta la sua produzione successiva, fino a diventare un suo personale “marchio di fabbrica” all’interno del filone dell’arte concettuale.

Centrale nella sua poetica è il tema del frammento, iconografico ma soprattutto testuale, di parole scritte e stampate: raccogliere lacerti, brani, rime sparse, schegge di contesti differenti e ricomporli in un tutto diverso e inedito, non in funzione della malinconica nostalgia di un passato perduto, ma in vista di una reinterpretazione attiva, cosciente, pragmatica. È per questa ragione che, dal 1972 al 1990, molte sue opere sono riunite sotto l’etichetta VIVE, un’espressione tipografica con cui si indica in bozza ciò che, inizialmente cancellato, viene poi ricuperato: l’arte è strumento di ricupero di ciò che è normalmente considerato marginale, e che può invece contenere in sé una visione significativa della realtà. Le più recenti opere, esposte nella mostra da Derbylius, sono raccolte nella serie IO MENTO, di cui diamo di seguito alcune citazioni critiche di: Gillo Dorfles, Marco Senaldi, Aldo Tagliaferri, Roberto Borghi.

Gillo Dorfles:

Dalle cancellazioni alle riaffermazioni (“VIVE”); dalle invenzioni alle contraffazioni; Xerra ha sempre saputo mescolare l’autentico con il fittizio; i relitti gloriosi del passato con le improvvisazioni del presente,
usare l’elemento preso a prestito per costruire un originale che era tale solo per chi ne accettasse il compromesso.

Ecco, allora, che questo suo estremo manifesto “IO MENTO” non può stupire. Tanto affermazioni come “Mento sul mio perdono”; quanto quelle come “Mento sulla mia verità” sono autentiche. E non potremmo addirittura convenire che sono tutte sottoscrivibili? Almeno da chiunque abbia il coraggio di guardare in faccia l’epoca che attraversiamo: fatta di falsità e di falsificazioni sociali, politiche, religiose; eppure carica di fermenti che forse domani potranno contribuire alla realizzazione di opere non più menzognere; di opere che corrispondano – come quelle di Xerra – a una loro autonoma verità.

Marco Senaldi:

Che cosa dice l’enunciato io mento?

“È assolutamente falso rispondere a questo io mento che, se tu dici io mento, in questo dici la verità, e allora non menti, e così di seguito. È assolutamente chiaro che l’io mento, malgrado il suo paradosso, è perfettamente valido. Infatti, l’io che enuncia, l’io dell’enunciazione, non è lo stesso dell’io enunciato…” (Jacques Lacan, Analisi e verità, 1964).

Il “logo”
creativo che Xerra appone alle sue opere più recenti, IO MENTO, sembra andare nella stessa direzione designata con precisione da Lacan. Il problema non è infatti il paradosso, per cui, se uno sta dicendo il vero, allora effettivamente è bugiardo, ma se dice una bugia, dichiarando che “mente”, smentisce se stesso e afferma il vero… Il problema invece è quale “io” sta mentendo effettivamente, se il pronome contenuto nella frase o il soggetto che la dice – come chi, sottoposto a una minaccia, cerchi di dire la verità (“sono minacciato”) con le parole stesse con cui smentisce tutto (“no, va tutto benissimo, nessuno mi sta minacciando…”).

Nell’arte le cose vanno un po’ allo stesso modo: a dire “mento” è infatti in prima persona il quadro stesso, ma ciò significa che il vero e il falso non si affrontano più da contendenti, la loro inimicizia è già oggetto da cartolina-ricordo, giace sotto la stessa lastra di vetro, entro la stessa cornice, di un’arte che “parla da sé”, e che perciò, anche se mente (è illusoria, è un trompe l’oeil, eccetera) disegna il campo stesso di una Verità più sottile e più grande della semplice “esattezza”.

Aldo Tagliaferri:

Fingendosi rassegnato alla menzogna, come se, fuori dalla sua opera, qualcuno detenesse la verità e fosse quindi in grado di confutarlo, in realtà Xerra sa bene di trovarsi al sicuro, dato che egli si è trincerato in una posizione di estraneità rispetto alle dispute intorno al vero, pur provocandole. Nulla vieta che, giudicata in base a codici prestabiliti da centri di produzione e gestione di senso, l’opera venga interrogata secondo un rigoroso principio di adaequatio a un vero, ma questo è un problema del fruitore, dato che per Xerra, come per i suoi predecessori, il linguaggio non è in grado di risolvere un problema che esso pone, o costituisce in sé.

Roberto Borghi:

In arte non si falsifica più la realtà per trovarne il senso, ma la si abbellisce o la si peggiora solo per riscuotere un consenso da far valere sul mercato. Non può quindi sorprenderci che gli artisti trendy oggi utilizzino un linguaggio pubblicitario (e spesso, nelle strategie di affermazione dei loro “prodotti”, siano affiancati da pubblicitari che si improvvisano curatori, collezionisti e galleristi d’arte): l’importante è attirare l’attenzione, costruire scandali programmati a tavolino prendendo di mira argomenti di scottante attualità, su cui versare immancabili lacrime di coccodrillo. Questi artisti, secondo un’asserzione contenuta in una dei manifesti di William Xerra, “mentono sapendo di mentire”.

 

WILLIAM XERRA

mento a quest’ora

10 ottobre - 10 novembre

Derbylius

Libreria Galleria

Archivio Internazionale d’Arte

Via P. Custodi 16 – MILANO