WILLIAM XERRA

 
 
Gli inizi
Tracce del passaggio di Xerra – nato a Firenze e trasferitosi ben presto a Piacenza – si trovano in molte espressioni della ricerca artistica contemporanea a partire dalla prima metà degli anni Sessanta.
Anche nel periodo di esordio Xerra ama spostarsi attraverso le diverse tendenze pittoriche affermatesi in Italia nel decennio precedente. Da un’iniziale esplorazione delle possibilità di segno e materia, in prospettiva di un’uscita definitiva dall’informale, passa in pochi anni a una rappresentazione di estrema sintesi e, lambendo i territori della pop art, realizza nel 1966-67 una serie di opere sul tema dell’alienazione umana; sono dipinti ad acrilico che, seguendo un impianto narrativo a metà tra il fumetto e l’arte meccanica, hanno come protagonista un ominide sintetico spersonalizzato. È in queste opere che compare per la prima volta la parola scritta come elemento fondante e che ha inizio l’allontanamento progressivo ma deciso dell’artista dal mezzo pittorico.
L’incontro con la poesia
Nel 1967 Xerra incontra la poesia visiva grazie alla frequentazione di poeti e intellettuali maturati nell’ambito del Gruppo ’63. Inizia così la collaborazione con artisti che operano nel campo delle forme comprese tra scrittura e pittura: Emilio Villa, Corrado Costa, Adriano Spatola, Sebastiano Vassalli, Giorgio Celli, Cesare Greppi, Gianni Sassi, Franco Cavallo, Gregorio Scalise, Antonio Porta, Vincenzo Accame, Arrigo Lora-Totino, Lamberto Pignotti, Giuliano della Casa e altri.
In questo ambito Xerra partecipa a numerose mostre imperniate sul rapporto tra segno poetico e gesto pittorico, come le due rassegne “Parole sui muri” a Fiumalbo (Modena), che tra il ’67 e il ’69 rappresentano il principale appuntamento collettivo per i ricercatori della poesia visiva, concreta e sonora.
Nel medesimo periodo Xerra dà inizio all’attività editoriale che da quel momento in poi accompagnerà gran parte della sua produzione, talvolta come parte integrante e talaltra a complemento di eventi diversi. Compare così fra i fondatori della rivista “Ant Ed” e tra i collaboratori di “Antologia Geiger” (altro territorio franco della “poesia visiva” con partecipazioni di rilievo), in cui realizza interventi di natura sia poetica che pittorica.
Il lavoro di Xerra in campo editoriale va ulteriormente diviso in due momenti: un primo che lo vede partecipare alle pubblicazioni collettive, che nell’ambito della poesia visiva erano ovviamente piuttosto diffuse; un secondo momento in cui l’artista si propone come editore in proprio di pubblicazioni legate a determinati cicli di opere.
Un labirinto di forme
Nonostante l’importanza e il peso assegnato alla poesia visiva, la produzione artistica di Xerra tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta è, come sempre, diversificata su fronti diversi.
Dal ’68, in linea con le tendenze enviromental che si affermano definitivamente negli anni Settanta, si interessa al tema dello spazio e del rapporto spazio-uomo. È un lavoro – dai “fiori oggetto” al “passaporto per lo spazio” – che si svolge in continuo confronto con l’ambiente, sfruttando le possibilità costruttive di oggetti e forme paranaturali, oppure rievocando apertamente immagini simboliche come il labirinto.
Tra le mostre di questo periodo, incentrate sul tema dello spazio ambientale, sono da segnalare: “Proposte per una manifestazione incontro” alla Galleria d’Arte Contemporanea di Bologna e la personale alla Galleria 2000, sempre a Bologna. In particolare, nella personale alla Galleria Diagramma di Milano (di Luciano Inga Pin), presenta una cassetta di solidi da montare che costituiscono un po’ la summa della sua ricerca sulle forme e sulla costruzione degli ambienti “ad uso umano”.
Intanto sul versante della poesia visiva – una costante del lavoro di Xerra che fa da sfondo ai numerosi mutamenti intervenuti nella sua opera – partecipa all’“Expo internacional de novissima poesia” di Buenos Aires.
Buste, Flipper e Verifica
Il teatro delle forme impegna Xerra sino all’incontro determinante con l’arte concettuale, nel 1971.
Questo è l’anno delle Buste riflettenti, presentate per la prima volta alla rassegna “Prospettive 5” a Roma; ma è anche e soprattutto l’anno dell’incontro con il critico francese Pierre Restany, teorico del nouveau réalisme, con il quale Xerra inaugura un sodalizio intellettuale che prosegue tuttora. Con Restany inizia ad avventurarsi anche nell’ambito dell’happening e della performance. Nel 1972 partecipa all’“Operazione Vesuvio”, un’operazione articolata in due tempi che si compie sulle pendici del vulcano e poi con le testimonianze dell’happening esposte alla Galleria Il Centro nel capoluogo partenopeo.
Nello stesso anno, con Pari & Dispari di Reggio Emilia, Xerra realizza le Carte aggiornate (carte da gioco ridisegnate).
Del 1972 è anche l’intervento su una serie di Lapidi, prelevate direttamente dai camposanti, che saranno oggetto di una pubblicazione presentata al Salone di Basilea e di una mostra alla Galleria d’Arte Contemporanea di Bologna nel 1979 (“Ars combinatoria” a cura di Franco Solmi e Renato Barilli).
Le esperienze di questi anni sfociano in numerose iniziative tra cui quella alla Galerie Lara Vincy di Parigi; “Hors langage” a Nizza; la “Exposición exhaustiva de la nueva poesía” a Montevideo.
Ancora del 1972 – probabilmente l’anno più intenso e più ricco di novità del “primo” Xerra – l’operazione forse più completa tra le tante eseguite insieme al poeta Corrado Costa: tre “poemi-flipper” (Laocoonte, Lampone, Lavare) esposti allo Studio Santandrea di Milano. Si tratta di tre opere, ricavate da altrettanti flipper, nelle quali frasi e fenomeni hanno preso il posto dei bersagli che, colpiti dalla pallina di ferro, determinano lo score.
I “poemi-flipper” compariranno spesso nel percorso artistico di Xerra, fino alla biennale veneziana del 1993.
Il 26 ottobre del 1973 Xerra, in collaborazione con Pierre Restany, esegue a San Damiano di Piacenza la Verifica del miracolo. È un happening progettato su presunte apparizioni della Madonna – che richiamano pellegrini da tutta Europa – a un’anziana signora del posto. L’operazione viene filmata e fotografata, e la documentazione ottenuta costituisce materiale e oggetto di una serie di mostre successive (ad esempio “La metafisica del quotidiano”, nel 1979, alla Galleria d’arte Moderna di Bologna.)
Vive!
Nel 1975 la ricerca di Xerra si concentra sulle valenze testuali del segno pittorico: è questo l’anno in cui viene definitivamente implementato nella sua opera il logo tipografico del Vive, che lo accompagnerà per molti anni.
Il segno Vive, che aveva esordito senza seguito nel 1972, acquista notorietà internazionale nel ’75 e soprattutto con la mostra allo Studio Santandrea del ’76, tanto da identificate tout court l’opera di Xerra.
Insieme al Vive esordisce anche il Telaio interinale, che supporterà a fasi alterne le opere pittoriche dell’artista per altri vent’anni.
Nel medesimo periodo Xerra si interessa al video, come testimoniano le partecipazioni agli incontri internazionali “On Video” di Buenos Aires (replicati a Ferrara, Barcellona e Caracas) con filmati sulla Verifica e sulle Apparizioni, entrambi legati all’happening di San Damiano.
Tra il 1975 e il ’76 il Comune di Piacenza gli commissiona un monumento ai caduti della Resistenza. In questa occasione Xerra realizza una scultura ispirata al dolmen, forma archetipa legata al culto dei morti.
Dal Vive al ritorno alla pittura
Il Vive rappresenta il leit motiv dell’opera di Xerra nel periodo compreso fra il ’75 e l’80. L’operazione in certo senso più emblematica di questo periodo è il Percorso rituale nei Sassi di Matera. Si tratta di un itinerario compiuto fisicamente nel 1979, con i ritmi di una processione e l’accompagnamento di una piccola banda di paese, lasciando segni bianchi lungo il tragitto. la sequenza fotografica dell’evento costituisce il nocciolo della sua partecipazione a “Testuale”, la mostra dello stesso anno alla Rotonda di via Besana a Milano.
Vive è anche il tema di numerose altre mostre, tra cui quella al Mercato del Sale di Milano – sintesi di quanto sta avvenendo in campo mondiale nella poesia visiva e nella scrittura –, “Forma della scrittura” a Bologna, “Artwords and Book-works” a Los Angeles e “Parola-immagine” a Urbino.
Tra il ’77 e il 78 Xerra realizza il ciclo Idea di luogo fondato sulla trasfigurazione del tempo vissuto e dello spazio abitato, in una dimensione di alterità rispetto al semplice ricordo. Nel 1978 viene invitato da Restany a Venezia per “Revenice” a Palazzo Grassi, una mostra di interventi ambientali cui partecipa realizzando un’installazione e un video. Con il critico francese Xerra realizzerà ancora una performance nel 1980 alla Galleria di Porta Ticinese a Milano, Un alto muro di spine.
La performance rappresenta per Xerra tra il 1970 e i primo anni Ottanta, uno dei mezzi espressivi più congeniali che lo porta ad azioni rivolte all’ambiente, alla situazione sociale e politica, al confronto con la storia dell’arte.
All’inizio del nuovo decennio si verifica un deciso ritorno alla pittura. O meglio, alla gioia della pittura e del segno pittorico. L’artista non abbandona l’oggetto né l’azione pubblica, ma, contestualmente alle ondate neo-espressioniste e transavanguardiste che attraversano l’Europa e gli Stati Uniti, avverte l’esigenza di rituffare il pennello nel colore.
Malinconia
Nascono in questi anni alcune delle opere più felici di Xerra, spesso al di fuori del Telaio interinale e del segno Vive. Non si viene però meno, e anzi si rafforza, la presenza della scrittura nelle sue opere e la collaborazione con gli autori della poesia visiva.
Il momento è storicamente racchiuso nel ciclo intitolato Malinconia, nonostante l’uso della pittura sia tutt’altro che malinconico. In verità il termine sembra più che altro rivolto a un certo minimalismo espressivo di ascendenza letteraria, fondato sul sentimento del tempo e sui luoghi del raccoglimento.
Gli anni Ottanta si aprono anche con una settimana a Pavia di performances, serate letterarie e mostre sull’uso e sul concetto del Vive, cui partecipano una settantina di operatori visivi.
Nel 1980 Xerra realizza a Piacenza un intervento su un testo teatrale di Umbro Boccioni e nell’82 progetta un’opera, mai realizzata, composta da 13 televisori accesi con la parola Vive sul monitor per il Palazzo dei Diamanti di Ferrara.
Sono anni in cui Xerra passa agevolmente dalla scrittura al video, dalla fotografia alla poesia e alla pittura. espone un po’ ovunque e, nel 1981, viene invitato a “Linee della ricerca artistica in Italia 1960-1980” al Palazzo delle Esposizioni di Roma. Siamo alla vigilia di un altro cambiamento.
Il ritorno alla committenza
Il roboante decennio giunge verso la fine con Xerra occupato ad affrescare le stanze della sontuosa dimora di un principe a Gedda, in Arabia.
Nel frattempo la lunga frequentazione con la poesia visiva sfocia nella partecipazione a varie edizioni della rassegna “Milanopoesia” che si svolge nel capoluogo lombardo, sotto le cure del compianto Gianni Sassi, con la partecipazione di molti dei nomi più importanti della poesia e della scrittura-pittura internazionale.
Nel 1987 è invitato da Filiberto Menna alla mostra itinerante “Pittura-scrittura-pittura” accanto a maestri come Capogrossi, Twombly, Novelli, Mussio.
Nel 1988 l’artista viene invitato da Restany a partecipare alle “Olympiad of Art”, che si tengono al Museo d’Arte Contemporanea di Seul, insieme a Vedova, Burri, Gilardi, Rotella, Bertini, Perilli, Morrocco, tra gli altri.
L’affresco su committenza eseguito a Gedda non rimane un caso isolato, tant’è che all’inizio degli anni Novanta Xerra è impegnato a tracciare i suoi temi sui soffitti di una villa patrizia nelle campagna di Ascoli Piceno. È il ritorno a un gusto ambientale che si associa volentieri alla pittura e che si riflette, una volta rientrato in studio, nella realizzazione di opere di grande formato.
In questi ultimi anni le energie di Xerra sono assorbite anche dal design; progetta suppellettili d’uso comune e oggetti di arredamento che spesso richiamano talune costruzioni già ipotizzate nelle opere su telaio interinale. L’esperienza trova una sorta di sintesi nella partecipazione a una grande rassegna che si tiene nel tempio milanese del design domestico, il Centro Domus.
Alla base delle opere di questi anni recenti è l’insieme dei riferimenti più cari all’artista piacentino: il frammento, la parola, il suono, il segno, l’architettura che sorregge lo spazio vuoto della superficie. Il tutto votato al trionfo del gesto pittorico.

Eugenio Gazzola, 1995
(da William Xerra: La soglia del visibile, a cura di Aldo Tagliaferri, Ed Mazzotta, 1995)

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