Telaio interinale: il gesto dell’artefice e la trama relazionale della freccia

Nel 1975 il Vive trapassa dalla pagine stampata all’icona, è l’inizio dell’interinale e della poetica del frammento. Xerra ricupera frammenti di antichi dipinti, ritrovati in mercatini o presso rigattieri, raramente interviene su una tela per ricavarne frammenti. Nei primi Vive del 1975 il suo interesse si volge alla tela antica dalla quale si è staccato il dipinto, un’attenzione questa per la materia consunta che lascia intravedere la trama che non soltanto partecipa al recupero materico di Burri, ma accosta Xerra alle indagini sugli elementi minimi della pittura. La superficie, tuttavia, per il pittore piacentino non è astrazione del supporto, è traccia di una storia, tanto è che sovente il Vive riabilita dipinti oleografici, di maniera, finanche ingenue nature morte e modesti paesaggi, affastellati con disusati oggetti d’arredo e vecchie carte nelle bancarelle dei mercatini antiquari. Talvolta è un tessuto o un arazzo il materiale ricuperato; in quest’ultimo caso il frammento è riportato sulla tela, senza ulteriori interventi, e collocato al centro della superficie, che campisce quasi interamente. Ma è con il telaio interinale, una tecnica appresa da un amico rintelatore, che il frammento del dipinto antico, talora di indubbia qualità,
diviene la componente ragguardevole di una complessa impaginazione. Il gesto di Xerra, in questo caso, non è che in parte riconducibile al reperto casuale di oggetti, ricomposti o accumulati nel Merzbild o Merzbau di Schwitters, o alla modificazione e trasformazione dei materiali eterogenei nei collage di Ernst. Il recupero che contrassegna, dai ready-made di Duchamp ai combines di Rauschenberg, ai décollage e compressioni dei Nouveaux Réalistes, tanta parte dell’arte del Novecento, non comprende nell’opera di Xerra una declinazione antifigurativa. Il frammento, di contro, diviene l’elemento di un racconto, la cui struttura attinge alla memoria di immagini, motivi, “invenzioni”, storie e temi accumulati nei sedimenti custoditi dei ricordi visivi della storia dell’arte. Nei telai interinali (i primi sono del 1975) il frammento è impaginato in una composizione regolata da pochi elementi, dislocato su una pittura monocroma e di superficie che lascia trapelare la trama della tela. Il VIVE traguarda l’orizzonte semantico del racconto, di cui il frammento è il soggetto tanto convenzionale quanto intrinseco, inserito in una composizione, la cui mobilità spaziale38 è regolata dalla freccia. Quest’ultima assume, infatti, un significato profondo: indica qualcosa che non c’è o qualcosa che non c’è più e porta in primo piano il tema delle assenze. Ma quale è il valore simbolico che regola l’interpretazione della storia, dell’evento affiorante dal mondo delle immagini la cui mancanza è additata? Se la freccia di Isgrò tiene conto del pensiero di Bense, della psicologia della Gestalt, e come le cancellature
segnala un’assenza, in Xerra la freccia, segno grafico dell’affermazione negata, indica che la parte mancante, quella riabilitata col Vive, è la narrazione, il racconto. Della stampa antica The Apostle Paul and Lydia rimane visibile soltanto il bordo inferiore, mentre a matita è tracciato il contorno della parte lacunosa, dove ha luogo la storia dell’incontro tra Paolo e Lidia, la commerciante di porpora della città di Tiatira, narrata negli Atti degli Apostoli (XVI, 13-14), ed è questo vuoto che la freccia indica, è questa assenza che il Vive riabilita. Nel disegno come nel telaio interinale il frammento è dislocato al margine della superficie, sospeso entro una stesura bianco o monocroma mentre una differente
cromia campisce il bordo superiore della composizione. È da questo orlo, da questa cornice interna al quadro, che la freccia segnala il vuoto, fulcro della discorsività. Xerra sviluppa questo tema in Vergine e Santo del 1977, due dipinti che idealmente compongono un’unica opera; nel primo vi è il frammento di un santo vescovo, con buona probabilità facente parte di una pala d’altare della fine del
XVII secolo di scuola settentrionale emiliana o lombarda, nell’altro il disegno delle medesima figura. Uno studio per questa opera è intitolato “tu racconti la stessa storia”, un altro disegno riporta la scritta “santo che osserva qualcosa che sta per accadere”, e nel dipinto Santo leggiamo “se non sbaglio dicevi di parlarmi a quattr’occhi di una certa persona”: questa figura di santo
è familiare alla nostra memoria, pensiamo alla pala di Santa Cristina al Tiverone di Lotto, alla Madonna in trono e Santi del Romanino, già nella chiesa di Santa Giustina, o alla pala di San Lorenzo Giustiniani del Pordenone, per ricordare opere di artisti cari a Xerra. I dipinti del Lotto e del Romanino sono esempi di un tema iconografico cristiano,
la Sacra Conversazione, che si afferma nella prima metà del XV secolo, ma incontra particolare fortuna nella pittura veneta fra la fine del XV e la prima metà del XVI secolo. Il santo sovente reca in mano un cartiglio sul quale è collocata una scritta, oppure un libro aperto e, con lo sguardo rivolto verso lo spettatore, addita la Madonna con il bambino. È la parte mancante di un quadro che affascina Xerra, quel vuoto è uno stimolo per reinventare la composizione, alludere idealmente a una immagine aperta alle interpretazioni dello spettatore. L’artista piacentino, infatti, invita chi osserva il quadro al piacere della lettura, una lettura additiva, e lo stimola a ricomporre la storia, a entrare nel meccanismo di costruzione dell’opera. Il Vive, che può essere “riferito ad una Madonna, ad un angioletto, ad una nuvola, ad un tabernacolo”, sottolinea questa intesa, ma è la freccia ad additare l’ipotesi della composizione rivelando gli attributi dell’indice puntato. La freccia, infatti, mette in figura la funzione del santo ammonitore che interpella lo spettatore, designa dunque lo spazio intorno all’opera e allude al colloquio muto dei personaggi in relazione tra loro tramite atteggiamenti e gesti. Xerra porta in primo piano il dialogo che ha luogo all’interno del dipinto tra un personaggio e l’altro: Vergine e Santo costruiscono, infatti, idealmente un trittico di cui è assente la tavola centrale, qui ha luogo la sto
ria, l’evento che sta per accadere raccontato e osservato dal santo. È questa parte riabilitata che la freccia invita a ripensare; la freccia, nell’opera di Xerra svolge, dunque, il ruolo dell’indice puntato40, arricchendosi di un valore simbolico quale indigidazione del sacro. Idealmente quella che Xerra consegna alla nostra attenzione è, infine, una Sacra Conversazione: accostando i due dipinti le figure del santo, dipinto e disegnato, si dislocano ai margini della composizione e al centro emerge uno spazio non campito, quello dove convenzionalmente è rappresentata la Madonna col bambino verso la quale convergono gli sguardi dei santi nella sacre conversazioni. Ai due dipinti si ricollega Di una certa questione, un’opera a collage del 1978, dove ritorna lo stesso disegno del santo, ma la freccia di ferro esce dai limiti del quadro.
In queste operere di Xerra la freccia segnala, dunque, lo spazio vuoto della manifestazione del divino, è, in qualche misura, una trascrizione dell’indice puntato, il gesto che è l’attributo di San Giovanni Battista raffigurato nelle Sacre Conversazioni, da quella di Perugino alla Pala Ansidei di Raffaello, dove sovente è rappresentato
con lo sguardo rivolto verso lo spettatore nell’atto di indicare la verità del verbo incarnato, così, ad esempio, nella Sacra Conversazione per Santa Lucia de’ Magnoli di Domenico Veneziano o nella Madonna e quattro santi di Filippino Lippi.
Gli anni Settanta sono caratterizzati dalla verifica
della rappresentazione, dalle investigazioni linguistiche che pongono in primo piano la questione dell’iconismo, e dalla crisi del referenzialismo, che rileva come arbitrario ogni rapporto tra segno e referente. La ricerca, invece che nella relazione verticale tra i segni e la cose, si assesta in una successione orizzontale, in cui ciascun segno ne traduce un altro e funziona da interpretante. Xerra in Vergine e Santo attua una profonda riflessione sul tema della rappresentazione: intende che la trama dei gesti è possibile soltanto nell’unità spaziale della prospettiva unicentrica, che il gesto del Battista si disegna nella diagonale, la linea propria dello spazio prospettico, che l’indigidazione è, dunque, una pratica di ordine spaziale. E tale è la funzione che assume la freccia nella composizione pittorica di Xerra. Ma quale è il significato del gesto del Battista? Non descrive un affetto, non designa una passione, non è signum harpocraticum, non ammonisce, designa una relazione anaforica, è la congiuntura del sistema ternario dei segni: questo intende Xerra. Quale evento sta osservando il santo, di quale verità “se non sbaglio dicevi di parlarmi a quattr’occhi…”? Del sistema ternario dei segni, della invisibilità del logos, della barra del diagramma di Saussure, della rappresentazione prospettica? Sembrerebbe di sì. Xerra, dunque, da un lato attua un complesso lavoro di decostruzione dei linguaggi, dall’altro intraprende una strada, quella della ricerca iconologia, come logica della produzione d’immagine, dove l’iconografia prende il posto della figurazione, un tema che sarà affrontato soltanto alla Biennale del 1984, che segna il passaggio dall’uso dei materiali all’immagine che caratterizza molte ricerche degli ultimi decenni.