OTELLO, a Torino diretta TV

otello-5.jpg 

Una cosa che mi è particolarmente piaciuta è che sull’Otello si è aperta una discussione vera. Ha cominciato Lomi con le sue critiche motivate, e vi sono stati interventi successivi che cercavano di dimostrare apprezzamenti diversi con altrettanto diverse motivazioni. Posso cercare di esprimere anch’io il mio parere, anche se, confesso, generalmente all’ascolto di un’opera io mi preparo per tempo, e cerco di capire il senso della interpretazione che viene proposta, attraverso una miglior conoscenza del contesto storico in cui l’opera è nata, attraverso il significato delle diverse produzioni storicamente determinate. Non credo alle interpretazioni assolute, alle interpretazioni cosiddette di riferimento. Per l’Otello ho qualche difficoltà, ma mi ci proverò.

L’Otello che ha dominato la scena negli ultimi quarant’anni è l’Otello impersonato da Del Monaco prima e da Domingo poi. È l’Otello cosiddetto “verdiano”. È l’Otello che porta nella gelosia lo stesso impeto che ha portato nelle battaglie vittoriose. L’Otello dell’“Esultate” è lo stesso di quello che canta “Sogni di gloria”, o anche il “Niun mi tema”, dove la consapevolezza della sconfitta e quindi il desiderio di punirsi supera in forza espressiva l’intimo profondo dolore par aver provocato la morte, e quindi il distacco definitivo della donna amata. In questo contesto il duetto d’amore si colloca quasi come una parentesi.

Ma è solo questa la possibile interpretazione di Otello? Non esistono in lui dubbi, lacerazioni interiori, espressioni di sofferenza che non si collochino sempre e necessariamente nel terrore dell’onore calpestato, ma invece anche nella paura di perdere la donna amata, nel dolore di vedersela sottrarre, lui un “diverso”, da un elegante damerino: sensibilità di maschio, sensibilità di uomo o, perché no, sensibilità di “diverso”? Il duetto d’amore è solo una parentesi o è la vera discoperta della sua sensibilità che starà per essere travolta da “veleno” che lavora?…

A me sembra che questo secondo modo di vedere la figura di Otello non sia in contraddizione con la musica di Verdi, molto ricca di cambiamenti di timbro (o di “tinta”), e sia più vicina alla figura shakespeariana. Credo che questo intendessero dire quelli che parlavano di Otello ad una dimensione: cioè un Otello preda della gelosia e del furore che la gelosia gli provoca. Ma la gelosia è un sentimento complesso, caratterizzato dal confluire di tanti altri elementi (amore, onore, paura, vergogna, etc.). La gelosia provoca anche dolore, espressione di amore che si sente minacciato. E il dolore non si manifesta solo come furore. Forse in questo secondo senso l’interpretazione di Cura andrebbe vista, anche se certe gestualità effettivamente mi sono sembrate un po’ sopra le righe.

Non liquiderei come ha fatto Lomi questo Otello di Cura, più problematico, maggiormente sfaccettato di quello tradizionale, mi sembra. Quindi me è sembrato giusto dare più risalto ai toni medi, piuttosto che alle impennate. E la voce mi è sembrata bella, quella del Cura che ho sentito in Gioconda, fatto salvo il problema della riproduzione del suono (vedi più sotto). E in questo penso che la regia di Olmi lo abbia favorito. Olmi non è regista che ami dipingere sentimenti violenti, tali da assorbire il comportamento di un personaggio, ma cerca di scavare più a fondo, alla ricerca delle possibili variazioni sul tema.

Per Desdemona il discorso è meno complesso. Anche in Shakespeare Desdemona è una figura fragile e incapace di realizzare con determinazione e sagacia ciò che gli sta avvenendo intorno. Non c’è combattività in lei: qualcuno l’ha paragonata a Mimi, a Cio cio san, o addirittura a Melisande. In questo senso la Desdemona verdiana e quella shakespeariana sono molto vicine. Anche a me è sembrato che la Frittoli non esprimesse al meglio queste caratteristiche, pur essendo la sua voce sicuramente bella. Nel duetto d’amore mi è sembrata più controparte che coprotagonista.

La figura di Jago. La voce di Raimondi è quella che è, ma Verdi non pretendeva un gran voce per questo personaggio. In una lettera dice addirittura che non è necessario che canti (contrapponendolo a Otello, che invece deve cantare, eccome!). Verdi si è soprattutto preoccupato di cogliere la doppiezza del personaggio, l’intrico di sentimenti che lo guidano a colpire Otello, che non sono solo (come sembrerebbe dal libretto di Boito) dovuti all’ira per la mancata promozione, ma forse ancora di più all’invidia, all’odio verso il “diverso”. Ma al di là di una voce decisamente appannata (e questo non sarebbe un guaio maggiore), l’interpretazione di Raimondi mi è sembrata da una parte troppo cattiva, dall’altra troppo poco ambigua, troppo poco insinuante. Credo che qui si possa veramente parlare di Jago ad una dimensione. Fatte salve le differenze (enormi), tuttavia questo Jago mi è sembrato più vicino al Barnaba della Gioconda che al personaggio shakespeariano, più mattatore che burattinaio.

La regia. Non sono d’accordo con Giampaolo quando dice che dal piccolo schermo si possa giudicare la regia (se intendiamo come regia tutto il complesso di scenografia, costumi, gestualità, colori, sapori etc.) A teatro tu sposti gli occhi come ritieni opportuno per seguire gli eventi sul palcoscenico, e il regista teatrale ti suggerisce lui come dove e quando spostare gli occhi. E lo spostamento degli occhi è fondamentale per mantenere l’unita auditiva-visiva necessaria nella fruizione dell’opera. Sullo schermo è il regista televisivo che guida lo spostamento degli occhi. È quindi lui il mediatore fra il regista teatrale e la tua recettività. In un film o in uno spettacolo ricostruito con accorto montaggio, il regista televisivo studia come realizzare al meglio questa mediazione. In una diretta questa mediazione mi sembra che non possa essere che approssimativa, certamente non meditata. Il regista televisivo è quella stessa Manuela Crivelli che aveva diretto il Don Giovanni di Ferrara (ma in quella occasione non si trattava di una diretta), e che in molti articoli su questo NG ho sentito elogiare grandemente.

Certamente quello che ho trovato del tutto fuori luogo, almeno così mi è sembrato, è stata la gestione del suono. È saltato qualsiasi bilanciamento fra orchestra e voci. Sembrava di essere in un ambiente con una pessima acustica. Non conosco l’acustica del regio di Torino, ma penso che l’acustica dell’ambiente centri relativamente con la resa sonora fatta attraverso la trasmissione microfonica dei suoni. Questa per me è stata un vero disastro, che, ovviamente ha avuto conseguenze non piccole. A me è parso di capire che analoga impressione l’abbiano ricevuta Riccardo (dice: “le condizioni d’ascolto non erano un granché”) e Lucio (“Le condizioni tecniche in cui l’ho ascoltata… non erano delle migliori”). Ma oltre a questo, ero in contatto con un amico che ha subito notato anche lui che da punto di vista sonoro le cose non andavano per il verso giusto. Alla fine del secondo atto poi, si sono addirittura sentite interferenze di voci di servizio!

Ho parlato di questo prima di esprimermi su direzione ed orchestra, proprio perché questa insufficienza mi ha messo in difficoltà ad apprezzare i Berliner e Abbado. Pur tuttavia, al di là di quel fastidioso “velo” a me è parso che l’orchestra esprimesse un suono bellissimo, capace di dare risalto ai sentimenti sia quando raddoppiava le voci (per esempio nell’aria della gelosia), sia quando le contrappuntava, con uso eccezionale del legni alti, vere frecciate di fuoco quando era necessario.

La direzione di Abbado mi è sembrata coerente con la regia di Olmi. Scarsa retorica, più evidenza alle sfumature di sentimento. Il duetto d’amore mi è piaciuto moltissimo, sia musicalmente che registicamente,  e a me è sembrato veramente il perno psicologico dell’opera (non l’“Esultate!”), quello dal cui tutte le vicende successive procedono.

I costumi. Non so perché Lomi insista nel trovarli brutti, più da ambiente tirolese che da Isola di Cipro. Erano costumi tradizionali: costumi guerreschi negli uomini, costumi di foggia islamica nella popolazione.

Infine il presentatore. Certamente molto meglio di quei pellegrini della Boheme del centenario, ma anche lui non ha brillato in modo eccelso, soprattutto quando cercava di ricostruire la storia dell’Otello. La chicca che mi è sembrata più divertente è quando ha spiegato che Boito amava le parole strane da inserire nel libretto. Prima gli stava scappando: “parole che solo lui conosce” (?!), poi si è immediatamente corretto accorgendosi che la stava dicendo grossa. Ma la pezza è stata peggiore del buco: infatti ci ha raccontato che Boito ha girato il “tutto il mondo” per cercare queste parole. Forse sarebbe stato sufficiente che avesse girato l’Italia, o forse, meglio ancora, la propria biblioteca.

Scrivi un commento