FIDELIO, alla Scala

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Scrivo queste note ancora sotto l’emozione di avere assistito ad uno spettacolo bellissimo, emozionante, entusiasmante. Dopo aver visto il Fidelio non sono certo portato a fare polemiche. Ma via via, nello sviluppo del discorso, mi pare giusto fare riferimento ad alcuni post di NGisti che hanno visto (o sentito per radio) lo spettacolo prima di me.

 Prima di tutto ribadisco che questo spettacolo mi ha profondamente coinvolto, emozionato e commosso. Beethoven è stato il mio primo grande amore. All’età di 17 anni, fa una formidabile presa la forza dei sentimenti che escono dalle sue composizioni, e devo dire che, consapevolmente o no, questa presa mi ha accompagnato tutta la vita. Venerdì sera ho sentito rifiorire in me questa forza, questa passione. Beethoven sa parlare alla parte più nobile dell’uomo, la sa convincere, la sa esaltare. E Muti, con tutto il suo cast, cantanti orchestra e coro, ha preso il messaggio di Beethoven e l’ha trasmesso forte e chiaro. E così io l’ho recepito.

Per questi motivi ho trovato strani, o meglio ancora, deludenti i post di quegli amici che hanno preferito scegliere la via delle critiche a questo o quell’aspetto, trascurando di parlare di ciò che hanno sentito, capito, sofferto dallo spettacolo nella sua globalità. Quasi che si siano recati allo spettacolo non per ricevere sensazioni, per ascoltare Beethoven, per cercare di capire il suo messaggio, ma per giudicare questo o quel particolare. Che lo faccia un critico professionista, è comprensibile, è il suo mestiere. Ma lo spettatore, credo, prima di tutto assiste allo spettacolo per trarne motivi di gratificazione. Se le performance sono tali da negare la gratificazione, allora la critica è giusta e doverosa. Ma se piccoli “errori”, o manchevolezze sono tali da non pesare negativamente sul risultato finale, e sulla gratificazione che ne deriva, allora la ricerca degli “errori” finisce di avere il sapore più di saccenteria che altro. Quello cui io mi attengo è di dire le mie impressioni (e in parte ho già fatto), e di cercare di spiegarle, a me prima ancora che agli altri, sulla base degli episodi che più mi hanno impressionato (e cercherò di farlo qui di seguito).

Mi sembra quindi importante dire anzitutto qualche cosa sull’opera, anche se è perfettamente conosciuta dai più. Qual’è il messaggio che ho inteso e ricevuto? Quello della libertà “personale” come attributo dell’uomo giusto e retto, che si manifesta prima di tutto come libertà interiore, e che deve, come atto di giustizia, coincidere con la libertà fisica. E questo diventa possibile attraverso l’amore. Questi tre principi, libertà, giustizia e amore hanno ragione della malvagità, che posta con sé invece oppressione, ingiustizia, odio. È un messaggio universale, di grandissima purezza, di una grande idealismo, e di grande forza.

Florestano è un uomo giusto e retto, e quindi libero interiormente. Dice “Docilmente sopporto ogni dolore, finisco miseramente il mio cammino. Dolce conforto nel mio cuore: ho fatto il mio dovere!”. Ma libertà interiore e libertà fisica in Florestano non coincidono a causa della malvagità, dell’ingiustizia, dell’odio. Ecco che interviene la forza dell’amore, impersonata da Leonora, che farà in modo che la giustizia, impersonata dal ministro (o deus ex-machina) possa ristabilire il giusto rapporto.  Ecco i tra grandi attributi dell’uomo che si intrecciano per raggiungere il fine superiore: l’uomo nella sua pienezza. Le interpretazioni recenti, di natura “politica”, fatte dall’establishment politico, o da critici in cerca di pubblicità snaturano e sviliscono questo splendido messaggio.

Questo splendido messaggio, in perfetta sintonia con l’evento drammatico, è espresso dalla musica di Beethoven. Quell’intreccio continuo di forza e di dolcezza, espresso già nelle prime battute dell’ouverture, dove l’impeto dei primi accordi a tutta orchestra è seguito immediatamente dal dolcissimo ingresso dei corni, dà il carattere di ciò che Beethoven vuole esprimere. I corni, con il loro timbro, bellissimo, capace di evocare reminiscenze di cose lontane, sentimenti, spazi infiniti di libertà, nel Fidelio hanno un ruolo di grande importanza. Così li ritroviamo in dialogo con il soprano, sottoforma di terzetto, nella grande aria di Leonora “Abscheulicher”, Anche qui essi evocano un sentimento struggente di pietà, di ricordi e di speranze: “Vieni speranza, non far impallidire l’ultima stella a me affranta, illumina la mia meta, se pur si lontana, l’amore la raggiungerà”. Occorre dire che i corni dell’orchestra scaligera sono stati meravigliosi, sia come timbro sonoro, che come precisione degli attacchi, che come intonazione.

La struttura drammaturgica. Fidelio è un dramma che rispetta in modo sostanziale, non certo burocratico, i canoni aristotelici: unità di azione, di tempo e di luogo. Sulle ultime due non c’è da dire nulla. Sono sotto gli occhi di tutti. L’azione è una sola e sviluppata in modo magistrale, molto concentrato.  Nel primo atto viene descritto l’ambiente, vengono presentati i caratteri, e vengono poste le premesse per lo svolgimento e la risoluzione del dramma con l’arrivo di Pizarro e il manifestarsi delle sue intenzioni omicide. L’ingresso di quest’ultimo è preceduto da una sgangherata marcetta militare che immette immediatamente nel clima di tragedia che seguirà. Sarebbe interessante qui il confronto con il Leonora del 1804, che consisteva di tre atti (in tal modo diluendo la fase preparatoria) e nel quale la marcia d’ingresso di Pizarro era molto più anonima, e quindi meno eloquente. Nel secondo atto il dramma raggiunge il suo climax, il punto nodale dell’azione si svolge sul palcoscenico nel corso di un drammaticissimo quartetto, in cui la musica descrive con estrema forza i contrastanti sentimenti dei protagonisti. C’è un improvviso e brevissimo allentarsi delle tensione, per lasciar posto allo dolcezza dei sentimenti, subito dopo l’acuto, l’urlo di rivelazione di Leonora, e l’attonito stupore di Florestano, messo molto bene in evidenza da Muti (il tempo fisico qui magicamente diventa tempo interiore). Ma subito dopo c’è un parossistico aumento della tensione, che porta ai drammatici accordi di chiusura, mentre Pizarro e Rocco escono precipitosamente. Ecco qui c’è un colpo di regia, sia scenica che musicale, formidabile, che a me ha provocato estrema emozione. Dopo gli accordi c’è una specie di congelamento della durata di alcuni secondi (o forse ore?, non so l’animo rimane in una sorta di sospensione). Silenzio assoluto; immobilità dei personaggi, Leonora e Florestano; poi poche parole scambiate sottovoce, come un sussurro; e finalmente la gioia liberatoria del bellissimo duetto “O namenlose Freude“. Tutto questo è grande teatro. Come dopo ogni climax di grande tensione, ci è lo scioglimento, in clima di sauvetage.

Altri due momenti di intensa commozione, per me sono stati quando il ministro ordina dapprima a Rocco di sciogliere le catene di Florestano, poi cambia idea e dà l’incarico a Leonora, a colei che col suo amore ha fatto trionfare la giustizia. Anche qui uno splendido colpo di regia: Leonora canta il breve duetto con Florestano scivolando sotto le catene che legano le braccia del marito, quasi fondendosi col corpo di quest’ultimo all’interno delle catene. Rappresentazione fisica della completa fusione fra libertà e amore.  E poi, ancora, intensa emozione quando, guidata da una musica estremamente eloquente, Leonora sciolte le catene al marito le getta a terra con un colpo di rabbia liberatoria, e dà così inizio al coro finale di grande gioia. Per me trattenere l’emozione è stato praticamente impossibile. Devo aggiungere una cosa. Queste sensazioni mi sono mancate nell’ascolto radiofonico. Certo, la musica di Beethoven, la magistrale direzione di Muti, la bravura degli interpreti si potevano apprezzare, ma l’emozione!… Una volta di più occorre riconoscere che l’opera è un fatto teatrale, e che essere goduta appieno in tutte le sue potenzialità deve essere vista a teatro.

Su regia e interpretazione credo di avere detto le cose mi hanno più colpito. La scenografia è stata buona, senza tuttavia suggerire delle grandi novità. Una cosa sola mi ha dato un lieve senso di fastidio. Herzog ha voluto aggiungere al dramma una interpretazione di tipo politico-sociale che, secondo me, secoondoo meee eh, è estranea. Parlo del sapore di fabbrica abbandonata che, con l’aggiunta di alcuni particolari, viene dato al carcere. E parlo soprattutto dell’inizio del secondo atto, dove compaiono alcuni mimi vestiti da operai, minatori, o qualche cosa del genere, che si arrampicano sulla scena per mettere in funzione un grosso macchinario che solleva la gabbia dove è tenuto prigioniero Florestano. Ecco, questa messa in scena non si sposa con la musica. La musica ha un sapore molto diverso che ci porta immediatamente alle sofferenze interiori dell’uomo. È una musica triste, quasi funebre, e comunque espressione di disperazione.  Questo particolare lo cito, perché ha avuto lo sgradevole compito di distrarmi da una musica che invece è meravigliosa, e che deve concentrare l’attenzione sulle sofferenze interiori di Florestano.

Per il resto che dire? Muti è stato grande. Ha condotto l’orchestra che si è espressa con grandissima eloquenza, sottolineando tutti gli aspetti, di forza, di dolcezza, di ansia, di liberazione che la musica di Beethoven descrive. Come ho detto all’inizio, ho risentito le emozioni che Beethoven mi ha fatto vivere nella mia adolescenza. In particolare torno a sottolineare la prestazione splendida dei corni nei loro numerosi interventi.

Gli interpreti. Sono stati tutti bravissimi. Hanno veramente recitato la loro parte. Forse di qualcuno si poteva dire che poteva fare di più, poteva fare meglio, che il ruolo non era proprio quello adatto ai suoi mezzi. È possibile. La filosofia del più uno è insita in tutte le manifestazioni umane. Ma, ci insegna Shakespeare, non c’è peggior nemico del bene che il meglio. E allora? Tutti a puntar l’indice contro la Meier (Vinix, che delusione avresti avuto a vederla conciata in quel modo!) perché non ha una estensione sufficiente? Bene, e io dico, davanti a una prestazione che mi ha così emozionato: c_h_i_s_e_n_e_f_r_e_g_a!!! Brava Waltraude!

Vedi foto di scena

4 Commenti a “FIDELIO, alla Scala”

  1. Carlo scrive:

    Buongiorno, sono un ricercatore di Storia del Teatro e sto lavorando a una ricerca sulle messe in scena di Fidelio. Sarei interessato a vedere le foto di scena della rappresentazione di Herzog, di cui ho trovato pochissimi materiali fotografici. Purtroppo il link a questa pagina non mi riporta ad alcun file.
    Grazie, Carlo

  2. Rudy scrive:

    Prima di tutto chiedo scusa per il ritardo nella risposta. Sono diversi giorni che non controllo il sito, e quindi ho letto la richiesta solo in questo momento. Ho visto infatti che il link “Vedi foto di scena” non porta da nessuna parte. Il Link era collegato alle foto di scena pubblicate dal sito scaligero che, evidentemente sono state eliminate. vedrò di riuscire a recuperarle. Mi farò vivo.
    Grazie per l’intervento e un saluto.

  3. Rudy scrive:

    La ricerca è stata più rapida del previsto. Se ora clicchi su “Vedi foto di scena” alla fine dell’articolo, vedrai comparire una serie di fotografie del Fidelio con la regia di Herzog rappresentato al teatro alla Scala nel dicembre 1999. Ciao e scusami per il doppio inconveniente.
    Rudy

  4. Carlo scrive:

    grazie! immagini molto belle.
    Un saluto,
    Carlo

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