Ancora sull’Otello di Firenze.

Ritorno su questa esecuzione poiché ho avuto occasione di vederne la registrazione fattane da arte. Non ho visto la rappresentazione teatrale, ma ho seguito le critiche, tutte o quasi molto negative sulla regia, e in genere molto tiepide sulla parte musicale.

Il mezzo televisivo a volte può essere utilizzato per esprimere al meglio le intenzioni del regista, mediante il ricorso a primi piani, a dissolvenze, a movimentazioni delle scene che, ovviamente, la visione diretta del palcoscenico non consente.

Occorre anche rilevare che in altre occasioni queste tecniche, o artifici, possono stravolgere e rovinare il quadro del palcoscenico.

La ripresa televisiva dell’Otello a me è piaciuta molto, e in particolare mi è piaciuta proprio la regia di Dodin.

Da quello che ho potuto capire Dodin ha interpretato l’Otello in chiave di tragedia greca, evincendone alcuni aspetti caratteristici.

Anzitutto la netta distinzione fra coro (e altri protagonisti minori) e protagonisti maggiori. I primi rispondono ad una sostanziale immobilità, e ciò (come nella tragedia greca) esalta il ruolo primario dei tre protagonisti maggiori.

Un altro aspetto (che è dello stesso segno del precedente) sono i costumi: solo Otello (vestito di rosso, tranne l’ultima scena) e Desdemona (vestita di bianco) si staccano dagli altri, tutti vestiti di nero. Il color nero dei costumi, riduce anche la visibilità del coro, che si confonde con uno sfondo di tonalità scura.

Un appunto particolare va fatto al personaggio di Otello, che nel video appare senza il rituale color scuro della faccia: personalmente pensavo fosse stata una scelta registica, mentre mi è stato riferito che si è trattato di una scelta “tecnica”. Scelta registica o tecnica, non importa: il suo viso naturale, e non ridicolmente impiastricciato con quella specie di lucido da scarpe, mi è parsa una cosa molto elegante: Otello è prima di tutto un uomo, e il fatto che venga definito “moro”, ha ben poco a che fare con la tragedia; è solo un artificio ambientale che può essere benissimo ignorato.

La scenografia: semplicissima, come è costume di Dodin. Essa richiama l’ambiente e lo spirito della tragedia greca con uno sfondo uniforme scuro (un muro? una parete?, dal video non si capisce bene) percorso da figurazioni geometriche sempre variabili, che possono richiamare Mondrian, ma che richiamano anche le decorazioni caratteristiche del periodo arcaico della civiltà greca. E infatti analoghe decorazioni le troviamo sui costumi indossati da Otello.

Io credo che questo tipo di impostazione si adatti molto bene alla tragedia verdiano-shakespeariana, il cui processo drammaturgico è sì dovuto alla malvagità di Jago (malvagità più pura in Verdi che in Shakespeare), ma proprio per la natura ingiustificata e irrisolta della malvagità di Jago, essa può essere identificata con Fato e con la sua mancanza di sentimenti, di comprensione, insomma di umanità.

Vedi ad esempio nel secondo e nel terzo atto le movenze di Jago e quelle relative di Otello: Jago appare veramente come un grosso ragno che sta avviluppando nella sua rete (ragna, la definisce il Boito) la mosca ingenua e catturata. Scene molto belle ed efficaci, con splendidi piani sequenza di un Guelfi troneggiante, nero, sulla scena, e un Otello rosso, rannicchiato, perso nelle trame malvagie di Jago (o del Fato), incapace di far altro se non dibattersi e quindi rendere ancora più ferrea la sua prigionia.

Nella scenografia, come dicevo, assolutamente povera (direi, priva) di arredi, dall’inizio del secondo atto troneggia al centro del palcoscenico il letto nuziale: Mi sembra che questa sia un po’ la chiave di lettura. Tutto gira intorno a questo “strumento” della ineluttabilità del Fato; sarà spesso in primo piano con frequenti allusioni al suo ruolo centrale nella tragedia: il luogo dove Desdemona sarà sacrificata.

Questa logica di porre al centro di una scena altrimenti spoglia, l’elemento chiave della tragedia, lo vidi già nel Mazepa scaligero, sempre con la regia di Dodin. In quel caso l’arredo determinante al centro della scena era un grande palco, che nei diversi atti svolgeva diverse funzioni, ma che poi alla fine del secondo atto rivelava la sua vera natura come palco delle esecuzioni dei nemici della atman ucraino.

Sulla esecuzione musicale, premesso che ogni registrazione non dà il senso reale che si avverte in teatro, devo dire che mi è piaciuta.

La direzione di Mehta dà il senso della tragedia, così come i cantanti lo interpretano. Galouzine sa cantare molto bene, anche se il timbro della sua voce io lo trovo sgradevole; a volte forse tende ad andare un po’ troppo sopra le righe. Ottima mi è sembrata la Frittoli. In particolare nella canzone del salice mi è sembrata incarnare una enorme sofferenza, anche nella espressione del volto, nelle sue contrazioni, nell’uso singhiozzante della voce, soprattutto nei pianissimi “filati”… Ottimo, direi a tratti grande Carlo Guelfi, uno Jago implacabile, ineluttabile, il Fato divenuto persona.

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