ARIODANTE, (DVD diretto da Bolton e CD diretto da Minkowski)

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Lungo la mia lenta, ma costante (e cocciuta) strada alla ricerca di Handel, mi sono imbattuto nell’Ariodante. Ne possiedo due esecuzioni: una diretta da Minkowski, live da Palais Garnier con Les musiciens, e una diretta da Bolton al Coliseum di Londra con l’orchestra dell’ENO, in video (rifacimento in studio, tuttavia). A differenza di altre sue opere che ho ascoltato, questa, pur essendo anch’essa molto lunga (sono quasi tre ore di musica), non mi ha lasciato quel senso di noia che di solito lamentavo. Forse sta maturando dentro di me una migliore comprensione del Sassone? Non lo posso ancora dire, tuttavia posso provare ad analizzare gli aspetti che in questa opera mi sono parsi più interessanti.

Come è noto l’opera racconta un episodio tratto dall’Orlando Furioso, quello descritto dall’Ariosto nel Quinto Canto: l’inganno che Polinesso, il duca d’Albania, trama ai danni di Ariodante, per fargli credere che la sua innamorata Ginevra, figlia del re di Scozia, lo tradisca.

In primo luogo la drammaturgia.

L’opera ha recitativi molto brevi, e quindi le arie (e la loro espressione) non appaiono come interruzione dell’azione sviluppata nei recitativi, ma seguono e si identificano con essa in modo pressoché continuo.

Una cosa da sottolineare è che nell’opera gli eventi, i fatti non avvengono al di fuori e quindi narrati, ma avvengono sulla scena: la seduzione di Dalinda da parte di Polinesso, la preparazione dell’inganno,  la sua messa in atto, il tentato assassinio di Dalinda e la sua liberazione da parte di Ariodante,  il duello fra Lurcanio e Polinesso con l’uccisione di quest’ultimo, il ritorno di Ariodante.

Drammaturgiamente è interessante osservare il diverso ruolo svolto dai tre atti.

Il primo atto ha una tinta luminosa, solare. Vi prevale l’espressione dei sentimenti amorosi, la speranza della loro soddisfazione, le arie hanno un tono di felicità. A questo fa da contraltare la oscura preparazione dell’inganno.

Il secondo atto è notturno, l’atto in cui l’inganno riuscito provoca nei personaggi positivi (Ariodante, il Re, Ginevra) profondo dolore, e cui fa da contraltare la ingenua gioia di Dalinda che crede di avere conquistato il cuore di Polinesso, e la gioia feroce di quest’ultimo, che vede liberarsi la strada delle proprie ambizioni.

Il terzo è l’atto conclusivo in cui tutti i sentimenti maturati nel primo e nel secondo, attraverso il conflitto inevitabile, trovano la loro conclusione nel lieto fine.

In questo modo la scansione formale degli eventi riesce a provocare nell’ascoltatore un senso di tensione e di aspettativa.

La musica.

L’unità portante dell’opera è sempre l’aria con il da capo, inframmezzata da recitativi secchi. Come si è detto questi ultimi sono in genere piuttosto brevi. Le arie hanno lunghezza e colore diverso, con notevole varietà e buona coerenza con gli eventi in corso. Le arie virtuosistiche non sono molte. Due sono dedica ad Ariodante: una nel primo atto che esprime la gioia per l’imminente matrimonio, l’altra nel terzo dopo che egli ha scoperto l’inganno in cui e caduto, e la fedeltà di Ginevra. Le altre sono più o meno distribuite fra i vari personaggi.

Assieme alle arie, in quest’opera c’è una certa abbondanza di altre forme: vi sono quattro duetti, due importanti interventi del coro, alcuni ariosi, due cavatine, un recitativo accompagnato, alcune sinfonie e diversi balletti. Tutto questo dà varietà, vivacità e continuità all’opera.

Secondo il mio gusto, trovo che le arie del secondo atto siano fra le più belle. Il dolore di Ariodante alla scoperta del supposto tradimento è espresso da un’aria lunga e bellissima “Scherza infida”, cui la strumentazione, dominata dal cantabile intervento del fagotto, attribuisce un pathos del tutto particolare. Questa è preceduta da un’altra aria, “Tu, preparati a morire” in cui vi è una netta contrapposizione di umore fra le parti A e la parte B, “Se la bella m’ha ingannato”, la quale esprime, in contrasto con il tono di minaccia della sezione A, un dolore che risuonerà in tutta la sua ampiezza in “Scherza infida”. Episodio molto bello, per me forse il più bello di tutta l’opera.

Anche altre arie del secondo atto mi sono sembrate particolarmente belle. Le due arie di Ginevra: la prima “Mi palpita il core”, nella quale la principessa non sa ancora ma sospetta qualche cosa, è breve e con un ritmo staccato, esitante; l’altra, “Il mio crudel martoro”, che segue il grande recitativo accompagnato, è più estesa e delirante, e porterà poi alla sequenza dei balletti del sogno. L’aria di trionfo di Polinesso “Se l’inganno sortisce felice” è pure molto bella, feroce nel suo tono, ricca di vocalizzi discendenti che ne accentuano il contrasto con le arie di dolore che dominano nell’atto. E poi l’aria di Dalinda “Se tanto piace al cor”, che spera di aver conquistato il cuore di Polinesso, è composta su un ritmo cullante, quasi di barcarola.

Anche nel terzo atto vi sono episodi molto belli, come l’Aria di addio del Re alla figlia, “Al sen ti stringo e parto”, alla quale la strumentazione dominata dai flauti dà un sapore struggente, subito dopo la bella aria di addio di Ginevra. In quest’atto vi sono due duetti, entrambi molto belli: il duetto fra Lurcanio e Dalinda, e il duetto finale Ariodante-Ginevra che si conclude con un lungo e intervento del coro e con relativi balletti. Pure molto bella ho trovato l’aria virtuosistica di Ariodante “Dopo notte atra e funesta” nella quale i vocalizzi ben richiamano il ricordo delle traversie trascorse.

Meno calzante, direi più tradizionale mi è perso il primo atto, nel quale l’episodio che più mi ha interessato è il duetto “interrotto” fra Ariodante e Ginevra. Questa interruzione avviene un po’ di sorpresa e dà un sapore quasi di anticipazione agli eventi che seguiranno. Probabilmente, per l’epoca, questa deve essere stata una soluzione da considerarsi “audace”.

Molte altre cose si potrebbero dire, ma credo che sia necessario spendere qualche parola sulle esecuzioni.

Minkowski. Molto bella. Pur senza la parte visiva, dà con molta chiarezza il contenuto drammaturgico dell’opera, con una interpretazione asciutta, essenziale, direi.

Il video nell’esecuzione di Bolton è diretto da David Alden, lo stesso che ha curato la regia del Rinaldo, di cui tempo fa ho scritto su questo Blog.

A differenza del Rinaldo, qui la regia, pur essendo non convenzionale, non è dissacrante. Al contrario tende a valorizzare l’erompere dei sentimenti, e soprattutto la drammaturgia dell’assieme.

La scena è costituita da un ambiente chiuso (non manca un senso claustrofobico, che la vicenda sembra richiamare), variamente, ma sobriamente, direi simbolicamente arredato a seconda del luogo (palazzo del re, giardino davanti agli appartamenti di Ginevra, prigione, bosco, etc). Sul fondo si apre una grande finestra, o apertura attraverso la quale si vedono volta volta panorami di varia natura (montagne in un chiaro giorno, o paesaggi notturni dominati dalla luna, o una parete di mattoni crudi quando si tratta della prigione, etc.), dalla quale entrano personaggi e soprattutto il coro e i danzatori nei balletti.

Nel primo atto prevalgono le scene luminose della scoperta dell’amore, contrastate tuttavia dalle scene oscure in cui Polinesso e Dalinda tramano il complotto. Nel secondo atto prevalgono gli ambienti scuri, notturni, nei quali il dolore trova espressione. Nel terzo atto prevalgono gli aspetti violenti: nella prima scena, quella nella quale Ariodante si salva dal mare, e Dalinda viene da lui salvata dalle grinfie dei due sicari, domina il campo un gigantesco tritacarne dal quale i due personaggi fuoriescono a salvamento. La scena del duello è illuminata dalle luccicanti armature dei contendenti. La prigionia di Ginevra è truce, la principessa viene legata ad un palo orizzontale, con pesanti e vistose corde, quasi come una selvaggina.

In questa impostazione generale vi sono richiami simbolici molto eloquenti. Le scene che hanno a che fare con il tranello sono scure e dietro i personaggi (soprattutto Polinesso e Dalinda) compare un effetto a specchio, per cui i personaggi raddoppiano.

Altra caratteristica della regia è la forte tensione erotica che viene portata alla luce nel rapporto Polinesso Dalinda. Polinesso in questa esecuzione è un contraltista, Christopher Robson, che pur col timbro non gradevole dei falsettisti, canta e recita molto bene, esprimendo il carattere erotico-violento del personaggio sia con il canto, sia con le movenze corporee e le espressioni del viso. Non da meno è la sua partner Dalinda, il soprano Lesley Garrett, soprattutto nel primo e nel secondo atto. Erotismo che viene esaltato ancor più nella prima scena di Dalinda con Lurcanio, nella quale sovrasta l’ombra di Polinesso verso il quale sono chiaramente indirizzate le movenze erotiche della donna. Erotismo domina anche il sonno di Ginevra alla fine del secondo atto, nel balletto che descrive il sogno di quest’ultima.

Meno convincente mi è parso invece Ariodante, interpretato da Ann Murray. Il personaggio descritto da Handel è certamente un personaggio debole, che non ha nulla di eroico, certo. Ma l’interpretazione della Murray ne fa emergere eccessivamente il lato femminile, sia nelle movenze, sia nel canto. I personaggi del Re (Gwynne Howell) e di Ginevra (Joan Rodgers) rispettano in modo abbastanza fedele le didascalie.

In una vicenda che praticamente si colloca al di fuori del tempo (dovrebbe essere medioevale, ai tempi di Carlo Magno) i costumi sono quanto mai fantasiosi. A volte sono strettamente medioevali, come le armature dei duellanti, a volte simulano gli abiti settecenteschi, ma anche cinquecenteschi o seicenteschi, o anche ottocenteschi; altre volte non offrono alcun riferimento temporale. Il tutto per dare un’impressione di un ambientazione storica, ma temporalmente non definita.

Ai balletti è riservata la parte più grottesca e ironica: personaggi che sembrano richiamare la commedia dell’arte, ma in abiti più macilenti, fantasiosi, e con movenze bizzarre, e spesso con un ammiccamento erotico.

Il confronto con l’esecuzione diretta da Minkowski ovviamente non è possibile. Questa è un’esecuzione registrata dal vivo per radio (quindi senza la parte visuale). Quella è una realizzazione in studio derivata dalla rappresentazione al Coliseum di Londra.

Quello che si può rimarcare sono le scelte dei cantanti: Minkowski utilizza, nei ruoli opportuni, solo cantanti di sesso femminile en travesti (Ariodante è la von Otter, Polinesso Patricia Petibon), mentre Bolton, come si è visto, nella parte di Polinesso utilizza un contraltista (da notare che nella prima rappresentazione nel 1735 a Londra Handel aveva affidato questo ruolo ad una donna, mentre il ruolo di Ariodante era ricoperto da un castrato, Giovanni Carestini).

Altri interpreti utilizzati da Minkowski sono Laura Claycomb come Ginevra, Silvia Tro Santafè come Dalinda, Kristinn Sigmundson come Re.

Come conclusione devo ammettere che questa opera di Handel ha attirato il mio interesse più della altre che finora ho conosciuto. E se faccio una rapidissima carrellata storica, devo dire che nel lungo itinerario che separa l’Agrippina dall’Ariodante, attraverso il Giulio Cesare, mi sembra che l’attenzione di Handel per l’espressione drammaturgica sia nettamente cresciuta, offrendo nel 1735 un lavoro ricco di implicazioni interessanti.

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