LES DIALOGUES DES CARMÉLITES, alla Scala – Ripresa

 arcimboldidialogues2.jpg

Avevo già visto questo spettacolo alla Scala nel 2000, e ne ero rimasto 
affascinato: per l’opera nel suo insieme, per il libretto (e la pièce di 
Bernanos da cui è tratto), per la musica, per il canto, per la regia, 
per la direzione orchestrale… Tutto mi era parso eccitante, 
stimolante, materia di riflessione in più direzioni.

Allora scrissi un post nel quale cercavo di mettere sulla carta alcune 
delle considerazioni che la visione dell’opera mi aveva consentito di 
fare. 
Ne riporto il link per chi le volesse (ri)leggere.

Quello che scrissi allora sull’opera è ancora del tutto valido dopo 
giovedì scorso: gli interrogativi che una fede profonda fa sorgere in 
merito alla morte e alla paura che essa suscita; la fede intesa come 
comunione dei santi per cui gli eventi dei singoli non sono solo fatti 
privati, ma il loro riverbero si estende anche agli altri secondo gli 
insondabili disegni di Dio, ma dei quali il fedele deve (può) essere 
consapevole in funzione appunto dell’intensità e dalla purezza della 
propria fede. 
Emblematico il confronto a distanza fra la morte di Madame Croissy (che 
per anni vi si è preparata) intrisa di terrore, e quella di Blanche 
(che ha sempre vissuto nella paura) serenamente volontaria. E molto 
poetica è la visione profetica di suor Constance (la cui fede pura e 
ingenua non è capita da Suor Blanche) che paragona la morte ad un 
vestito che Dio distribuisce da un immenso guardaroba: due persone 
prossono ricevere gli abiti scambiati, in modo che se alla prima il 
vestito va stretto, alla seconda andra’ comodo e abbondante.

Sull’opera, densa di significati religiosi, si possono fare infinite 
considerazioni.

In questo post mi limiterò a qualche considerazione sulla musica: tutta 
la musica è bella, sia quella orchestrale dei Preludi e degli 
interludi, in cui lo stile di Poulenc mi pare molto riconoscibile nei 
timbri e nelle armonie asprigne e nei ritmi irregolari; sia il canto, 
che si basa principalmente sul declamato e sull’arioso, ma in alcuni 
casi anche sull’aria classica (il saluto alle sorelle di Madame Lidoine; 
oppure le due arie – straordinarie per il contenuto – sempre di Madame 
Lidoine inframmezzate dalla lettura della condanna a morte); sia i cori. 
Notevoli, secondo me sono i cori di preghiera. I tre del secondo atto: 
il rito funebre all’inizio, la preghiera dopo il saluto di Madame 
Lidoine e la preghiera dopo il sermone di addio del cappellano, mi hanno 
ricordato molto il clima raccolto e religioso di alcuni cori a cappella 
composti da Poulenc, come i Quattre motets pour un temps du penitence, 
di folgorante bellezza. E poi l’ultimo, alla fine, l’interminabile Salve 
Regina punteggiato dalle sciabolate della ghigliottina, che man mano che 
le esecuzioni procedono e le suore muoiono, si affievolisce sempre di 
più fino alla voce sola di Suor Costanza anch’essa interrotta dal 
fendente; e la breve preghiera di Blanche che, pur non essendo 
nell’elenco delle condannate, sale anch’essa al patibolo indossando 
l’abito comodo che avrebbe dovuto indossare Madame de Croissy.

Ma anche alcune scene restano impresse nella memoria per il contenuto 
altamente drammatico: la terribile morte di Madame de Croissy alla fine 
del primo atto, lo sconvolgente dialogo di Blanche con il fratello nel 
secondo atto, e l’altrettanto sconvolgente dialogo di Blanche con Mère 
Marie nel terzo: tutti scene che riportano all’eterna lotta della paura 
contro la fede.

Spoglia ed essenziale è la scenografia, con i personaggi del coro 
(monache, popolo) che a volte assumono valore di arredi: per esempio un 
cerchio di monache sdraiate circonda il letto di morte di Madame 
Croissy, simboleggiando le pareti della sua cella; oppure la fila di 
monache che percorre in profondità il palcoscenico, col capo coperto da 
un velo, che simboleggia il divisorio dei parlatori nei conventi di 
clausura nel corso del dialogo fra Blanche e il fratello.

Notevole il gioco delle luci dominate dai due colori: il bianco delle 
monache nel convento, che si incupisce nelle scene di distruzione e di 
diaspora, e diventa abbagliante nella scena del supplizio; e il giallo 
accecante e violento del popolo che porta con sé le minacce della 
rivoluzione

L’esecuzione dell’opera: oltre che coinvolgente, questa edizione mi è 
parsa estremamente commuovente. Tutta l’esecuzione dell’arcata 
drammaturgica mi è sembrato che preparasse, anche e soprattutto, la 
scena conclusiva di Place de la Revolution, e l’aspetto emotivo che 
prende alla gola quando, con l’inizio ritmato dell’orchestra in 
pianissimo, dalle sonorità lontane, comincia il Salve Regina, canto 
dolce, di speranza e di preghiera nello stesso tempo; e le monache, 
vestite di bianco, al centro di una scena di luce abbagliante, e 
circondate ai margini dello spazio scenico da una folla immobile, 
crudamente illuminata da una luce giallo sporco, iniziano una specie di 
danza al ritmo della preghiera, cadendo lentamente a terra ad una ad una 
man mano che i fendenti della ghigliottina si sovrappongono orridamente 
al canto. 
Ebbene in quella circostanza mi e’ stato impossibile reprimere 
l’emozione e gli occhi mi si sono inumiditi.

Finora mi era capitato solo con Puccini, e precisamente durante l’ultimo 
duetto della Bohème. 
Potremmo definire quest’ultima scena, e tutto ciò che la precede e che 
vi porta, come la catarsi di aristotelica memoria. Uscendo dal teatro mi 
sono sentito più libero.

 

Guarda foto di scena

Scrivi un commento