SAGGIO SULLA LUCIDITÀ, di José Saramago

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 Si tratta di un romanzo che ho letteralmente divorato. Le qualità di narratore di Saramago sono favolose. I fatti si dipanano tenendo sempre in sospeso il lettore sugli accadimenti successivi. La prosa e’ quella sua solita: periodo spesso lunghi, con punteggiature spesso bizzarre. Il discorso diretto dei vari interlocutori spesso, anzi direi quasi sempre, è contenuto in un unico periodo, distinguendosi per la lettera maiuscola con la quale ha inizio la frase “parlata”, e spesso le frasi del discorso diretto sono intercalate da interventi di commento o di descrizione dello scrittore.

Il risultato è che i discorsi fra gli interlocutori corrono con grande agilità e sembra di essere presenti alla scena.

Il racconto inizia all’interno di un seggio elettorale per le elezioni muncipali di una grande città. Già fin dalle prime pagine si capisce come Saramago voglia costruire un mondo dominato dalla burocrazia, dove le regole vengono applicate non tanto per il loro scopo (quello ad esempio delle garanzie civili) ma per poter affermare di averle applicate, indipendentemente dal risultato che la loro applicazione persegue.

E le prime figure che incontriamo sono il presidente del seggio e i vari scrutatori, rappresentanti di lista, loro sostituti etc. Sono tutte figure caricaturali, che applicano le regole in modo cieco, pedante, pignolo, illuminati dall’obiettivo che in un modo o nell’altro predomina nelle loro teste: un riconoscimento da parte di superiori, la possibilità di un avanzamento, il potersi difendere con ragione dalle possibili critiche, etc. E anche nelle discussioni, quello che prevale è il poter dimostrare di avere avuto un’idea intelligente in modo prioritario, l’aver ragione di eventuali oppositori, magari, se l’oppositore è un inferiore, facendo appello alla propria autorità, etc.

Così si spiega lo sgomento che assale tutti i componenti del seggio quando si scopre che nel corso della giornata i votanti sono pochissimi, quasi nessuno, se si considera la lista degli iscritti al voto.

Per fortuna il governo ritiene non valida la giornata elettorale, e decide di farne una seconda, la domenica successiva.

Questa volta, dopo una mattinata che sembra ripetere l’orrore della domenica precedente, all’improvviso la folla degli elettori si presenta, quasi contemporaneamente nel pomeriggio, alle ore 16. Ma il sollievo degli scrutatori è di breve durata: quando viene effettuato lo spoglio delle schede, ci si accorge che la grande maggioranza dei cittadini, oltre l’80% ha votato scheda bianca. E questo non avviene solo in quella sezione (con grande sollievo del presidente del seggio e degli scrutatori), ma in tutte le sezioni elettorali della città.

Da questo fenomeno insolito si dipana il romanzo. Il governo si riunisce per affrontare il problema, e così viene presentata la gerarchia di quelli che si definiscono i tutori della vita civile e democratica del paese: in testa a tutti il Presidente della repubblica, poi il presidente del consiglio, infine i diversi ministri, i loro capi di gabinetto, etc. Nessuno ha un nome, tutti vengono indicati, e si parlano fra loro, con il rispettivo titolo. Le figure appaiono come sviluppo di ciò che si era già visto nella descrizione e nella presentazione dei funzionari del seggio: ognuno è geloso della propria autorità, ognuno la vuole aver vinta nei contradditori, ognuno pensa alla possibilità di ampliare il proprio potere, ognuno cerca di scaricare ogni responsabilità sull’altro, e così via. Saramago è abilissimo nella presentazione di tutti questi personaggi; l’ironia è feroce, gli atti irrazionali commentati con sottili giri di parole, le caratteristiche psicologiche sono in linea con i loro discorsi e con i fatti, sempre catastrofici di cui sono protagonisti. La menzogna, la doppiezza, la dozzinale furbizia, la stupidità mascherata dalle parole della retorica più vieta, tutto ci mostra un governo che deve trovare una spiegazione e un rimedio per bloccare un evento, che, secondo loro, minaccia la democrazia di cui si sentono i tutori, ma che in realtà li preoccupa come minaccia al loro potere.

I tentativi e i diversi piani, suggeriti dai diversi ministri, vengono attuati stolidamente e non ottengono nulla se non peggiorare la situazione, ovviamente dal loro punto di vista.

Per prima cosa si dichiara lo stato di eccezione, si sguinzagliano spie per ogni dove, si censura e ci si appropria dei mezzi di comunicazione (stampa, televisione, radio, etc.) senza riuscire ad ottenere alcunché. Si invitano i cittadini a collaborare, se ne arrestano alcune centinaia, li si interroga, forse li si tortura, addirittura li si sottopone alla macchina della verità, nella speranza di scovare un nemico sovversivo da poter catturare e neutralizzare. Neppure questa soluzione serve a qualche cosa. Nel governo si fa sempre più forte la convinzione di essere di fronte ad un complotto sovversivo, forse anarchico, si plasma un nome “bianconi”. Si decide per lo stato d’assedio. La città verrà isolata dal resto del paese. Governo, polizia, e tutti i vari servizi verranno evacuati, si disporrà un cordone sanitario, nessuno potrà più entrare o uscire. Si lasceranno all’interno solo i pompieri e il servizio di nettezza urbana. Questo provvedimento, comunicato dal presidente del consiglio alla televisione, ha lo scopo di lasciare nei guai i cittadini e quindi di ottenere il loro cedimento e la loro collaborazione. Tutto viene fatto in gran segreto, ma proprio nella notte nella quale il governo al gran completo lascerà la città, tutte le finestre, sulle strade percorse dai ministri si illuminano. Viene offerto gradualmente il quadro di cittadini, che senza un’organizzazione apparente, dimostrano non solo un elevatissimo grado di civiltà, ma anche che tutti i marchingegni  escogitati dal governo si infrangono contro il senso civico.

Il governo, così sconfitto non demorde. Per prima cosa viene organizzato uno sciopero dei netturbini, che regolarmente fallisce. La città resta pulita per l’impegno di ogni singolo abitante. Si fa poi esplodere un bomba in una stazione della metropolitana, ma, grazie anche al sindaco che, colpito dal cinismo del provvedimento e disobbedendo agli ordini, si schiera dalla parte dei cittadini, la responsabilità del governo viene subito alla luce. I cittadini organizzano una grande e composta manifestazione in occasione dei funerali delle vittime dell’esplosione. Tutto sembra andar male per il governo, e le discussioni nel consiglio dei ministri si accendono. Le poche migliaia di persone che non hanno votato scheda bianca, spaventate si organizzano e si dispongono ad uscire dalla città. Ma anche in questo caso il governo, per incapacità e eccesso di burocrazia, pur cercando di favorire la fuoriuscita dei cittadini “democratici”, finisce invece per impedirla ed è costretto a far marcia indietro subendo una ulteriore bruciante sconfitta.

Finalmente si apre uno spiraglio: al presidente della Repubblica giunge una lettera che indica come possibile responsabile degli eventi una signora, moglie di un medico oculista che negli anni precedenti, durante una strana epidemia in cui tutti gli abitanti della città erano diventati temporaneamente ciechi, ella sola non era stata colpita dal morbo e aveva mantenuto la vista. Così il romanzo si collega ad un altro bellissimo romanzo di Saramago, dal titolo, appunto, Cecità.

Il collegamento fra questa signora e la cecità che, secondo il governo, affliggerebbe i cittadini che hanno votato scheda bianca (cecità politica, cecità democratica, si intende) si è subito fatto strada, e così si apre la caccia a questa signora, inviando nella città tre agenti segreti con lo scopo di smascherarla e avere così ragione della sovversione.

Ma le cose vanno in direzione opposta. Il capo degli agenti, dopo indagini di vario tipo, si convince della innocenza della donna, e del gruppo di suoi amici da lei salvati al tempo dell’epidemia.

Ancora una volta il governo tuttavia non cede. Si è trovato un capro espiatorio e su questo si deve lavorare per portare la città alla normalità democratica. Quindi per prima cosa si pubblica la fotografia della signora e dei suoi amici, e si aizza la città contro di loro. Come nelle occasioni precedenti, tuttavia il governo va incontro a una bruciante sconfitta. L’agente segreto riesce a far pubblicare alla stampa la vera storia della vicenda, e a nulla valgono i tentativi di sequestro dei giornali. I cittadini capiscono l’antifona, fotocopiano la smentita dell’agente e la diffondono per la città.

Il romanzo si chiude con l’ennesima lite e l’ennesima destituzione di ministri  giudicati incapaci da chi è magari più incapace di loro, e l’assassinio, per mezzo di un killer, dell’agente segreto e della donna.

 

Leggi la lezione di José Saramago al Premio Nobel (1998)

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