FATA MORGANA, di Giovanni Celati

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Il libro è un viaggio in una terra immaginaria, fra un popolo immaginario: i Gamuna. Si tratta di un popolo che in un passato, non si sa quanto tempo fa, ha occupato in una lontana zona della Terra una città, assediata dal deserto e da impervie catene montuose. La città, ora chiamata Gamuna Valley, un tempo era abitata da una popolazione che, per ragioni ignote, e repentinamente ha dovuto abbandonarla in massa; un abbandono istantaneo, che ha lasciato tutto così com’era in nell’istante della partenza: palazzi, case, strade, negozi, mezzi di trasporto, appartamenti, vestiti, tutto insomma.

I Gamuna sono un popolo poco conosciuto, isolato, con un modo di vivere molto diverso dagli altri popoli conosciuti.

Il libro si addentra nella descrizione delle abitudini, del pensiero, del modo di concepire la vita, il tempo, i rapporti umani di questo popolo, immaginando di attingere le informazioni ai diari e alle relazioni di tre viaggiatori che avrebbero avuto modo di trascorrere un tempo sufficientemente lungo fra questa gente.

 

Nel libro non vi è un intreccio. Riassumerne il contenuto è quindi piuttosto difficile. Quello che sostanzialmente viene offerto al lettore è un mondo fantastico, ma descritto in modo come se fosse reale.

 

Il punto centrale della concezione della vita del Gamuna è che il tempo non esiste. I Gamuna ci vengono presentati come un popolo che ha una concezione del tempo che coincide con quella dell’eternità. In questo si potrebbe affermare che Celati abbia pensato alla concezione del tempo di Agostino d’Ippona. La loro vita quindi non si basa su progetti o programmi, ma solo sul momento presente, che è l’unico a essere afferrato e valorizzato, anche se la loro ambizione è proiettata a cercare di conoscere le loro origini, e i loro antenati.

 

L’attività considerata più nobile è quella di cantastorie. Non vi sono confini fra il racconto di fatti e l’invenzione. Tutto ciò che viene raccontato viene considerato vero, ma poi lasciato in una specie di limbo del vero-non vero; i fatti della vita quotidiana si mostrano attraverso una specie di bruma che si potrebbe considerare un’allucinazione, così come lo sono i miraggi del deserto, quelli che noi chiamiamo Fata Morgana.

A differenza dello stato di veglia, in cui la realtà sembra essere di difficile interpretazione, il sonno, e i sogni che l’accompagnano, hanno una consistenza reale e diventano poi oggetto di conversazione e scambio di idee se non addirittura di informazioni.

 

La produzione è un’occupazione deteriore che viene esercitata solo dalle donne.

A differenza degli uomini, che l’atmosfera allucinatoria in cui vivono rende timidi, paurosi, insicuri, soggetti a vacillazioni, le donne dei Gamuna sono vitali, sensuali, aperte al desiderio sessuale e all’amore. Addirittura, nel sesso femminile, l’omosessualità è frequentissima.

I bambini crescono senza controllo fino all’età in cui saranno sottoposti all’iniziazione all’età adulta. Prima di essere iniziati, formano bande dotate di grandissima aggressività, e rappresentano un pericolo per la gente comune.

La lingua è caratterizzata più da suoni che da vocaboli, ed ha una struttura che per l’uomo comune è di difficile  comprensione. Un tratto caratteristico della vita comune sono i conversari della sera, nei quali vengono trasmesse solo emozioni sonore.

Vi sono poi leggende, eroi mitici, vicende tramandate nelle storie.

 

Il libro si conclude con l’invasione della città da parte di barbari e crudeli mercenari. Vi sono probabilmente massacri. Forse la gente è scomparsa, si è ritirata in un “altrove” di cui non si ha notizia. Restano solo i bambini, che non hanno rinunciato a organizzarsi in bande e che riversano la loro pericolosità sui mercenari che sono quindi costretti a fuggire.

 

Tutto questo mondo viene descritto dettagliatamente, facendo spesso uso di ironia, a fronte delle contraddizioni di cui sono infarciti i comportamenti descritti.

Quello che tuttavia non riesco a capire è il senso di questo libro, che a fatica potrebbe essere definito “romanzo”.

Lo stravagante comportamento, modo di pensare, l’organizzazione sociale di questo immaginario popolo dei Gamuna sembra essere il modo di essere speculare alla società “dei consumi”, quella che vive sulle certezze, sulle leggi fisiche, biologiche, sociali; che ha nella programmazione il suo divenire, che ha nella morte il suo rifiuto.

Forse una visione come quella descritta in questo libro, patrimonio dei Gamuna, ci riporta all’essere come entità distinta dalla società, come soggetto che trova più realtà nei propri sogni, o nelle proprie storie che nella vita organizzata, programmata, ma sostanzialmente non vissuta perchè non ha domande, ma solo risposte.

 

Comunque la lettura è molto noiosa, e ho fatto fatica a finire il libro.

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