EVGENIJ ONEGIN, alla Scala

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Chajkovskij definì “scene liriche” quest’opera, per significare che essa si allontana dal paradigma aristotelico dell’unità di tempo e di luogo. L’azione si dipana per un tempo che va dall’adolescenza di Tatjana alla sua maturità di sposa nel grande mondo; e per luoghi che si estendono da una Russia di campagna e tutto sommato popolare, agli splendori della capitale.

Non è raro trovare nella drammaturgia del teatro russo queste dilatazioni spazio-temporali, e questa costruzione “a quadri”. Esempi ne sono il Boris e ancor di più la Khovashchina di Musorgskij, o, dello stesso Chajkovskij, il Mazepa.

Quello che ne risulta, comunque, è una sostanziale unità, che, presente nel romanzo in versi pushkiniano, si mantiene anche nel libretto di Silovskij, ma soprattutto nella musica, col tema dell’amore che fa da tramite lungo tutto il percorso drammaturgico.

La messa in scena di Vick in questa rappresentazione scaligera è ripresa dalla edizione di Glyndebourne del 1994.

L’ambientazione è tradizionale, le scene sono molto sobrie, e, com’è costume di Vick, costruite con elementi simbolistici. Nel primo atto, una cortina di spighe stilizzate sullo sfondo ci conduce nell’ambiente campestre. La stanza di Tatjana è arredata da un semplice letto e un tavolino ai lati di una grande finestra che si apre sullo sfondo e mostra il cielo e i suoi colori del tramonto, della notte e dell’alba. La scena del duello viene vista dall’interno di una specie di stalla, o capannone, attraverso un grande portone spalancato sullo sfondo. Le scene in cui avvengono i due colloqui fra Onegin e Tatjana nel primo e nel terzo atto, sono arredate solo da due sedie: una rivolta verso il boccascena, l’altra rivolta verso il fondo. Sipari leggeri, di colori tenui, scorrendo lateralmente danno una certo movimento alle diverse ambientazioni.

I costumi, pur senza eccessivo sfarzo, sono quelli del tempo in cui presumibilmente si svolge il dramma: costumi popolari, della piccola borghesia o del gran mondo come nell’ultimo atto. Colori tenui, con rare chiazze di colore vivace, soprattutto nei costumi, contribuiscono a dare alle scene una piacevole eleganza, che ben si accorda con il romanticismo della vicenda ed espresso dalla musica.

I movimenti scenici dei cantanti e del coro non mostrano particolarità degne di nota, e rispondono ai canoni di una recitazione abbastanza classica. Una cosa che mi è sembrata particolarmente interessante è stata la disposizione di Onegin e Tatjana nei due colloqui. Nel colloquio che conclude il primo atto, Onegin fa una specie di morale a Tatjana che ha osato scrivergli esternandogli il suo appassionato amore. Onegin ha la caratterizzazione di un personaggio freddo, di movenze eleganti, ma distaccato e formale. Canta sulla sedia rivolta verso il pubblico e non degna di uno sguardo Tatjana, che è seduta faccia rivolta al fondo, persa nella sua vergogna e nel suo dolore. La situazione si inverte nella scena conclusiva dell’opera: a cantare con la faccia rivolta verso il pubblico questa volta e Tatjana, che si nega alle profferte d’amore di Onegin, il quale subisce il rifiuto seduto con la faccia rivolta al fondoscena.

Questa simmetria di idee e di posizioni me è sembrata interessante.

La realizzazione musicale. Jurowsky ha diretto con grande impeto una musica molto romantica dominata dal tema dell’amore, che emerge in varie forme timbriche, e, nel momento cruciale della lettera, in ripetuti assoli del corno. E’ un direttore giovane, già affermato, richiesto da grandi teatri, come il Metropolitan, soprattutto per il repertorio russo, ma non solo. Direi che il successo maggiore è stato il suo.

I cantanti mi sono sembrati all’altezza. Bravo Sabbatini, nella parte di Lensky: voce ancora limpida, con i suoi smorzati negli acuti ancora molto bene eseguiti. E’ il personaggio più “lirico” dell’opera, con le sue due bellissime arie della prima scena del primo atto e, nel secondo atto, prima del duello.

Onegin, a causa dell’indisposizione di Tezier, è stato interpretato da Shagidullin, già sentito alla Scala nella parte del diavolo negli Stivaletti. La sua parte è prevalentemente un declamato: freddo e distaccato nei primi due atti, appassionato nell’ultimo, si è dimostrato interprete intelligente.

Buone mi sono parse anche le interpretazioni delle due donne, Tatjana e Olga, rispettivamente interpretate dal soprano Olga Gurjakova e dal mezzosoprano Nino Surguladze. La prima era già stato alla Scala nella parte di Maria nel Mazepa. Come allora, anche in questa occasione ha interprato il suo ruolo con bravura, anche se la voce mi è sembrata alquanto aspra.

Alcune osservazioni di costume: Jurowsky prima di dare l’attacco all’orchestra ha aspettato che in sala ci fosse silenzio assoluto. Chissà perchè, proprio in quel momento si è scatenata un’epidemia di tosse.

I sipari di tela leggera che scorrevano lateralmente per movimentare le scene erano maledettamente rumorosi. Si sentiva l’attrito degli anelli che scorrevano sulla guida. E questo in alcune occasioni accadeva nel corso di pianissimi orchestrali. Una domanda viene spontanea: si sono spesi tanti soldi per rifare il palcoscenico e ottenere questo risultato?

 

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