Amos Oz a Chetempochefa

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Un po’ a sorpresa ho scoperto che Domenica sera Fazio ha intervistato Amos Oz. È la seconda volta nel giro di pochi mesi che un importante scrittore israeliano viene ospite a questa trasmissione. Nel novembre dell’anno scorso si è trattato di David Grossman.
Ascoltare questi scrittori è un po’ come aprire una finestra su un mondo per noi sconosciuto, ovvero conosciuto attraverso i servizi dei nostri giornalisti o le opinioni dei nostri politologi, il che è lo stesso.

Lo scrittore è attratto dalla logica dei comportamenti; sente, comprende, spesso condivide comportamenti della gente comune e li traspone nei loro romanzi. Si fa quindi un’idea politica, forse rozza, forse poco “correct”, ma certamente sofferta e convinta perché assorbita dal vivere quotidiano, dal modo di pensare quotidiano, dai problemi quotidiani.
Nel suo ultimo libro tradotto in Italiano e da poco messo in commercio, Non dire notte si parla proprio di una vicenda piccola. Il romanzo narra di un microcosmo in una piccola città ai margini del deserto. Ma Oz dice: «quando i grandi fatti saranno dimenticati, sarà proprio di quelli piccoli che ci si ricorda». E questo microcosmo sopravviverà anche quando tutta la bufera del Medio-Oriente sarà passata e magari dimenticata.

Viene naturale chiederci come in Israele, terra esposta continuamente agli orrori di una guerra, possa esserci uno spazio privato. La risposta di Oz è lineare: si provi ad immaginare «un piccolo villaggio sotto a un vulcano, vulcano che comincia a eruttare pietre, fuoco. Ciononostante in questo piccolo villaggio c’è comunque un ragazzino che non riesce a dormire perché ha questa signora vicina che gli piace tantissimo; e questa signora non dorme perché ha problemi perché ha una figlia che ha sedici anni e ha dei problemi perché è adolescente; e la ragazza invece pensa a quel signore che deve correre in ufficio perché vorrebbe essere… insomma la commedia di tutti i giorni ha luogo anche alle sponde di un vulcano. Anche in Israele si fanno le corna alla propria moglie o si hanno dei problemi per pagare il mutuo».

Ecco, questo è il ruolo dello scrittore. Fare attenzione ai piccoli fatti, alla commedia di tutti i giorni, perché è proprio dalla consapevolezza che questi fatti sopavviveranno ai grandi mutamenti, che si potranno capire i grandi mutamenti.

E nella vita d tutti i giorni quello che domina è il compromesso. «Nel mio vocabolario il compromesso è vita», dice Oz. «Compromesso non come capitolazione, ma come la volontà di incontrare gli altri più o meno a metà strada».
E un compromesso si realizzerà certamente fra il popolo israeliano e il popolo palestinese, un compromesso che porterà alla formazione di due stati, la Palestina e Israele, in una terra poco più grande della Sicilia. La grande maggioranza della popolazione israeliana, come la maggior parte di quella palestinese sa che questo compromesso è inevitabile e si realizzerà. Lo sanno anche i leaders, ai quali tuttavia manca il coraggio. Quello di cui c’è bisogno in Medio-Oriente è una leadership coraggiosa.

E l’Europa che ruolo può svolgere, chiede Fazio. L’Europa si comporta come una dama dell’epoca vittoriana. Non sa altro che manifestare reprimende ai due popoli. Quello in cui invece c’è bisogno da parte dell’Europa è di un aiuto e di un empatia per entrambe le parti. Non si deve più scegliere se essere pro-palestinesi o pro-israeliani, bisogna essere pro-pace, e dare ad entrambe le parti incoraggiamento e comprensione.
Alla pace non ci si arriva cercando di far nascere una comprensione reciproca fra i due popoli come processo preliminare. Il processo si realizza solo con un progressione inversa: prima la pace, magari a denti stretti. Solo dopo firmata la pace, accettato il compromesso, potrà svilupparsi una forma di comprensione reciproca.
«Nel mio romanzo», dice Oz, «il compromesso formale è l’introduzione a un cambiamento dei sentimenti, e non il contrario; non sono i sentimenti che portano alla pace. Prima bisogna arrivare ad un contratto, e poi arriveranno i buoni sentimenti».

Alcune annotazioni davvero divertenti o interessanti:

La felicità. La felicità come termine hollywoodiano non esiste. La lingua ebraica ha molte parole per esprimere i diversi modi di partecipare a una gioia. Ma non ha una parola che possa tradurre il termine astratto di felicità.

La natura della cultura ebraica è fatta perennemente di dialettica e di confutazione. La civiltà degli Ebrei ha qualche cosa di anarchico. Nessuno possiede una verità che non possa essere confutata dal suo vicino. Tutti litigano, tutti la sanno meglio degli altri. E il gusto per l’interpretazione e la reinterpretazione porta Israele ad essere «una nazione di 7 milioni di cittadini, 7 milioni di primi ministri, 7 milioni di profeti, 7 milioni di messia. Tutti urlano continuamente e nessuno ascolta mai nessuno».

Domanda di Fazio: «Noi abbiamo di Israele, come immagino voi avrete dell’Italia, un’idea televisiva. La domanda la farei al contrario: c’è qualcosa che corrisponde di questa idea televisiva che noi abbiamo al suo Paese?»
Risposta di Oz: «L’immagine alla TV dell’Italia in Israele è scandali, mafia e Berlusconi. Tutto qua. È tutto quello che sappiamo dell’Italia».

Il deserto è un protagonista di Non dire notte: parla, è presente, ha un’influenza sulla vita dei personaggi. «Io personalmente penso che il deserto sia fantastico. Tutte le mattine faccio una passeggiata nel deserto, in assoluto silenzio. E quando ritorno a casa e accendo la radio, e ascolto i politici che dicono “Mai!” o “Per sempre!” o “Per il resto dell’eternità!” so che le pietre del deserto ridono di questi politici».

Ecco, per parafrasare Oz, dirò che l’ascolto di questa intervista mi ha dato gioia. Mi ha fatto meglio conoscere uno scrittore la lettura dei cui libri mi aveva già dato altrettanta gioia, e mi ha fatto meglio entrare in una società, quella israeliana, che mi ha sempre fortemente incuriosito, sia per il modo in cui si è formata, sia per il ruolo che svolge in un area del medio-oriente così vicina alla nostra storia.

Sarebbe bello che Fazio ci proponesse una conoscenza più ravvicinata anche di scrittori dell’altro versante, quello arabo o mussulmano. Penso ad esempio, a Orhan Pamuk con le sue ricerche sul rapporto fra cultura cristiana e cultura islamica (Il mio nome è Rosso, Il castello Bianco) o fra laicità e fede nella Turchia del dopo Ataturk (Neve). Penso a Azar Nafisi, con il suo Leggere Lolita a Teheran (con tema non dissimile da quello di Neve).

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