Orfeo ed Euridice al Maggio Musicale Fiorentino

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Si tratta di una delle mie rare escursioni operistiche extrascaligere, per la quale devo ringraziare Luca Logi che mi ha aiutato in ogni modo possibile: prima trovandomi i biglietti in un teatro praticamente esaurito, poi trovandomi un albergo in una città presa d’assalto a causa del ponte festivo del Primo Maggio, poi, per finire, dimostrandosi ospite gentile e premuroso, oltre che fonte di interessantissime conversazioni relative all’opera in programmazione e al Teatro fiorentino.

Ma veniamo all’opera. L’occasione è veramente ghiotta: Muti che dirige l’Orfeo di Gluck a distanza di 31 anni, proprio a Firenze. Alla Scala ho avuto occasione di vedere tre delle grandi opere di Gluck dirette da lui: Le due Ifigenie e l’Armida. In tutte e tre le occasioni sono stato fortemente coinvolto: opere stupende, valorizzate al massimo dalla direzione mutiana.
L’Orfeo è un’opera un po’ sui generis. Viene considerata tradizionalmente come l’opera con la quale Gluck ha iniziato la sua profonda revisione del “dramma per musica”, ovvero del melodramma barocco, per aprire la strada all’opera moderna, dove la parola e la musica collaborano strettamente all’espressione della drammaturgia: l’operazione conosciuta come la Riforma.
Questa nuova edizione fiorentina si basa, come quella di 31 anni fa, sul libretto originale di Calzabigi in lingua italiana. Muti, in un’intervista rilasciata a Guido Barbieri in questa occasione, spiega il motivo della scelta ed esprime idee molto interessanti al proposito.
Nell’Orfeo, la drammaturgia, pur essendo molto semplice (vi sono solo tre personaggi), è molto espressiva, essenziale, diretta. Nel primo atto prevale il lamento, quasi un requiem intonato dai pastori e dalle ninfe per la morte di Euridice; nel secondo atto il dramma raggiunge un vertice assoluto con lo scontro di Orfeo e i guardiani dell’Ade e la vittoria di Orfeo che può entrare nel mondo delle ombre; l’aria di Orfeo punteggiata dai perentori interventi del coro è un capolavoro assoluto; il terzo atto è l’epilogo con la contrastata uscita dall’Ade e con il doveroso lieto fine.
Vi sono, certamente, arie come nell’opera metastasiana, ma le arie sono più brevi, meno virtuosistiche, più legate al senso delle parole; hanno maggior spazio i brani d’insieme (duetti, cori); non vi sono recitativi secchi, ma solo accompagnati, e il declamato è la forma prevalente del canto.
Recitativi, arie e brani d’insieme si avvalgono di una musica molto espressiva, sia come accordi di accompagnamento, sia come fraseggio, sia come accentuazioni melodiche, che Muti nella sua direzione ha largamente valorizzato, coinvolgendo l’ascoltatore nella emozione della vicenda.
Entrare nella logica del mito greco di Orfeo non è facile. Orfeo il grande cantore, è alla ricerca della amatissima sposa morta per il morso di una serpe nascosta tra i fiori che ella raccoglieva. Ma chi è Euridice? Forse la risposta vera, o comunque una risposta possibile, è quella data da coloro che identificano Euridice con lo stesso Orfeo: Orfeo che riesce a ritrovarsi solo attraverso il miracolo della musica. Insomma il mito dell’uomo che perde se stesso, ma che può ritrovarsi solo se guarda avanti, se rifiuta di guardare il passato, resistendo ai richiami a cui esso lo costringe.
Tutte queste cose, naturalmente sarebbero molto illuminanti in una edizione teatrale dell’Orfeo, come è stata ad esempio l’edizione fiorentina del 76 con la regia di Ronconi e le scenografia di Pizzi, che io purtroppo non ho visto e della quale si dicono meraviglie
L’edizione attuale è invece in forma di concerto, e quindi priva della parte “fisicamente” teatrale. Tuttavia la direzione di Muti riesce a ricostruire la sostanza degli eventi, e in questo si è avvalso, oltre che dell’orchestra, di due elementi di altissima qualità: Daniela Barcellona, la cui voce calda, suadente, commuovente nell’espressione del dolore, dell’ansia restituisce un Orfeo vivo e reale pronto ad immolarsi; e un coro che impersonifica, con grande determinazione sia il lamento dei pastori, sia la furia degli infernali custodi dell’Ade.
Un gradino più sotto metterei la Rost e la Kleiter rispettivamente nei ruoli (abbastanza ancillari, peraltro) di Euridice e di Amore.
Da osservare che queste edizione dell’Orfeo e Euridice è stata dedicata al Maestro Rostropovich, al quale Muti ha voluto opportunamente portare un breve, commosso saluto prima di iniziare l’esecuzione dell’opera vera e propria. Mi è sembrato commuovente che venisse dedicata alla memoria di un grande musicista appena scomparso, l’opera che ha per protagonista il musicista del mito che scende all’Ade per trovare Euridice (o, forse, addirittura se stesso).

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