Il berretto a sonagli

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Il berretto a Sonagli. L’immagine della pazzia. Un dramma feroce di Pirandello sul principio dell’onore coniugale vigente in una Sicilia non troppo lontana nel tempo. La trama si ispira a due novelle del 1912 contenute nelle Novelle per un anno: La verità (raccolta L’Uomo solo), e Certi obblighi (raccolta Dal naso al cielo).

La prima ci trasferisce in un aula giudiziaria dove si celebra un processo contro Tararà, contadino rozzo e diretto come tutti i contadini, accusato di avere ucciso la moglie che lo tradiva con il cavalier Fiorìca. Gelosia? Punizione? Nossignore. Tararà sapeva della tresca, che durava da tempo. Ma nessuno ne parlava, e quindi l’onore coniugale di Tararà era salvo. Purtroppo, un infausto giorno, la moglie del cavalier Fiorìca è voluta intervenire per punire il marito dei suoi tradimenti; come conseguenza è stato messo in piazza il grave vulnus all’onore coniugale del Tararà, che non ha potuto fare a meno di ripararlo uccidendo la moglie.
Il tema è grottesco, la novella scritta con una penna leggera. Tararà è un personaggio che risponde ad una logica ferrea, dove ingenuità e astuzia si intrecciano per proporre una morale che non potremmo che definire mostruosa.
La seconda tratta un tema molto simile. Il lampionaio Quaquèo sa che nelle ore nelle quali è impegnato a governare i fanali della pubblica illuminazione, la moglie lo tradisce con l’assessore comunale, il cavalier Bissi, che gli ha procurato il posto. La voce circola, i buontemponi dileggiano il povero Quaquèo, che sopporta pazientemente. In fin dei conti nessuno ha le prove di questa tresca, e quindi il suo onore è salvo. Ma il diavolo ci mette la coda. La mancanza di petrolio per il rifornimento dei lampioni offre ai buontemponi la possibilità di costringere Quaquèo a correre a casa per sorprendere la chiacchierata moglie. Quaquèo non si può sottrarre. Ma, ovviamente, grida, minacce, ricerche nei vari angoli della casa, porteranno alla conclusione che le chiacchiere sulla moglie sono infondate e che questo è constatabile da tutti quelli che sono invitati ad entrare. Il cavalier Bissi era sì in casa con la moglie, ma ben nascosto, e così l’onore coniugale è salvo.
Anche in questo caso la penna di Pirandello è molto leggera. Qui il sangue manca del tutto, e l’ambiente notturno, il buio della notte, la luce della Luna, lo splendore delle stelle, le deboli luci lontane dei paesini della valle, tutto questo ci fa conoscere un Quaquèo solitario, che aggrappato alle braccia del lampione, riflette su se stesso, sulla luce, sull’ombra, sulla vita e sulla morte. Il tema è lo stesso della novella precedente: l’onore ferito non dal tradimento della moglie come fatto, ma dall’essere il tradimento conosciuto dalle gente del paese.

Il lavoro teatrale ha ben altro spessore. Il tema è più o meno lo stesso, ma il gusto pirandelliano per l’ambiguità delle situazioni e quindi sulla impossibilità di giungere a una verità assoluta dà al lavoro una forza e una violenza che manca nelle novelle. Ciampa è un impiegato modello del cavalier Fiorìca. È sposato con una donna molto più giovane di lui. Corre la voce che il cavaliere se la intenda con essa. Ma naturalmente si tratta di una voce “muta”; ovvero se sospetto c’è, nessuno ne parla e tutto si svolge nella normalità.
Nessuno, se si eccettua la moglie del Cavaliere, la quale si sente offesa e vuol dare una lezione al marito. Ciò mette in moto una successione di eventi (allontanamento del Ciampa, irruzione della polizia, arresto dei due presunti colpevoli, mobilitazione di amici potenti, scandalo cittadino, ma anche alla fine contestuale dimostrazione dell’innocenza dei due) che espongono la reputazione del povero Ciampa alle chiacchiere del paese. La vicenda corre sul filo del rapporto fra sostanza e apparenza: c’è stato un rapporto carnale fra il cavalier Fiorìca e la moglie del Ciampa? Tutto lascia credere di sì, ma l’irruzione delle forze di polizia per sorprendere la coppia in flagrante non ha dato esito alcuno, o almeno così dice il verbale, il documento ufficiale che rende “veri” i fatti descritti. E se questo rapporto carnale c’è stato, il Ciampa ne era a conoscenza? Anche qui, tutto lascia credere di sì, ma non esistono le prove, e le affermazioni del Ciampa cercano di far credere il contrario, ma forse anche il contrario del contrario… Insomma, nel modo più pirandelliano possibile, la verità, ciò che siamo portati a credere come un dato di fatto avvenuto, assume sfumature diverse a seconda di come la si guardi, o a seconda di come gli interessati ne sono coinvolti. E così il rapporto carnale non c’è stato se ci riferiamo al Cavaliere, che è persona stimatissima e potente, e tutti i suoi amici o i suoi devoti sono pronti a giurarlo: c’è il verbale! La moglie del Cavaliere forse non è del tutto convinta, ma forse, pian piano, si convince che è meglio essere convinta dell’innocenza del marito. Anche per lei c’è il verbale! E Ciampa? Ciampa è stato lasciato solo. La moglie del Ciampa non esiste, è solo l’oggetto di uno scandalo, lo scandalo che ne farà lo zimbello del paese. Per lui il verbale non c’è. Il verbale non è un’arma che può servire a convincere una comunità per sua natura pettegola. Lui è l’unica vera vittima dello scandalo. Ma a questo non può starci. Sarà costretto a uccidere la moglie (e questo passi) e il cavaliere (e questo non può passare). Occorre allora una soluzione, e questa soluzione scaturisce come idea quasi alla fine: la moglie del Cavalier Fiorìca ha fatto una pazzia nel suscitare uno scandalo con l’accusa al marito; un’accusa chiaramente infondata, come dimostra il verbale. Ma se ha fatto una pazzia, allora è pazza e deve essere ricoverata in manicomio. E questa sarà la soluzione vera, che cancellerà i fatti, che non hanno alcuna importanza per nessuno, ma farà emergere quello che ognuno deve essere in seno alla comunità, con tutto il rispetto che gli è dovuto.
Per chiarire questi passaggi, Pirandello offre interpretazioni di grande forza: per esempio il monologo sui pupi fatto dal Ciampa. Il nostro vivere in società è condizionato dal pupo, cioè da ciò che appariamo nelle relazioni sociali, essere ben diverso da quello che siamo veramente, e che, tuttavia, non interessa a nessuno, forse neppure a noi stessi.
E così altra idea che aiuta a entrare nel mondo descritto è l’esistenza delle tre corde nel nostro cervello: la corda civile, la corda seria e la corda della pazzia. La corda che ci consente di vivere è la corda seria, la corda delle convenienze, dei rapporti rispettosi, del vivere pacifico in mezzo alla gente: la corda che domina i comportamenti del pupo e ne garantisce la dignità. Ma a volte occorre “girare” la corda seria. Possono succedere delle cose che mettono a rischio il pupo, e allora la corda civile può non bastare più. Occorre mettere in un canto per un attimo il pupo, e cercare almeno una parvenza di verità, con l’obiettivo di ripristinare il controllo da parte della corda civile.
Nella vicenda del dramma il Ciampa, rendendosi conto del pericolo al quale l’intransigenza della moglie del Cavaliere espone il suo pupo, cerca disperatamente di far funzionare la corda seria. Cerca cioè di far ragionare la signora di farla desistere dalla ricerca dello scandalo. Ma evidentemente essa si rifiuta, e allora l’ultima risorsa, a scandalo avvenuto, è quella della pazzia. E così avviene. Il pupo di Ciampa, calpestato dallo scandalo, grazie alla corda della pazzia si riprende e può finalmente ricuperare quello che più importa: la propria apparenza, il proprio pupo guidato dalla corda civile.

Il personaggio forte della commedia, ovviamente è il Ciampa. Nelle edizioni della commedia che ho avuto modo di vedere è interpretato in modo magistrale da due grandissimi attori italiani. Nel 1970 da Salvo Randone, e nel 1985 da Paolo Stoppa. Le due interpretazioni non sono confrontabili. Sono entrambe straordinarie, ma molto diverse. Il Ciampa di Salvo Randone ha una personalità umile solo in apparenza, ma capace di vedere lontano, e di battersi con tutti i mezzi dell’astuzia tipica del campagnolo contro le pazzie della moglie del cavaliere. È sempre presente a se stesso, potremmo definirlo un duro che, per le ragioni del censo, della classe, dei rapporti sociali, deve mostrare sottomissione. Una sottomissione tuttavia sempre fatta rimarcare e che non deve illudere nessuno che egli non sappia difendere i propri valori.
Paolo Stoppa tende invece ad una interpretazione più scavata dal punto di vista umano. Egli si sente preso in una trappola e tenta disperatamente di uscirne. Non impone i suoi interessi con l’astuzia, ma direi soprattutto con la disperazione. È in una trappola che si chiude inesorabilmente attorno al suo pupo, e non vede via d’uscita se non, all’ultimo momento quella della pazzia. Il tono disperato con cui fa emergere la soluzione contagia direttamente la moglie del Cavaliere che più ancora che dagli incitamenti e dai consigli del fratello e degli amici presenti, sembra essere avvolta e coinvolta dalla frenesia dello Stoppa.
In sostanza due interpretazioni magistrali, di un lavoro che non posso definire altrimenti che un capolavoro.

IL BERRETTO A SONAGLI

Regia di Edmo Fenoglio (1970)
Ciampa Salvo Randone
Signora Fiorìca Anita Laurenzi
Signora Assunta La Bella Wanda Capodaglio
Fifì La Bella Stefano Sattaflores
Spanò Silvio Spaccesi
La saracena Elsa Merlini
Fana Italia Marchesini
Nina Ciampa Olimpia Carlesi

Regia di Luigi Squarzina (1985)
Ciampa Paolo Stoppa
Signora Fiorìca Miriam Crotti
Signora Assunta La Bella Anna Maria Bottini
Fifì La Bella Stefano Lescovelli
Spanò Pierluigi Cominotto
La saracena Carla Calò
Fana Rita Livesi
Nina Ciampa Anna Priori

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