Lady Macbeth del distretto di Mcensk alla Scala

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Quando si vuol parlare di qualche cosa che ha provocato intensa emozione è facile che si avverta difficoltà a trovare le parole: alla mente si affollano aggettivi e ancora aggettivi, ma si sa, i discorsi seri non sono fatti di aggettivi. Anzi. Almeno questo è ciò che succede a me.
E mi succede proprio in occasione della Lady Macbeth del distretto di Mcensk che ho recentemente visto alla Scala e della quale vorrei riuscire a trasmettere almeno una parte delle emozioni da me provate.

Come ho più volte detto, quest’opera fa parte della mia sacra trinità operistica, insieme alla Lulu e al Don Giovanni. Il fatto che la Scala la proponesse era per me fonte di attesa e di aspettativa, certamente la più forte di tutta la stagione. Lo spettacolo che l’aveva preceduta, Jenufa, mi aveva già molto entusiasmato. Ma ora era il turno della Lady, sì, proprio della Lady!

L’opera è ambientata in una terra di Russia barbara, dominata da una classe mercantile rozza. Katerina è la moglie di uno di questi mercanti. Viene da una famiglia relativamente povera, ma il matrimonio non le dona felicità. La vita scorre monotona, mancano del tutto sia i piaceri dello spirito, come l’apprezzamento del bello, sia i piaceri della carne, essendo il marito privo di un minimo di personalità e di attrattiva sessuale.
È pertanto inevitabile che dalla servitù emerga un bellimbusto intraprendente, Sergej, che, con i soliti piccoli trucchi della seduzione maschile, fa perdere la testa alla donna. Ne seguiranno due omicidi (prima il suocero, poi il marito), il matrimonio con Sergej, la scoperta del delitto e la condanna dei due alla deportazione in Siberia. Sergej, lungo la marcia della deportazione umilia Katerina con un’altra donna, ferendone amore e orgoglio in modo sanguinoso. Katerina non trova altra soluzione che gettare se stessa e la donna causa del tradimento nelle nere acque di un lago siberiano, dove entrambe troveranno la morte.

La qualifica di Lady Macbeth è dovuta non solo al “doppio delitto”, non solo al cinismo di Katerina nell’ordire i due omicidi, ma anche ai suoi incubi nei quali il suocero le appare per accusarla.
Ma le analogie si fermano qui. Katerina è una persona complessa e l’opera ne mette in risalto tutti gli aspetti, descrivendo in modo magistrale, spesso ferocemente satirico, l’ambiente in cui è costretta a vivere.
La trama drammaturgia, secondo me è perfetta.
Nel primo atto si sviluppa l’attrazione erotica che Sergej esercita sulla donna, fino al momento in cui ella cede all’uomo. Il secondo atto è quello dei due delitti e dell’inizio della convivenza fra i due assassini. Il terzo atto è quello del matrimonio, ma anche della scoperta dei delitti e dell’arresto della coppia. Il quarto atto è quello conclusivo.

A differenza di altre rappresentazioni, in cui Katerina fin dalle prime battute ci comunica la sua sofferenza e il suo desiderio carnale insoddisfatto, in questa edizione scaligera con la regia di Richard Jones, Katerina ci si presenta come una donna sciatta, delusa, quasi asessuata, perfettamente coerente con un ambiente domestico altrettanto squallido, con mobili dozzinali, sgangherati, le pareti semiscrostate. Le persone che vi abitano hanno la stessa caratura, nessuna vivacità, nessuna prospettiva. I lavoranti al servizio dei due mercanti, padre e figlio, (o suocero e marito) sono una massa di pecoroni, fannulloni, pronti ad adulare, o a sgaiattolare furbescamente se c’è l’occasione. La struttura scenografica mostra un palcoscenico diviso a metà da una parete; a destra e a sinistra due stanze comunicanti: una camera da letto, una specie di cucina, e alternativamente una specie di magazzino. Il costume di Katerina dipinge maldestramente la sciatteria della donna.
La comparsa di Sergej, il clima grottesco-boccaccesco con cui i lavoratori smanacciano una loro collega, una musica sempre più eccitata, introducono gradualmente un’atmosfera di erotismo che coinvolge sempre più Katerina, la quale alla sera entra nella propria camera da letto con i sensi in fiamme. Straordinaria, stupenda, incredibile la passacaglia che ne accompagna e ne sottolinea il risveglio dei sensi, e prelude l’arrivo di Sergej. La seduzione finale ha un carattere violento, con un’esplosione musicale affidata agli ottoni, i famosi glissandi di trombone (la fanfara degli ottoni in questa occasione è situata fuori dall’orchestra su un palco a sinistra), lo sbocciare della farfalla dall’informe crisalide, il contrarsi e l’allacciarsi dei due corpi travolti e liberi dall’oppressione dell’ambiente. Un crescendo e una sempre più esplicita allusione, scenica oltre che musicale, al rapporto sessuale conclude l’atto, che il pubblico, non so se per sgomento, sorpresa, malinteso senso del pudore o semplice bacchettonismo ha tardato ad applaudire. Mi risulta che qualcuno abbia definito la scena “pornofonia”. Strano. Anche Stalin l’ha definita con un termine simile, e ha fatto togliere l’opera dalle scene dopo la prima rappresentazione moscovita, costringendo Shostakovich a riscriverne una versione purgata col titolo di Katerina Ismailova. Evidentemente certi livelli culturali coinvolgono grandi e piccini, senza distinzione.

Nel secondo atto l’atmosfera cambia. All’erotismo esasperato del primo atto si sostituisce la volontà di Katerina, che si scopre finalmente donna, di creare una nuova famiglia, una famiglia normale, con Sergej, superando ogni ostacolo. Prima c’è lo scontro col suocero che vuol difendere l’onore del figlio. Notevolissima, dal punto di vista musicale e drammaturgico la scena della scoperta di Sergej nella camera da letto di Katerina da parte del suocero, della fustigazione dell’uomo e della disperazione della donna. Seguono poi l’avvelenamento del suocero, la sceneggiata ironica del Pope davanti alla morte, e finalmente la gioia di una nuova vita, che la musica introduce con una bellissima fuga a quattro voci (mi pare), e che il regista segnala con una specie di rinnovamento della camera da letto, con mobili più nuovi (il letto, un armadio, etc.), ma altrettanto kitch di quelli vecchi. Ma la gioia è di breve durata. Sergej, dopo gli entusiasmi erotici della fine del primo atto, è molto più distratto, quasi indifferente alla seduzione della donna; Katerina ha gli incubi e vede il vecchio suocero che la accusa e la maledice; alla fine arriva il marito e i due sono costretti ad ucciderlo e a seppellirne il cadavere in cantina. Come non pensare al verdiano “Doppio delitto! È necessario!”

Il terzo atto è dominato dal monologo del contadino cencioso, interpretato da un tenore buffo, che scopre il cadavere e corre a riferirlo alla polizia; dalla caricatura del posto di polizia, con un contrappunto fra l’ufficiale e gli uomini, cadenzato da versi in rima (il russo è una lingua che si presta moltissimo); da episodi grotteschi anche se appena accennati di repressione e corruzione; e infine dalla festa del matrimonio nella quale ricompare il Pope visto nell’atto precedente, col suo grossolano comportamento. Il terzo atto rappresenta quasi una pausa rispetto ai primo due atti; il clima è rilassato, la satira graffiante, i personaggi di contorno caricaturali. Ma anche in questo caso nel finale gli eventi precipitano e si prepara l’atmosfera cupa e drammatica dell’ultimo atto.

Ora la scena raffigura una buia notte. Non vi sono arredi scenici se non i cassoni visti posteriormente di due grandi tir sui quali viaggiano i deportati. La Siberia ci è annunciata da un canto antifonale fra un vecchio forzato e il coro. Siamo in marcia verso una Siberia cupa, destinata ad accogliere la sofferenza umana; il canto è di una tristezza profonda, e nel contempo descrive più con la musica che con le parole questa infinita via crucis.
La fine è drammatica. Sergej umilia e disprezza Katerina, che tuttavia continua ad esserne profondamente innamorata e a riempirlo di favori, e volge la sua carica sessuale, che la deportazione non ha spento, verso altre donne, in particolare verso Sonjetka. Musicalmente gli episodi più belli dell’atto, dopo il coro antifonale dell’inizio (e che chiuderà l’atto e l’opera), sono la feroce derisione di Katerina da parte delle donne deportate, e il canto cupo, tristissimo di Katerina che rievoca la nere acque del lago nel folto del bosco. In queste acque si concluderà la sua vita, e quella della sua ultima rivale.

Per concludere, l’opera è stupenda sia dal punto di vista musicale, sia dal punto di vista drammaturgico. La protagonista, Katerina, assassina, apparentemente cinica, risulta alla fine una donna, una donna vittima di un destino che ne ha esaltato i lati terribili del carattere, ma che, in altre condizioni ne avrebbe magari esaltato i lati migliori. La strada della donna da un sentimento di delusione, rinuncia, appiattimento, noia, indifferenza, attraverso l’esplosione di ciò che nelle donne è irrinunciabile, l’amore, l’erotismo e la procreazione, e poi il delitto, il tentativo di farsi una vita “normale”, e alla fine l’atroce delusione e il suicidio, è una strada profondamente umana, anche se piena di deviazioni, di comportamenti immorali o forse, ancor più, amorali. Non possiamo, alla fine né odiarla, né disprezzarla, ma assieme allo stesso Shostakovich, compiangerla, magari anche con un po’ di simpatia.

Gli interpreti: Il direttore, il giapponese Kazushi Ono l’ho trovato perfetto. Ha espresso con la musica la straordinaria drammaturgia. E’ stato chiaro, chiarissimo, in tutti i passaggi. Prima di questa esecuzione, ne ho viste in teatro altre due: quella scaligera del ’92, diretta di Myung-Whun Chung e una esecuzione ravennate nel 2003 realizzata dall’Helikon Opera di Mosca, e diretta da Vladimir Pon’kin. Inoltre ho visto due rappresentazioni in video: una di Barcellona del 2002 diretta da Alexander Anassimov (regia di Stein Winge) e una di Amsterdam del 2006 diretta da Maris Jansson (regia di Kusej). E infine conosco in solo audio la mitica edizione diretta da Rostropovich (1979), e le due esecuzioni dirette da Gergiev del 2000 (MET) e del 2001 (Salisburgo).
Di tutte queste edizioni quella che più mi ha catturato è stata proprio questa scaligera, per merito di questa direzione orchestrale che mi sembra di poter definire sostanzialmente drammaturgica.
Degli interpreti, una menzione speciale va al soprano che ha interpretato la parte di Katerina, Hevelyn Herlitzius, che ha dimostrato una grandissima capacità di muoversi sulla scena, ma anche un emissione di voce che esprime in modo molto convincente prima la tempesta dei sensi, poi via via tutti i drammatici aspetti che l’hanno coinvolta nella vicenda. Alla fine dell’opera ha ricevuto un’autentica ovazione. Molto bravo si è dimostrato anche Christopher Ventris, che ormai nel ruolo di Sergej si può definire un veterano, viste le numerose volte che lo ha interpretato. Molto bravo, convincente, espressivo è stato Anatolij Kotscherga nella parte del suocero. Basti citare il monologo che canta all’inizio del secondo atto, e che è un capolavoro di erotismo vissuto nei ricordi.

L’unico elemento che mi ha lasciato un po’ deluso è stato il pubblico: molti i posti vuoti in teatro, e scarso l’entusiasmo alla fine degli atti (soprattutto del primo, che secondo me è quello più efficace). Più convinti mi sono sembrati gli applausi alla fine dell’opera e soprattutto indirizzati ai cantanti e al direttore.

1 Commento a “Lady Macbeth del distretto di Mcensk alla Scala”

  1. Maria Mosca scrive:

    Il resoconto di Perissinotto mi ha entgusiasmata tanto quanto l’opera stessa. Le sensazioni che si provano seguendo l’opera sono coinvolgenti, fanno fremere. Tutta l’opera è eccezionale

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