DIARIO DI UN ANNO DIFFICILE, di John. M. Coetzee

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Un romanzo scritto secondo una struttura abbastanza insolita. L’io narrante è John C. uno scrittore di fama internazionale, ormai avanti negli anni (ma non troppo secondo le mia personale valutazione, visto che l’età dichiarata è le mia stessa!!!), nativo del Sudafrica, ma attualmente vivente in Australia, a Sidney (credo che sia facile identificarlo con lo stesso autore). Un editore tedesco ha commissionato a lui e ad altri scrittori famosi un libro basato sulle loro opinioni in merito a problemi di grande attualità e di grande interesse, sociale, civile, morale, artistico etc.

John C. incontra per caso una giovane fanciulla filippina, Anya, che lo colpisce non solo per la sua bellezza ma anche per il suo atteggiamento sottilmente provocante. Lo scrittore riesce a convincerla a fargli da dattilografa per il libro che sta scrivendo.
Nasce così un romanzo a tre voci: una voce, che occupa la parte superiore della pagina scritta, è occupata da una delle “opinioni forti”; la seconda voce, che occupa nella pagina la parte sottostante, è riservata all’io narrante dello scrittore, ed è dedicata alle sensazioni che la fanciulla provoca nel suo intimo, e ai dialoghi con lei; la terza voce, che occupa la parte più bassa della pagina, è riservata alle riflessioni della fanciulla e ai suoi rapporti con l’uomo con il quale ella vive.
La storia vera e propria si sviluppa nelle due parti inferiori, e penetra nei sentimenti che una persona anziana può provare in una situazione come quella descritta, nei quali fantasia, amore, attrazione sessuale si intrecciano in modo difficilmente districabile; ma anche penetra nei sentimenti che una giovane fanciulla può provare quando si rende conto di accendere fantasie e desideri in una persona anziana verso la quale, se l’amore è impossibile, è invece naturale apprezzare intelligenza, talento, gentilezza, dolcezza e tutto sommato bontà, e quindi provare nei suoi riguardi stima e ammirazione.
Tutto questo naturalmente si riflette nei rapporti della giovane col suo amante, che imperniati soprattutto su una sostanziale e intensa attrazione sessuale e sull’intenso erotismo dei loro rapporti, a fronte delle più sottili, stimolanti, interessanti sollecitudini che provengono dal rapporto con lo scrittore, entrano in crisi.
Quello che secondo me è molto apprezzabile nel libro è che la lettura delle opinioni forti, e quella delle due voci sottostanti, dovrebbe essere condotta contemporaneamente. La lettura delle opinioni forti, sia per il tempo necessario alla lettura, sia anche spesso per lo stesso contenuto, opera una scansione capace di attribuire un ritmo agli eventi della vicenda e di renderla interessante e capace di generare attrazione e curiosità nella sua evoluzione.

Esiste poi un rapporto, a volte sottinteso, a volte indiretto, a volte esplicito fra le Opinioni forti e i dialoghi dello scrittore con la sua dattilografa. Anzi, lo scrittore, nell’invitare Anya a lavorare per lui, specifica che ha bisogno “di una persona dotata di sensibilità, di sensibilità intuitiva, che capisca quello che sto cercando di fare”. E in più di un’occasione fra i due si apre una discussione sul senso delle Opinioni forti. Nella prima parte, dal titolo appunto Uno: opinioni forti, Coetzee cerca di approfondire discorsi di grande attualità, come la natura stessa dello Stato, della democrazia, del terrorismo, su Al Qaeda, su Guantanamo, sulla immigrazione, soprattutto in Australia; ma temi religiosi, morali o addirittura filosofici, come il disegno intelligente, sui paradossi di Zenone, sul significato della probabilità ecc. Le tesi sostenute tendono a sradicare luoghi comuni, come ad esempio la patente di democrazia attribuita agli USA, responsabili dell’orrore di Guantanamo, la guerra al terrorismo più come una giustificazione per tendenze repressive sempre crescenti che come necessità di affrontare un problema reale (AlQaeda come Goldstein, il personaggio quintessenza della turbativa dell’ordine, oggetto d’odio in 1984 di Orwell? Non viene tuttavia fatta la citazione, che a me sembra appropriata), le stesse procedure da attuare nei confronti dell’immigrazione e degli immigrati (in Australia vi è un campo di concentramento per immigrati che chiedono asilo, che Coetzee paragona a Guantanamo), ecc. Molte di queste osservazioni mi coinvolgono, ma Anya non le apprezza del tutto. Anya stima lo scrittore John C. e crede che egli potrebbe dare il meglio di sé più che nello scrivere Opinioni forti, nello scrivere d’amore, d’amicizia, delle dolcezze della natura. E così gli suggerisce di scrivere “Opinioni tenere”, magari sui sogni, come il sogno su Euridice che egli la ha raccontato.
E John C. la accontenta, e nella seconda parte le opinioni sono sul sogno, sulla viat erotica, sull’invecchiare, o su scrittori come Dostojevskij e Tolstoj, o su compositori come Bach, o sugli uccelli dell’aria.

Una riflessione mi sembra opportuna: Coetzee è il grande scrittore, autore di romanzi come Vergogna, Aspettando i barbari, La vita e il tempo di Michael K, secondo me capolavori assoluti. In questo romanzo mi sembra che la sua vena narrativa si sia un po’ appannata: la parte più consistente del libro è occupata dalle Opinioni forti. Il romanzo, dal punto di vista del racconto vero e proprio è molto più leggero: fatti ed eventi si situano all’interno di una cornice semplice, quasi un filo conduttore che aiuta ad entrare nella logica delle Opinioni, forti o tenere che siano. Ho la sensazione che questo tipo di struttura, certamente originale, tuttavia tenda a mascherare l’appannarsi della vena narrativa.
Il romanzo comunque è bello, si legge con interesse, le opinioni coinvolgono temi di grande rilievo e spesso sono da me condivisibili. Coetzee è un autore di altissimo rango, anche in romanzi come questo. Come dice egli stesso in una delle sua opinioni, quella sull’autorità nel romanzo, una volta che lo scrittore ha conquistato l’autorità, è doveroso riconoscergliela. E Coetzee l’autorità se l’è conquistata, e il premio Nobel del 2003 ne è stato un riconoscimento ampiamente giustificato.

Leggi la sua prolusione alla consegna del Premio Nobel.

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