L’ERBA CANTA, di Doris Lessing

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Il primo, bellissimo romanzo di Doris Lessing, scritto a 30 anni, nel 1949, al suo rientro definitivo in Inghilterra dalla Rhodesia del Sud (come allora si chiamava lo Zimbabwe), dove aveva vissuto per 25 anni della sua vita.

È la storia, tragicamente conclusasi, di un matrimonio fallito nell’oppressivo e claustrofobico ambiente della società inglese che dominava nella colonia britannica in un regime di apartheid. Lo scenario è la vita di agricoltori che devono coltivare terreni in una natura ostile, irregolare, con l’alternarsi di siccità e alluvioni, che utilizzano una mano d’opera che definire “a basso costo” è un eufemismo, rappresentata dai negri che popolano quella remota terra d’Africa. Alcuni di loro si arricchiscono, altri no.
Il fallimento del matrimonio è in larga misura dovuto a questo ambiente. Lei, Mary, ragazza con infanzia difficile, ma realizzata nella città come segretaria, sente la necessità di sposarsi per immedesimarsi meglio nella società che la circonda. Lui, Dick, agricoltore sognatore, poco esperto, incapace di trarre profitto dalla sua proprietà terriera, cerca di risolvere i suoi problemi esistenziali col matrimonio. Davanti a loro, ci sono i lavoranti, i negri, con i quali occorre trattare secondo regole rigide e immutabili per difendere la supremazia dei bianchi; attorno a loro c’è la società dei coloni, pettegola, ma gelosa fino all’inverosimile del proprio potere sugli indigeni e su tutti gli altri stranieri, coloni olandesi compresi, trattati con disprezzo. Un bianco povero può essere soltanto un contadino boero, mai un colono inglese. Un colono inglese povero getta il discredito su tutta la società, quindi la situazione va corretta dall’intervento dei vicini.
Si tratta della stessa società di coloni e di speculatori inglesi che nel 1965, sotto il governo di Ian Smith, proclamerà unilateralmente la propria indipendenza dalla madre patria, fondando la Repubblica di Rhodesia, a imitazione della Repubblica Sudafricana, basata sull’apartheid.
Questa società, con la sua capacità e la sua volontà-necessità di interferire con la vita dei singoli influenzandone le scelte, sarà nella sostanza la causa della fine tragica del matrimonio.
La storia è avvincente nella descrizione degli stati d’animo dei due protagonisti, che seguono due percorsi di vita divergenti che li porteranno alla tragica fine.

Dick lavora la sua terra con il rispetto che si deve alle cose proprie ottenute con sacrifici e difficoltà; quindi cerca di mantenere la rotazione dei prodotti, non distrugge gli alberi, e si comporta come se lavorasse un podere inserito in un mercato europeo. Cosa profondamente sbagliata, perché il mercato sudafricano è orientato per grandi monoculture che danno adito a grandi speculazioni (cotone, tabacco, etc.). Quindi la sua fattoria, a differenza di quelle dei suoi vicini meno scrupolosi, non decolla. Il risultato è che Dick è un agricoltore povero, ha una casa costruita con le sue mani piccola e modesta, e quello che più conta, senza un vero solaio, ricoperta solo da una lamiera che, sotto il caldissimo sole di quelle latitudini, d’estate ne fa un forno nel quale è quasi impossibile vivere. I braccianti che lavorano la terra sono i negri, pagati pochissimo, che vivono in un villaggio nei pressi della fattoria il Compound. Dick cerca inutilmente di infondere loro un minimo di orgoglio per il lavoro, ma deve rispondere alle logiche della segregazione razziale. Per lui il matrimonio è una soluzione che dovrebbe aiutarlo a superare la solitudine alla quale la vita del colono, che vive a ore e ore di distanza dai vicini, lo costringe, e che dovrebbe arricchire la sua vita con la comparsa dei figli.

Mary è tutta il contrario di Dick. Reduce da un’infanzia difficilissima, costituita da scontri continui con la madre e da odio nei confronti del padre, ben presto riesce a crearsi una vita indipendente; entra come segretaria in una grande ditta, guadagna, ha molte amicizie, sembra essere quasi una persona indispensabile al mondo che la circonda. Il problema razziale, in quell’ambiente, è lontano e non interferisce con una vita serena e tutto sommato piacevole. Ma in questa vita apparentemente serena compare una nube. Le chiacchiere delle amiche le rivelano la fragilità di una condizione di vita priva di prospettive. Per uscirne la via maestra è quella del matrimonio. E questa via Mary si proporrà di seguire. L’incontro di Dick e Mary quindi non è un incontro di amore, ma una scelta fatta per ragioni da una parte simili, ma dall’altra opposte. Mary sarà informata da Dick della sua povertà e delle difficoltà di una vita nella lontananza e nella solitudine di una fattoria. Ma la realtà che le si presenterà ben presto di fronte sarà al di sopra di ogni sua immaginazione. Mary cerca di reagire; si rende conto che la povertà di Dick non è una fatalità, ma è dovuta solo alla sua ingenuità e alla sua incapacità. Il sentimento che domina ben presto Mary è il disprezzo per il marito, mentre il marito, avvertendo questo disprezzo viene sempre più coinvolto in una delusione. I due finiscono per vivere una vita separata, priva di un affetto reciproco, che fondamentalmente non c’è mai stato. Gli stati d’animo dei due, col passare del tempo tendono a peggiorare, spesso si verificano dei veri e propri scontri. Mary non sa trattare con il personale negro. Cerca di imporre la propria autorità, ma lo fa maldestramente, con eccessi di pretese autoritarie che finiscono per far fuggire i servitori, creando ulteriore disappunto in Dick, che si trova a corto di mano d’opera.

L’evoluzione è tragica. Una vita fatta di enormi difficoltà, fra le quali il calore insopportabile e la solitudine occupano un posto preminente in una condizione di povertà senza possibili soluzioni (le possibili soluzioni tentate di volta in volta hanno registrato solo dei fallimenti), di assurda monotonia di vita, di mancanza totale di prospettive porta i due protagonisti ad un indebolimento della volontà dapprima e della ragione poi. Mary, anche a seguito di errori nei suoi rapporti con il personale nero, finisce per non saper più controllare la situazione, e cade vittima dell’ultimo dei boy, Moses, personaggio questo dotato di capacità e di personalità superiori a quelle dei suoi predecessori. Si apre così una contravvenzione a quello che è la legge non scritta, ma fondamentale della società dei coloni: la discriminazione razziale non permette che si venga a creare un rapporto che abbia un benché minimo fondamento di umanità fra bianchi e negri.
Mary pagherà con una doppia morte questa contravvenzione; morte fisica per mano di Moses, che si vendica per non avere ottenuto tutto ciò cui tendeva, e morte civile per la società dei coloni che nel comportamento di Mary vedeva incarnarsi le proprie paure.

La Lessing è impietosa, non tralascia di descrivere le reciproche incomprensioni, il disprezzo da una parte, la delusione dall’altra, le pesanti interferenze e gli intrighi dei vicini, la oppressiva presenza dei negri che si materializzerà nella figura di Moses, con uno stile incalzante, analitico, descrittivo la sua parte, ma sempre organizzato al fine di trasmettere al lettore l’atmosfera claustrofobia in cui si svolge la vicenda.
Nel romanzo appare chiara e inequivocabile l’invettiva contro il razzismo della società inglese che vive nella Rhodesia del Sud, ma anche la constatazione del degrado di una società di coloni che molto spesso non riesce a raggiungere la sperata ricchezza, e conduce una vita priva di prospettive, se non addirittura di stenti, contribuendo di fatto all’arricchimento dei soliti speculatori che vivono nelle città.

Non è difficile immaginare che nel romanzo risuonino elementi autobiografici. La descrizione della fattoria di Dick richiama quella che era la fattoria del padre della Lessing. La povertà di Dick nel romanzo è costruita sulle difficoltà economiche della sua famiglia. Il ferreo controllo della società dei coloni sulla vita individuale dei singoli, per impedire qualsiasi accenno, nei fatti o anche solo nelle opinioni, che possa turbare l’equilibrio nel quale i bianchi si trovano ad essere i dominatori, si rispecchia nelle difficoltà della Lessing e della sua strenua critica all’apartheid, e successivamente nel divieto alla scrittrice di ingresso in Rhodesia.

Leggi la Prolusione al Premio Nobel di Doris Lessing (2007)

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