La traviata alla hauptbahnhof a Zurigo – Diretta ARTE

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Grazie a un amico che mi ha allungato il DVD della Traviata in Hauptbahnhof a Zurigo registrato in diretta su ARTE, ho potuto vedere questa edizione che purtroppo non ho potuto registrare il 30 settembre.
Dico subito che questa messa in scena mi è piaciuta moltissimo e cercherò di spiegare il perché.

La Traviata è una delle opere di Verdi che più mi riempie di commozione, e in alcuni casi mi muove alla lacrime. Ad esempio, nel primo atto il duetto iniziato dal tenore con le parole “Ah, sì, da un anno”; o il lungo ed emozionante duetto fra Violetta e Germont nel secondo, o ancora nel terzo atto il coro che segue la sfrontata villania di Alfredo nei riguardi di Violetta, o nel quarto lo stupendo addio del passato.
Quello che mi piace particolarmente nella Traviata è che si tratta di un’opera che ha cimentato registi e direttori nel sottolineare e portare in primo piano aspetti diversi come elementi nodali, ma sempre coerenti con la vicenda: a parte l’interpretazione tradizionale che narra della ardente passione e dell’infelice amore nel clima lussuoso parigino del pieno Ottocento (come ad esempio lo è stata la rappresentazione scaligera diretta da Muti nel 1992, con la regia della Cavani, più volte ripresa gli anni successivi), mi piace ricordare la messa in scena di Mussbach a Aix-en-Provence nel 2003 con la direzione orchestrale di Sado Yutaka (Violetta era la Mireille Delunsch), la cui chiave di lettura era la solitudine della protagonista: vedi il significativo incipit in cui Violetta, con un grande e ricco abito bianco si trova al centro di una buia autostrada, mentre fiocchi di neve si disperdono sulla scena; oppure la messa in scena di Carsen al Teatro La Fenice di Venezia nel 2004 con la direzione di Lorin Maazel (Violetta era Patrizia Ciofi), la cui chiave di lettura è il demi-monde con le sue contraddizioni; e la scenografia che richiama piogge di dollari su una Violetta il cui abito provocante ne sottolinea il carattere di amore mercenario cui è assuefatta.

In questa messa in scena di Zurigo gli aspetti messi in rilievo sono di altra natura. Anzitutto l’ambiente: una stazione reale, con gente reale che affolla i marciapiedi: un ambiente alternativo al teatro.
Nel teatro, lo sappiamo, vi è un ordine preciso: il palcoscenico dove risiedono le scenografie, dove agiscono i cantanti, le quinte; la platea, dove risiedono gli spettatori; le pareti che circoscrivono la sala, con o senza palchi.
In questa edizione invece manca l’ordinamento proprio dei teatri: scenografia, spettatori, pareti, cantanti, si compenetrano in un insieme ricco e variegato. Di fatto gli spettatori, ossia la gente che frequenta la stazione (e che non sono necessariamente spettatori), finisce per essere parte della scenografia, come pure lo sono le pareti, le arcate, le scale mobili, i piccoli bar, e le insegne pubblicitarie luminose, gli stessi treni. E i cantanti recitano la loro parte in questo ambiente, continuamente mobile, fatto di cose vere, come le persone che usano i telefonini per fare fotografie o brevi riprese, le vetrate, i carrelli portabagagli e tutti gli oggetti, piccoli e grandi, che popolano il mondo di una stazione ferroviaria. Ed è proprio l’aria degli eventi quotidiani che investe i cantanti, che coinvolge il coro seduto ai tavoli di qualche bar o ristorante, per quello che ho visto, accentua e rende particolarmente intensa l’emozione che i brani più coinvolgenti mi hanno trasmesso. Ecco, quello che mi ha colpito, è stato proprio il senso di realtà che tutta l’ambientazione mi trasmetteva e che dava una luce nuova, attraente alla stupenda musica della Traviata.

L’orchestra, diretta da Paolo Carignani, era confinata in uno spazio apposito, nella parte centrale del grande androne della stazione. Attorno erano disposte corone di fiori che sembravano preannunciare la tragica fine di Violetta e del suo amore.
Nel primo atto, la festa si gioca con coro e cantanti in mezzo ai passeggeri e in parte seduti ai tavoli di un bar. Il secondo atto, la casa di campagna di Violetta, trova ambientazione in un piccolo bar, illuminato da squallide e fredde luci al neon. Il terzo atto, dopo le danze e i cori delle zingarelle e dei matadori (per la verità forse la parte meno riuscita dell’opera) nel grande spiazzo della Hall centrale, subito davanti all’orchestra, c’è la partita fra Alfredo e il Barone, entrambi chiusi nelle gabbie di due grandi carrelli portabagagli rossi, che si confrontano direttamente. Segue l’emozionante scena dell’insulto di Alfredo a Violetta e il coro sgomento, mentre la folla circonda e penetra la scena. L’ultimo atto vede l’ingresso di un’autoambulanza che depone una barella al centro della Hall. Violetta, seduta a un tavolino, legge la lettera di Germont, quindi si alza, e passando attraverso un ala di folla, canta l’addio a passato, per raggiungere la barella dove incontra Alfredo col quale canta l’ultimo duetto.
Nel cast, Alfredo è interpretato da Vittorio Gigolo, Violetta da Eva Mei, Germont da Angelo Veccia.
La messa in scena è di Adrian Marthaler, e la realizzazione televisiva di Felix Breisach

Molte critiche sono state portate alla realizzazione musicale. in particolare quella che non è piaciuta è stata Eva Mei, accusata di avere una voce piccolina e di non controllare bene gli acuti, emessi al limite dello strillo. Meno critiche ha ricevuto il tenore, mentre Angelo Veccia ha avuto per lo più recensioni favorevoli.
Alcuni hanno anche criticato la sincronia fra orchestra e cantanti.
A dire il vero, secondo me, occorre tener conto del fatto che questa opera è fatta per un ascolto televisivo. L’ambiente non consentiva certo l’ascolto ambientale, e ogni cantante era munito di microfoni. Questo particolare, e tutte le difficoltà di gestire l’orchestra in un luogo e coro e cantanti dispersi nei grandi spazi della stazione, può essere alla base di alcune delle insufficienze osservate dagli intenditori di voci. Ma quello che a me preme dire è che l’aspetto che rende interessante l’opera non è certo il giudizio che si può dare a cantanti come se cantassero in teatro; ma, invece, è l’idea di affrontare un ambientazione non tradizionale e di sapere, in questa ambientazione, far vivere le forti emozioni che questa opera è in grado di trasmettere. E in questo mi pare che l’esecuzione si ampiamente riuscita, e che i cantanti abbiano saputo, al di là di eventuali carenze tecniche, interpretare le loro parti con grande intensità.

Poi credo che sia giusto fare riferimento ad alcune critiche che qua e là ho letto. C’è chi ha pensato che l’obiettivo di rappresentare l’opera in un ambiente frequentato come una stazione sia quello di avvicinare più gente all’opera lirica. A dire il vero a me sembra che questa interpretazione sia piuttosto cervellotica. Che cosa significa? Non so quanto la gente abbia apprezzato lo spettacolo. Si vedeva gente interessata, bocca aperte per la meraviglia, ma anche persone che passavano in modo affrettato senza essere attirate.
Io credo che il motivo dell’ambientazione scelta sia quello che ho cercato di dire sopra. Affermare che questa regia sia solo un modo per far parlare, è un modo “liquidatorio” e spregiativo di giudizio. Io direi che regie come queste, che cercano forme nuove di rappresentare l’opera come evento teatrale, fanno discutere. E questo mi pare che non si tratti di un giudizio liquidatorio o spregiativo.
Se io dovessi scegliere un modo per attirare più gente all’opera, in una civiltà a base televisiva come la nostra, mi divertirei a proporre, ad esempio, quiz negli intervalli fra gli atti, garantendo vincite più o meno favolose. In questo modo sono sicuro che i teatri si riempirebbero ☺.

Un’altra critica che ho letto è che uno spettacolo del genere non sarebbe arte. Su una affermazione del genere si potrebbe aprire una discussione infinita, su cosa si intende per “arte”. Quello che però mi fa venire in mente questa affermazione è che per certe persone l’arte si fermerebbe forse a Cesanne, se non addirittura a Manet. E certamente queste persone farebbero fatica a considerare arte Duchamp, Mondrian, Fontana, Chagall etc. L’orrore del nuovo. Io non so se questa rappresentazione della Traviata sia “arte” o non sia “arte”. La Traviata è un grandissimo capolavoro, è arte a tutti gli effetti. Questa messa in scena né ha sottolineato con grande energia tutti gli aspetti più belli e coinvolgenti. Allora, solo perché la forma di messa in scena è insolita, o perché la Mei in qualche occasione ha litigato con l’intonazione, dobbiamo concludere che la Traviata non è più arte?
Ai posteri l’ardua sentenza.

2 Commenti a “La traviata alla hauptbahnhof a Zurigo – Diretta ARTE”

  1. maria scrive:

    Pagando in anticipo mi potrebbe fare copia del dvd?
    e anche,se ce l’ha, la Boheme in un quartiere di Berna…
    Se mi risponde col prezzo le mando il dovuto (raccomandata,bonifico o come le pare) e il mio indirizzo per la spedizione
    Grazie
    m. a. gobbi,dall’Italia

  2. Rudy scrive:

    Ho tutte e due le registrazioni (Traviata e Bohème), e non ho problemi a farne una copia e spedirgliela. Lasci stare il pagamento. Non ce n’è proprio bisogno. Evidentemente mi occorre il recapito dove inviarle. Mi lasci qualche giorno. La saluto e le faccio tenti auguri di buon Natale e Buon Anno.

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