IL VENTO DELL’ODIO, di Roberto Cotroneo

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Il vento dell’odio, nel libro (ma potremmo forse dire anche nella realtà) è quel vento che è spirato impetuoso durante la guerra di liberazione. Fascismo, antifascismo: un odio mortale, che ha disseminato il paese di morti molto spesso frutto di vendette e controvendette.

Con la sconfitta del fascismo e del suo alleato nazista, il vento dell’odio si è calmato? L’Italia è entrata in un clima più sereno, più “normale”? No, dice Cotroneo, lo è diventata solo in apparenza. Sotto sotto, fascismo e antifascismo sono rimasti attivi. Il fascismo è rimasto incrostato in gran parte della popolazione come desiderio di vivere un Paese organizzato in modo gerarchico, dedito all’ordine, immune da rivendicazioni, sindacali o altro, e in cui la democrazia sia un’espressione di una élite “consapevole” e soprattutto anticomunista. L’antifascismo, vittorioso nella guerra, è stato costretto in ogni occasione a rivendicare la propria vittoria e a trovare spazio e rifugio soprattutto nell’ambito di un forte Partito Comunista. Questo tipo di antifascismo nella realtà, per il suo legame con i paesi del cosiddetto socialismo reale, è venuto a rappresentare un immagine speculare del fascismo.

Alla prima occasione il vento dell’odio, mai completamente sopito, ha ripreso a soffiare con violenza. E questa occasione nasce nel ’68. «Tuo padre diceva che questo sarebbe stato un paese migliore se non ci fosse stato il ’68. Diceva che il ’68 è stato la rovina italiana. Ha scoperchiato tutto, le cose peggiori che c’erano in Italia. Diceva che ha risvegliato i fascisti e tutti i matti che sarebbero invecchiati e morti senza fare più danni a nessuno» dice uno dei personaggi del libro.
Questo è un po’ il clima nel quale si svolgono i fatti narrati nel romanzo, che hanno come protagonisti due giovani, o forse sarebbe meglio dire due “ex-giovani”: Cristiano Costantini e Giulia Moreschi.
Come la storia recente insegna, il ’68 ha visto esplodere la contestazione giovanile contro l’uniformità di pensiero e di valori voluta e imposta dai governi democristiani e, in un modo o nell’altro, accettata dal partito comunista. Ma ben presto la contestazione, preda della rabbia e del rinascente odio contro uno stato giudicato fonte di diseguaglianze e covo di interessi economici e di potere, finisce per dare vita al terrorismo rosso. Iniziano gli assassinî, molti giovani si danno alla clandestinità. Al terrorismo si contrappone la comparsa di sanguinose stragi. Il clima si accende, si infiamma e riprende a dilagare l’odio: quello stesso odio che aveva acceso la lotta di liberazione, fascismo e antifascismo. Solo che in questa nuove condizioni l’odio, sempre più violento, sembra dilagare senza che esista un confine netto. Tanti assembramenti, gruppi, organizzazioni, partiti, sindacati, cittadini si combattono intrecciandosi e facendo perdere ad un eventuale osservatore le ragioni profonde che li animano e li muovono. Il vento dell’odio soffia liberamente: terrorismo, stragi di stato, repressioni violente creano quella che storicamente verrà conosciuta come “strategia della tensione”, e trascinano l’etica del Paese sempre più in basso.

Cristiano è un brigatista rosso, anzi, un ex-brigatista che in una serie di capitoli a lui dedicati narra le sue esperienze: gli ideali che lo hanno spinto ad associarsi al terrorismo, i primi assassinî, le domande che si pone, le frequentazioni di un personaggio misterioso, un certo prof. Italo; la scoperta che le organizzazioni terroristiche “rivoluzionarie”, da ideali di giustizia e uguaglianza stanno scivolando verso un modello di stato rigidamente subordinato al loro potere, alla fine, insomma tutto sembra risolversi nel potere per il potere. La mancanza di risposte chiare, il pericolo di essere catturato e processato per omicidio, lo spingono alla fuga, prima a Parigi e poi definitivamente in Argentina.
Cristiano è solo apparentemente solo: alle sue spalle, invisibile a lui, ma ben presente, c’è la figura del padre. Si tratta di un personaggio misterioso. Il suo passato, nella guerra partigiana, è stato quello di avere militato nella repubblica di Salò. Oggi i suoi ideali sono rimasti gli stessi di allora, e sono emersi, spinti dal vento dell’odio, in una forma diversa, come membro o fondatore di organizzazioni segrete, forse collegato con i Servizi, forse con logge massoniche tipo la P2, forse con altre organizzazioni delle quali si lascia intendere che siano state le responsabili delle stragi di stato. Tutto ciò nel tentativo e nella speranza di spingere il paese verso quel modello che allora era incarnato nel fascismo.
In un memoriale scritto subito prima del suicidio, egli confessa che lo scopo dell’Organizzazione era in sostanza quello di controllare il terrorismo rosso spingendolo in direzioni che fossero conformi agli obiettivi prefissati, e cioè quelli di creare una situazione di tensione massima al termine della quale la democrazia venisse definitivamente sepolta e potesse trionfare l’ideale fascista. Anche lo stesso rapimento e assassinio di Moro, pur non essendo stato sollecitato dall’Organizzazione, ne è diventato uno strumento che ha contribuito a indebolire le sinistre, e soprattutto lo spauracchio, il PCI di Berlinguer, il più forte partito comunista dell’Occidente.
Cristiano, leggendo il memoriale, viene a conoscenza di tutte queste trame e del fatto che il padre sapesse tutto di lui, e che i suoi contatti, le sue fughe, la sua salvezza di fatto fossero l’aiuto che l’ombra del padre gli aveva sempre prestato.
Padre e figlio: su due fronti opposti, in balia del vento dell’odio, ma apparentemente con gli stessi obiettivi.
Cristiano allora cerca il contatto con l’altro personaggio protagonista del libro: Giulia. Giulia probabilmente conosce le risposte a tutte le sue domande.

Giulia proviene anch’ella del terrorismo rosso, ma secondo una strada molto diversa. È stata reclutata in modo quasi inapparente. È stato un amico del padre a coinvolgerla, a utilizzarla per funzioni di collegamento. Giulia non ha mai saputo con esattezza quale fosse il suo ruolo nel terrorismo, ma non appena è stata in grado se ne è allontanata per sposarsi e metter su una famiglia. Ma se ella ha voluto staccarsi dal terrorismo, il terrorismo non l’ha mollata. Anche Giulia ha un padre misterioso: nel suo passato c’è la morte del nonno ucciso da un fascista durante la guerra di liberazione. Un po’ per convinzione, un po’ come reazione all’azione di odio della quale è stato testimone, il padre si è iscritto al partito comunista, e ne è sempre stato un esponente rigido e senza compromessi. Ufficialmente è un industriale con affari in Bulgaria, paese nel quale si reca periodicamente. In realtà poi si viene a sapere che il suo ruolo, nel mondo comunista è molto più importante e strettamente legato ai Servizi segreti della Cecoslovacchia e quindi degli stati del cosiddetto socialismo reale. Il suo rapporto col terrorismo rosso è conflittuale, ma fino a un certo punto: come per il padre di Cristiano, anche per il padre di Giulia l’obiettivo è l’indebolimento di un PCI la cui sbandierata indipendenza da Mosca potrebbe far nascere velleità nei paesi satelliti europei. Quindi, da qui il suo silenzioso, ma sostanziale appoggio alla figlia e alla sua appartenenza alle Brigate Rosse.
Giulia si trova nuovamente intrappolata nelle spire del passato terrorista in due occasioni: la prima quando scopre il memoriale del padre di Cristiano. Quando lo trova cerca di farlo avere all’interessato, ma facendo questo viene a contatto con personaggi che appaiono subito essere ambigui e molto più al corrente di fatti che riguardano la sua famiglia di quanto non lo sia lei stessa; la seconda quando, a seguito di un furto nella cassaforte del padre, viene a sapere che in quella cassaforte c’erano i verbali e i nastri degli interrogatori del sequestro Moro, rimasti segreti e contenenti fatti che avrebbero influenzato la politica italiana. Il padre li aveva ricevuti in consegna da uomini degli ex-servizi segreti cecoslovacchi dopo la caduta del muro di Berlino.
Queste due scoperte decideranno della sua vita: la consapevolezza di essere nuovamente caduta nelle spire delle conseguenze del terrorismo, e di essere minacciata di morte, la porta ad incontrare Cristiano e a scomparire assieme a lui.

Il libro ha il grande merito di scavare e cercare di capire la natura della società italiana: dalla seconda guerra mondiale in poi la società viene percorsa da correnti contrastanti animate da odio reciproco che, nonostante la Costituzione, la democrazia formale, l’influenza della Chiesa, etc. tendono a sopraffarsi. Potremmo definirle fascismo e antifascismo, o con altri nomi. Si riconoscono in leader, in organizzazioni, partiti, sindacati, etc. Si affrontano in modo sanguinoso o in modo sotterraneo fingendo di rispondere al metodo democratico. Ma non accetteranno mai una convivenza pacifica dove l’odio venga bandito per sempre. Lo stesso bipolarismo come viene attuato attualmente sembra rispondere a queste correnti di odio reciproco, in cui le parole fascismo antifascismo potrebbero essere sostituite da berlusconismo e antiberlusconismo, ma con significati più o meno simili. Non ci sarà il sangue, ma certamente c’è l’odio, portato dal solito vento. E la credibilità del Paese, continua a pagare prezzi sempre più alti.

Da un punto di vista strutturale il libro si organizza in capitoli che rappresentano alternativamente la voce di Cristiano e la voce di Giulia. Essi narrano le loro vicende, a partire dal passato, e sono le vicende che hanno come sfondo il terrorismo della brigate rosse e lo stragismo della destra eversiva.
Nella parte centrale del libro viene riportato il memoriale del padre di Cristiano, nel quale viene data risposta a molte delle domande del figlio e viene disegnata la strategia di questa organizzazione segreta ispirata al fascismo che sarebbe la responsabile delle stragi e della stragia della tensione. E viene ipotizzata la stretta parentela fra obiettivi del terrorismo rosso e obiettivi delle organizzazioni segrete della destra eversiva.

Da un punto di vista letterario il libro non mi è sembrato eccezionale. Il racconto tende a sfilacciarsi nelle nebbie dei misteri, nelle domande senza risposta, o con risposte sempre vaghe e prive di un minimo di certezze, anche sbagliate, magari, ma comprensibili sia sul piano degli eventi che sul piano psicologico.
I due personaggi protagonisti non sembrano delineati in modo tale da essere riconoscibili. Certamente vi sono ben descritte le incertezze, o addirittura i rimorsi di Cristiano, che tuttavia anche qui finisce per non saper distinguere fra colpevolezza e convinzione. Viene riportata una frase di suo padre che finisce per togliergli anche le ultime sicurezze: «È innocente non colui che è incapace di peccare, ma colui che pecca senza rimorsi.» I riferimenti alla Resistenza sono numerosi. Ma tutto sommato l’orizzonte del personaggio rimane immerso nella nebbia, quasi che lo scrittore non se la sentisse di scavare più a fondo, e lasciasse il suo eroe in balia dei misteri dell’organizzazione o dell’attività del padre.
Analogamente si può dire del personaggio femminile, Giulia. In questo personaggio il carattere è meno ben definito: l’intreccio fra la sua mentalità borghese (la famiglia, le feste etc) e la sua passata appartenenza, sia pure in modo molto periferico, al terrorismo mi sembra piuttosto vago, e solo nel finale del libro, quando scopre il contenuto della cassaforte derubata il passato torna in modo determinato.

Gli altri personaggi, che appaiono solo nelle narrazioni, il prof. Italo, il padre di Cristiano e il padre di Giulia sono solo delle ombre che incarnano organizzazioni misteriose che hanno solo lo scopo di intralciare le vite dei due protagonisti.
Tutto sommato mi sembra che all’interesse dell’argomento, e al suo sviluppo, non corrisponda una altrettanto efficace espressione letteraria.

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