LE CENERI DI ANGELA, di Alan Parker (1999)

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Film tratto dal notissimo libro (Angela’s Ashes) di Frank McCourt, vincitore nel 1997 del Premio Pulitzer. Non sono in grado di fare un confronto col libro: sia perché libro e film sono due forme espressive molto differenti, e devono essere valutate per quello che sono; sia perché purtroppo il libro non l’ho letto. Il film comincia con immagini di una ambiente super degradato di una piccola città irlandese: foto di case semi-diroccate che fiancheggiano vicoli sporchi percorsi da ruscelli che si può immaginare fatti di acqua piovana ma anche di acque sporche che i poverissimi abitanti delle case ogni mattina vi riversano dai loro pitali.

È la storia di un bambino cresciuto in quell’ambiente. Sono sue le prime parole che si sentono nel film:

«Se ripenso alla mia infanzia, mi domando come siamo riusciti a sopravvivere i miei fratelli e io. Naturalmente è stata un’infanzia infelice, se no non ci sarebbe gusto. Ma un’infanzia infelice irlandese è peggio di un’infanzia infelice qualunque. E un’infanzia infelice irlandese e cattolica è peggio ancora.»

Il film è un po’ la storia di quell’infanzia cresciuta nella povertà assoluta di una famiglia di emigranti irlandesi che da New York, città in cui non riescono a raggiungere il livello minimo della sopravvivenza, decidono di tornare in patria.

La vita in patria non è meglio, anzi, se possibile, ancora peggiore. L’Irlanda che si è liberata dagli Inglesi, l’Irlanda per la quale sono morti tanti giovani, non è quella dei sogni. È una terra brutale, dove il fenomeno classista regna sovrano, dove la religione cattolica si avvicina più alla superstizione che a una vera fede interiore. La vita del bambino, il protagonista, Frank (interpretato da Michael Legge), soffre di questa realtà: una famiglia numerosa, in cui alcuni dei figli muoiono per consunzione dovuta a scarsa denutrizione; in cui il padre (irlandese del nord, e quindi malvisto, anche perché probabilmente protestante e non cattolico, interpretato da Robert Carlyle) lavora poco, e quelle poche volte che prende una paga se la beve; in cui la madre (Angela, appunto, interpretata da Emily Watson) è una donna sfiduciata e rassegnata; in cui il parentado, avendo in odio il padre, lesina gli aiuti indispensabili.

La storia segue Frank in questa difficilissima infanzia: le liti coi fratelli minori ma anche l’affetto che regna fra di loro; la scuola e le scudisciate dei maestri; le ubriacature del padre e la sua cronica disoccupazione; il viaggio del padre in Inghilterra per trovare un lavoro, ma che, pur guadagnando, non manda un pence alla famiglia; la fame perenne e mai saziata da pasti racimolati nelle circostanze più umilianti; l’elemosina chiesta alla associazioni caritatevoli come la San Vincenzo che danno poco e umiliano il ricevente; i peccati di gioventù, le confessioni, la prima comunione, la cresima; il primo lavoro di spalatura e distribuzione del carbone, per cercare di aiutare la famiglia; la grave congiuntivite che gli impedisce di continuare a lavorare; la bravura di Frank a scuola nello scrivere, ma il rifiuto di accoglierlo nelle loro scuole da parte di autorità ecclesiastiche; il trasferimento nella casa di un parente che si comporta in modo tirannico e si scopa la madre come pigione d’affitto; l’allontanamento di Frank che trova un lavoro come postino e trova l’amore in una fanciulla affetta da tubercolosi, che tuttavia morirà dopo poco tempo, lasciandolo in preda a un dolore estremo.

Frank nel frattempo è cresciuto, è intelligente, sa scrivere bene. I soldi che guadagna vengono depositati in banca: il suo sogno è quello di tornare in America, dove le qualità personali contano di più del censo e della classe di appartenenza. Trova un lavoro accessorio presso una usuraia, che deve riscuotere prestiti elargiti a diverse persone, e che ha bisogno che qualcuno scriva per lei lettere ultimative. Questo lavoro (e il film) si conclude con la morte della donna usuraia, che Frank trova accasciata priva di vita sulla sua poltrona. Frank non ha scrupoli: prende i soldi che sono nella piccola cassaforte della donna, distrugge il registro con l’elenco dei debitori, e finalmente compra il biglietto per la nave che lo porterà nella sognata America.

Il film è angosciante, il racconto portato avanti senza tregua, con insistenza sulla miseria di una vita chiusa dalla estrema povertà, dalla impossibilità di un riscatto, dai paesaggi degradati ma immersi in una natura verde e luminosa, dalle case orrende, dove pioggia, umidità persistono 12 mesi all’anno, causa di malattie e mortalità infantile.

I personaggi sono vivi: Frank riesce a dare l’idea di un bambino che crescendo cerca la propria personalità, attraverso il lavoro, ma anche attraverso l’amore e l’orgoglio personale. Angela la madre forse sembra essere un personaggio fragile, che sa scontrarsi con il padre fannullone, a volte anche in modo duro. Ma secondo me non è un personaggio del tutto riuscito, almeno nel film. Il padre è il prototipo dell’orgoglio vacuo. Esprime grande affetto per i figli, ma tutto si ferma alle smancerie degli abbracci: nella sostanza non ha il minimo scrupolo da una parte a evitare l’umiliazione dell’elemosina, e dall’altra a bersi tutti i soldi che sarebbero indispensabili, per la sopravvivenza della moglie e dei figli. I parenti sono la rappresentanza della grettezza di una religione fatta sostanzialmente di superstizione.

Il finale è abbastanza scontato e mi è sembrato un classico “lieto fine”. Come giudizio complessivo direi un bel film, ma, anche a causa delle eccessiva lunghezza, non certamente un capolavoro come ci si sarebbe potuto aspettare da Alan Parker.

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