THE RAKE’S PROGRESS, alla Scala

 

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Come è noto, l’opera è stata composta da Stravinsky all’inizio degli anni Cinquanta su libretto di Auden e Kallman ispirato a una serie di incisioni di Hogarth (Vedi), dal titolo, appunto, A Rake’s Progress. L’opera conclude quello che gli storici chiamano il secondo periodo del compositore russo: il periodo neoclassico, iniziato con il balletto Pulcinella (1919). “Musica al quadrato”: con questa espressione il compositore intendeva definire composizioni ispirate nella forma e nel linguaggio a opere musicali del passato. Nel caso di The Rake’s Progress, all’opera italiana a numeri. Anzi proprio in un’opera di Mozart, il Don Giovanni, molti commentatori hanno voluto vedere il suo modello. E sotto certi aspetti vi sono molti eventi, nell’intreccio e nello sviluppo, che giustificano l’asserzione. Senz’altro il tema delle dissolutezza ne è il fondamento; ma anche l’intervento soprannaturale, il finale fra le fiamme dell’inferno, l’esposizione di una morale, e altri piccoli particolari avvicinano le due opere.

Come si è detto, The Rake’s Progress è un’opera a numeri. Vi sono arie, recitativi secchi, recitativi accompagnati, ariosi, cavatine, cabalette, brani d’insieme, come duetti, trii, cori, intermezzi orchestrali, etc. Stravinsky afferma si avere scelto proprio le convenzioni dell’epoca nella quale si situa l’azione dell’opera, ovvero il XVIII secolo. L’azione si sviluppa attraverso i recitativi, mentre le arie rappresentano momenti di espressione di sentimenti o di meditazione. In realtà questo accade soprattutto nel primo atto. Negli atti successivi (ce lo conferma lo stesso compositore) numeri cantati e recitativi si intrecciano strettamente nello sviluppo dell’intrigo.

L’organizzazione è su base ternaria: tre atti; ogni atto è composto di tre scene. Il numero tre ricorre un po’ come una formula magica: lo si manifesta anche nell’impianto drammaturgico. Kallman, che è un uomo di teatro di grande esperienza fa perno, nell’articolare la carriera del libertino, sui tre desideri di Tom Rakewell. Questi, fidanzato della innamoratissima Anna, è una persona di scarsa volontà, tendenzialmente fannullone, che aspetta che la fortuna risolva tutti i suoi problemi: è una preda ideale per il diavolo. Per tre volte esprime un desiderio: «I wish I had money», canta dopo che il futuro suocero gli ha prospettato un onesto posto di lavoro, e lui lo ha rifiutato, perché non vuole faticare per arricchire gli altri. «I wish I were happy», canta dopo che la vita libertina, priva di qualsiasi contenuto che non sia il piacere del momento, comincia ad annoiarlo. «I wish it were true» canta deluso dal matrimonio con Baba la Turca, dopo aver sognato un marchingegno che trasforma i sassi in pane così da alleviare le sofferenze dell’umanità. I tre desideri sono il motore che fa procedere la vicenda. Musicalmente si situano alla fine di un’aria di malcontento, vengono pronunciati a orchestra muta, su una stessa nota, e seguiti da un arpeggio ascendente del clavicembalo che introduce il diavolo, Nick Shadow. Questa struttura a tre mani, mi ha ricordato la struttura delle fiabe dei F.lli Grim, nelle quali in numero magico tre porta alla conclusione gli eventi favolosi che vi si narrano.

Nick darà risposta ai desideri espressi. Nel primo caso in un modo imprevisto ma verosimile: una fantomatica eredità arricchisce il nostro eroe. Nel secondo caso in un modo insolito, che va contro il senso comune: le nozze che una donna barbuta, fenomeno da baraccone, Baba la Turca. Nel terzo caso, in un modo decisamente onirico: il sogno di un marchingegno inesistente si materializzerà, ma lo porterà alla rovina economica e poi, eventualmente, anche a quella dell’anima.

Il finale dell’opera è ben conosciuto: Shadow porta Tom ormai finanziariamente rovinato, in un cimitero e gli chiederà l’anima. Ma gli dà ancora una chance: se il ragazzo riuscirà a indovinare le tre carte che egli estrarrà dal mazzo (ancora il numero tre!) sarà salvo. Tom riuscirà nell’impresa, aiutato dall’immutato amore (nonostante i tradimenti di lui) della fidanzata Anne, ma ciò gli costerà la ragione.

L’ultima scena si svolgerà in un manicomio dove il mentecatto Tom riceverà, prima di morire, l’ultima visita del suo vero amore, che gli canterà una splendida ninna-nanna.

L’opera, come già il Don Giovanni, termina con un epilogo, nel quale i sei personaggi principali escono sulla scena a sipario abbassato e cantano la morale: «Brava gente, ancora un attimo: la nostra storia è terminata, ma occorre tirare la morale di quello che avete visto da quando per la prima volta si è alzato il sipario». Quale che sia la morale propugnata dai protagonisti è facile immaginarlo.

La musica.

Stravinsky utilizza un linguaggio tonale, e in occasioni diverse, politonale. Vi è grande varietà di atmosfere. Quella lirica si riscontra in diverse occasioni: per esempio, nel duetto iniziale Tom-Anna “The woods are green” in cui il loro amore viene ravvivato dalla natura primaverile; nell’aria di Anna “Quietly, night, o find him and caress”, quando Anna è angosciata dalla mancanza di notizie da parte del suo Tom; nella bellissima ninna-nanna “Gently, little boat” con la quale Anna accompagna al sonno (o alla morte) il suo amato. In altre occasioni il tono si adagia sul rimpianto, come nell’aria “Love, too frequently betrayed” che Tom, preso da improvvisa nostalgia per la tradita Anna conta nel bordello londinese, oppure sulla noia, come nell’aria “Vary the song, O London, change!” sempre di Tom. La cabaletta di Anna “I go, I go to him” esprime volontà e decisione, mentre i cori di puttane e clienti “With air commanding and weapon handy” riconducono all’ambiente degradato e volgare di una Londra dei bassifondi, oppure, o ancora il coro di dolce rammarico “How sad a song” cantato dalle prostitute in risposta all’aria di Tom sull’amore tradito.

Ma si potrebbe continuare: ogni momento ha la sua aria, il suo numero di canto in stratta coerenza con lo svolgersi della vicenda; e tutti i numeri, melodici nelle arie o declamati nei recitativi e negli arioso, esprimono stati d’animo, atmosfere, paure (il duetto del gioco delle tre carte!), contrasti, perfino violenza (si pensi all’aria di Baba contro Tom prima e contro il banditore dopo “Scorned! Abused! Neglected! Baited” o all’aria di Nick al momento di precipitare all’inferno, dopo essere stato sconfitto da Tom nel gioco delle tre carte: “I burn! I burn! I freeze! In shame I hear”).

L’orchestra stravinskiana è ricchissima di timbri assai espressivi; l’armonia trova soluzioni piccanti, eccitanti, dissonanze stuzzicanti; il ritmo è variabile e spesso inatteso, contribuendo in gran misura a tener desta l’attenzione dello spettatore, spesso a stupirlo, a dagli le sensazioni più diverse, dalla pace agreste, all’erotismo, al mistero, all’ira, al divertimento corale di un’asta che mette in vendita il tesoretto di Baba. Per esempio un effetto particolarmente misterioso viene suscitato dal suono del clavicembalo col suo timbro algido e il suo ritmo scandito quasi a significare l’ attesa di una tragedia incombente, come accompagnamento al duetto Tom-Nick del gioco delle tre carte, mentre Tom affannosamente cerca la risposta. Un altro esempio potrebbe essere il coro delle puttane e dei loro clienti che accompagna Tom e Mother Goose che si appartano, e che manifesta una salacità qui densa di un’attesa ben differente “Lanterloo”. Oppure ancora il ritmo di valzer col quale il banditore mette all’asta i preziosi oggetti di Baba e gli avventori che fanno le offerte, che nell’insieme esprime una vivacità che ben si addice all’eccitazione che accompagna ogni speranza di fare buoni affari.

La rappresentazione scaligera.

Se devo essere sincero, mi è parsa un po’ al di sotto delle mie attese. Intanto la messa in scena. Il regista, Robert Lepage, ha trasportato l’azione dalla Londra del XVIII secolo in un Texas del XX secolo. Nella prima scena, durante il duetto della primavera, Tom e Anna sono sdraiati in una landa arida, nella quale in secondo piano lavora col suo lento ritmo una pompa per l’estrazione del petrolio. Nella parete di fondo è proiettato un cielo attraversato da nubi che a un certo punto diventano minacciose (l’arrivo di Nick).  Gli abiti sono pure di foggia texana: jeans, giubbotti stretti, cappelli a larga tesa, grossi sigari avana in bocca, etc; per la donna vestitini da brava fanciulla di casa, etc. Già all’inizio il regista ha voluto inserire un fremito di mistero. Non appena Tom sussurra il primo dei suoi «I wish», dal sottosuolo, proprio dove la pompa petrolifera sta scavando, si materializza in una specie di tuta color petrolio, occhiali scuri, faccia sporca come si conviene a chi esce dal sottosuolo, e inevitabile cappello, il Nick Shadow-diavolo che darà la risposta positiva al desiderio di Tom, portando la notizia dell’eredità.

Le varie scene che si susseguono, richiamano l’ambiente texano, sia negli arredi scenici, sia nei costumi. La scena del bordello londinese è trasformata in una specie di saloon frequentato da cow boy e da prostitute. Ma la scena potrebbe essere anche quella di un film, perché su un trespolo che si alza e si abbassa vediamo Nick in veste di operatore cinematografico che riprende le scene. Tom e Mother Goose si incontreranno su un grande letto rosso posto al centro della scena, nel quale sprofonderanno scomparendo alla vista, mentre tutt’attorno prostitute e roaring boys canteranno il “Lanterloo”. La facciata della casa di Tom e Baba non è altro che la facciata di un teatro con una grande scritta pubblicitaria di un presunto spettacolo di Tom Rakewell e Baba la Turca; l’interno della casa si presenta come un’enorme terrazza che dà sul mare, con tanto di piscina all’interno.

Attorno a questa piscina si sviluppa la scena di Tom e Baba. E nella piscina Tom affoga la moglie nel corso della lite. La stessa scena si osserverà nel quadro successivo: la grande terrazza è occupata da molti avventori, mentre Sellem, il banditore mette all’asta i diversi oggetti ripescati nella piscina. Fra i diversi oggetti ci sarà anche Baba, che riprenderà istantaneamente vita e l’aria che Tom aveva interrotto col suo gesto di violenza nel quadro precedente. Il cimitero, nel penultimo quadro dell’opera, viene raffigurato come luogo sinistro, con immagini claunistiche, scritte minacciose, mentre Shadow si presenta con un abito nero e l’aspetto terrificante di un demone in caccia della sua preda. L’ultima scena è quella del manicomio, affollata di alienati in grandi camici bianchi, mentre Nick indossa una vera e propria camicia di forza; giacigli e un mobile con sopra un apparecchio televisivo completano la scena.

La messa in scena e l’interpretazione del regista di spostare la vicenda in un’America relativamente recente, possiamo immaginare il Texas, nella sostanza funziona. Tuttavia quello che mi sembra che sia mancata è l’atmosfera, della quale invece mi sembrano ricche le incisioni di Hogarth. Diciamo che la freddezza dei colori scelti per la scenografia contrasta (secondo me negativamente) con il calore e l’atmosfera densa e movimentata delle incisioni di Hogarth.

L’esecuzione musicale è stata molto buona. Il direttore, Robertson, ha saputo esprimere con sufficiente chiarezza tutti i momenti salienti, sia nell’accompagnamento delle voci, sia negli intermezzi orchestrali. Il problema, secondo me di maggior difficoltà, è stato quello di disegnare le linee melodiche in modo ben comprensibile in un’atmosfera di dissonanze crepitanti. In questo le due incisioni dell’opera dirette da Stravinsky sono state pressoché perfette. Robertson ne ha seguito le tracce in modo, direi, soddisfacente.

Sul canto esito a pronunciarmi: prima di tutto non sono un vociologo; in secondo luogo le arie non mi pare che presentino difficoltà insormontabili; in terzo luogo nessuno dei cantanti è a me noto; e infine l’aspetto che più mi interessa in un’opera come questa è l’espressione del carattere, dei pensieri, degli stati d’animo dei personaggi. In questo direi che ognuno ha saputo esprimere al meglio il personaggio interpretato: meglio di tutti le due donne, Anna, interpretata da Emma Bell e Baba la Turca interpretata da Natasha Petrinsky. Molto buono anche il tenore Andrew Kennedy nel ruolo di Tom Rakewell; un filino al di sotto mi è parso il baritono William Shimell nella parte di Nick Shadow; dal suo ruolo mi sarei aspettato un modo di cantare più dominante: in fin dei conti è il burattinaio che tira i fili della marionetta Tom. Il cast è completato dal Robert Lloyd nella parte del padre di Anna, da Juliane Young nella parte di Mother Goose e da Donal Byrne nella parte del banditore.

I commenti ascoltati nell’intervallo erano moderatamente positivi; non vi sono stati applausi a scena aperta, mentre gli applausi alla fine dell’opera sono stati calorosi anche se non entusiasti. E tutto sommato, questa è stata anche la mia reazione.

 Leggi l’analisi musicale di Henry Barraud su Avant-Scène Opéra

Guarda le foto di scena 

2 Commenti a “THE RAKE’S PROGRESS, alla Scala”

  1. orfeo scrive:

    Ciao, ho letto con piacere e grande interesse alcuni post musicali (e non) del tuo blog.
    Mi chiedevo dove reperire quelle analisi musicali che ogni tanto inserisci al termine del tuo commento.
    Grazie e buon proseguimento.

  2. Rudy scrive:

    Anzitutto ti ringrazio del benevolo commento.
    Quelle analisi musicali sono la (mia) traduzione in italiano dal francese di articoli della rivista Avant-Scène Opéra. Ogni numero della rivista è riferito a un’opera (ne sono usciti, mi pare circa 250). C’è il libretto in lingua originale e in traduzione in francese, ci sono analisi musicali, c’è la storia dell’opera, ci sono le date e i cast delle principali rappresentazioni nei diversi teatri del mondo.
    il sito è:
    http://www.asopera.com/fr/

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