MIA SORELLA È UNA FOCA MONACA, di Christian Frascella

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È il primo romanzo di Frascella ed è finalista candidato al premio Viareggio 2009. L’ho affrontato con una certa diffidenza: francamente il titolo non attirava. Mi sembrava uno di quei titoli che si affidano a una originalità forzata che, nelle intenzioni, dovrebbe invogliare alla lettura. In realtà non è stato così. A parte l’impressione negativa del titolo, il romanzo è bello, divertente, originale ma non in modo forzato, costruito attorno al protagonista, un ragazzo di sedici anni con un carattere un po’ sbruffone, pieno di curiosità per la vita, coraggioso la sua parte, simpatico nella sua antipatia, alla ricerca di se stesso con tutti i dubbi e le perplessità di un adolescente che sta uscendo dal nido.

Il ragazzo non ha un nome. Vive, alla periferia della Torino degli anni Ottanta, in una famiglia piuttosto squinternata: il padre è un quasi alcolista disoccupato che riesce a far sopravvivere la famiglia con qualche lavoretto precario qua e là; la madre è scappata con un benzinaio più giovane fregandosene dei figli; e c’è anche una sorella, un tipo grigio, timido, privo di una vera animazione interiore, e fortemente attratta dalla fede e dalle pratiche religiose, forse per scontare il grave peccato della madre.

Nell’ambito famigliare il ragazzo rispetta (ma non troppo) il padre, che chiama Capo e dal quale cerca, quando capita, eventuali risposte alle cose della vita che l’esperienza gli propone, ovviamente senza successo; disprezza invece la sorella, che chiama appunto foca monaca, sia per la sua mania religiosa, sia per la sua fragilità e inconsistenza come donna.

La storia comincia con una rissa nella quale il ragazzo viene duramente picchiato e quindi sospeso da scuola. Già in queste prime pagine ne emerge il carattere. Nonostante le botte prese, si convince di aver sonoramente battuto il suo avversario, e se ne fa un vanto, immaginando di essere un pugile altrettanto bravo quanto un suo eroe che ha più volte ammirato in TV e dal quale immagina di avere imparato l’arte.

La sospensione da scuola per lui non è un problema: anzi, ne approfitta per andarsene definitivamente, e decidere di trovare un posto di lavoro nel quale guadagnare a sufficienza per rendersi indipendente.

Viene così assunto in una fabbrica che lavora profilati per carrozzerie di automobili. Il racconto ci dà un’immagine del lavoro operaio in quegli anni: ritmi sempre più convulsi dove la quanità della produzione è l’unico valore che conta; capi-officina che, al fine di aumentare la produzione, ricattano i dipendenti; spesso concorrenza spietata fra operai; brevi pause quasi sempre interrotte in anticipo, etc. Il nostro eroe subisce i ricatti, ma reagisce con quel carattere strafottente col quale, pur essendo vittima, si immagina di essere il dominatore; respinge e disprezza la solidarietà degli altri operai che avvertono sulla propria pelle lo sfruttamento, etc.

A fianco alle disavventure del lavoro in fabbrica, emergono nel romanzo tre storie d’amore. Una riguarda proprio il nostro ragazzo: al micromarket, dove va a fare la spesa, si incontra e si scontra con una fanciulla addetta alla gastronomia, Chiara, della quale si innamora. Chiara ha due anni più di lui; non solo è una bella ragazza, ma è anche molto matura, e nelle more del corteggiamento, il nostro ragazzo avrà modo di avvertirne l’influenza positiva, pur opponendole la inevitabile resistenza dell’adolescente che vuole dimostrare sicurezza e padronanza di sé. L’altra storia d’amore è quella del padre con una donna, Virginia. Questa storia d’amore aiuterà il padre a uscire dal pericolo dell’alcol e gli darà nuove speranze di vita. Ma mentre la sorella foca monaca vede con entusiasmo il nuovo impegno del padre e diventa subito amica di Virginia, il protagonista lo vede con diffidenza; anzi l’arrivo di questa donna rafforzerà in lui il desiderio di andarsene di casa. La terza storia d’amore è quella della sorella Francesca con un ragazzino, studente universitario in scienze politiche, perennemente fuoricorso, timido e abbastanza succube alla prepotenze del protagonista. I due si cercano e manifestano il reciproco amore, ma sembra quasi che di questo si vergognino o addirittura lo vivano come una colpa, almeno di fronte al fratello, che mostra di disprezzarli. Le tra storie d’amore si influenzeranno reciprocamente, ma soprattutto, assieme ad altra disavventure, alla fine aiuteranno la maturazione del nostro protagonista, che imparerà ad avere un po’ più di considerazione per gli altri, per i loro problemi, e per le necessità della loro esistenza.

Il libro è scritto in una prosa facile, scorrevole, quasi una forma dalla quale emergono i pensieri e il modo di essere del ragazzo: grande autostima con la quale egli cerca di soffocare la sua consapevolezza di essere continuamente a rischio: in una rissa, di prenderle dal più forte; sul lavoro, di non farcela; in amore, di essere respinto, etc. Eppure, assieme all’autostima e nonostante le batoste che subisce, manifesta un grande coraggio, e non esita a gettarsi nelle imprese, giurando a se stesso di farcela. Suoi modelli sono gli eroi dei film: Richard Geere  in American Gigolo, Mickey Rourke in Rusty il selvaggio, etc.

Il libro non ha un finale compiuto. L’ultimo episodio vede il nostro eroe vincere il proprio egoismo e sentire l’urgenza dell’affetto: il padre è ricoverato in ospedale in gravi condizioni: egli, che fino a qualche giorno prima aveva dimostrato grande indifferenza per i suoi problemi, esce di gran corsa (come Carl Lewis, naturalmente fra sé immagina) dalla fabbrica e corre a trovarlo, anche a costo di violare i ricatti del capo-officina e, forse, di perdere il posto cui teneva tanto.

 

Ascolta l’intervista a Christina Frascella a Fahrenheit su Radio3

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