L’ORFEO di Monteverdi: considerazioni sull’opera e sulla rappresentazione alla Scala

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La rappresentazione dell’Orfeo alla Scala è stata per me un’occasione per approfondire le mie conoscenze dell’opera barocca. Sotto il termine “barocco” si raggruppano lavori di grandissima diversità sia a livello drammaturgico, come a livello della struttura e della stessa concezione musicale. Confesso che, mentre non amo particolarmente le opere del cosiddetto barocco “debordante” che prevale nel XVIII secolo (Händel, Vivaldi, Hasse etc.), sono invece attratto dalle opere del XVII secolo (Monteverdi, Landi etc.).

Mercoledì sera ho assistito proprio all’Orfeo di Monteverdi su libretto di Striggio, forse la prima opera lirica nell’arco della Storia del Melodramma, cui ci è dato da assistere (la data della prima rappresentazione risale al 1607). Non a caso, mi sembra, l‘argomento dell’opera è il mito di Orfeo, uno dei più interessanti miti tramandatici dalla letteratura della Grecia Classica, mito che vuole significare proprio la forza della musica e il suo valore per lo spirito umano. E pure una coincidenza interessante mi pare il fatto che proprio il mito di Orfeo sia stato utilizzato da Gluck per dar luogo alla sua rivoluzione con Orfeo e Euridice. Come dire, il mito di Orfeo viene richiamato in due momenti decisivi per la storia del melodramma.

Da un punto di vista drammaturgico, L‘Orfeo di Monteverdi sembra aderire molto esplicitamente alla poetica di Aristotele. Gli eventi si distribuiscono in cinque atti, in modo simmetrico: un prologo in cinque strofe (cinque come il numero degli atti), cantato dalla Musica, presenta il primo atto, che funge da introduzione (il matrimonio di Orfeo ed Euridice), mentre il quinto e ultimo atto costituisce l’epilogo (l’ascesa di Orfeo al Cielo). Nel secondo e quarto atto si verificano le due peripezie, ovvero i due cambiamenti di stato d’animo di cui è vittima Orfeo. Nella prima peripezia, quella del secondo atto, Orfeo, al colmo della felicità, viene raggiunto dalla terribile notizia della morte dell’amata e gettato nella più nera disperazione, che lo induce alla decisione di scendere agli inferi. Nella seconda peripezia, quella del quarto atto, Orfeo, che ha ottenuto dagli dei infernali di poter riportare la sua diletta sulla terra, mentre giubila per questo successo, contravviene agli ordini ricevuti. Anche questa volta il cantore sarà gettato nella più nera disperazione e sarà costretto a risalire al mondo da solo, perché Euridice dovrà tornare fra le ombre eterne. Il terzo atto, l’atto centrale, ci offrirà l’apogeo, cioè il punto culminante in cui viene espressa la forza della musica: il canto di Orfeo “Possente Spirto”, col quale il poeta entra nell’Inferno e cerca di convincere i “Tartarei Numi” a “rendergli il suo ben”.

Lo sviluppo dell’opera, oltre che su i personaggi principali (Orfeo, Euridice, Proserpina, Plutone, Caronte, la Messaggiera, la Speranza e la Musica) che interpretano lo svolgersi degli eventi, è basato in modo determinante sul coro, che come nella tragedia greca, soprattutto eschilea, rappresenta lo strumento di racconto e commento. Il coro, all’inizio costituito da Pastori e Ninfe, canta il paradosso, cioè il canto d’ingresso, in questo caso un epitalamio (“Vieni Imeneo”), e poi negli atti successivi, sempre come pastori e ninfe, oppure come spiriti infernali, lo stasimo, il canto sulla scena, che conclude i vari atti.

Dal punto di vista degli eventi credo che sia giusto rilevare un aspetto importante: il fallimento dell’impresa di Orfeo. Orfeo fallisce per due motivi, ovvero peccati: il primo è la presunzione. È convinto che la bellezza della sua musica abbia sconfitto i Tartarei Numi. Il secondo è la mancanza di fede: non si fida della parola degli dei, vuole controllare. Apollo suo padre, nell’ultimo atto glielo fa rilevare “Troppo, troppo gioisti di tua lieta ventura, Hor troppo piagni tua sorte acerba e dura”.

Da notare la differenza con l’Orfeo e Euridice di Gluck: in quest’ultima opera non è Orfeo a compiere il peccato, ma Euridice. Orfeo si volta perché Euridice lo accusa di indifferenza se non di crudeltà, e Orfeo cede per non far soffrire l‘amata.

L’opera termina con l’assunzione di Orfeo al cielo, condottovi da Apollo. Ma nella prima edizione dell’opera il finale era diverso: Orfeo veniva sbranato dalle Baccanti, perché aveva rifiutato l‘invito della altre donne (“Hor le altre donne son superbe e perfide etc.”) Questo feroce finale è poi stato sostituito per ragioni di opportunità: si trattava di un’opera celebrativa alla corte di Mantova, e quindi era più idoneo un finale lieto.

Quello che, secondo me, occorre sottolineare è la bellezza dei versi e della lingua di Alessandro Striggio, che si sposano in modo pressoché perfetto con la musica di Monteverdi. Frequenti in Striggio sono i richiami danteschi negli atti che si riferiscono al regno degl’Inferi. Basti pensare ai versi del canto centrale dell’Opera, “Possente Spirto” in endecasillabi che ricalcano perfettamente le terzine dantesche a rime alternate. Così anche la citazione del verso della Divina Commedia “Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate” cantato dalla Speranza che accompagna Orfeo, diventa la giustificazione al fatto che questa dovrà abbandonare colui al quale fino a quel momento ha prestato assistenza.

Tutto l’ambiente infernale, pur essendo ricalcato sugli Inferi della mitologia greca, non manca di offrire un clima che richiama quello dell’Inferno della Divina Commedia.

La musica.

Nell’Orfeo non vi sono arie con da capo, e tantomeno recitativi secchi. Il canto solistico è un declamato, a volte con espressioni anche ricche di virtuosismo, alternato a brevi interventi dell’orchestra (ritornelli e sinfonie). Il coro, assume frequentemente ritmi di danza. La musica non ha una vera e propria tonalità: è fondamentalmente modale, accompagnata dal basso continuo. La polifonia è prevalentemente basata sul contrappunto. Raramente si ascoltano dissonanze.

L’introduzione offre una bellissima Toccata affidata agli ottoni. Nel resto dell’opera i timbri orchestrali si distribuiscono a seconda dell’ambientazione e degli eventi: suono fresco dei legni, soprattutto flauti, nelle scene pastorali del primo atto e dell’inizio del secondo; suono cupo dell’organo e chitarrone (o liuto) nelle scene di dolore; prevalenza di ottoni e legni nelle scene infernali.

A seguito dell’introduzione vi è il Prologo cantato dalla Musica: cinque strofe di un canto melismatico, sempre sullo stesso tema, intercalate da identici ritornelli.

Fra i solisti, Orfeo ha il maggior numero di interventi: uno o più in ogni atto. Nel primo la bella aria “Rosa del ciel” nella quale dichiara il suo amore per Euridice; nel secondo le coupletsVi ricorda o boschi ombrosi” con le quali esprime la sua gioia per le recenti nozze con Euridice, e l’arioso “Tu sei morta” nel quale esprime lo sgomento a seguito dell’annuncio, e il proposito di recarsi agli Inferi. Nel terzo atto c’è il suo intervento più famoso e più bello “Possente Spirto”, con il quale, mediante un’aria ricca di melismi  (cantar passeggiato, cantar d’affetto, cantar sodo) cerca di convincere Caronte a lasciarlo passare. Quest’aria è costituita da sei strofe con struttura a terzine simile a quella della Divina Commedia, delle quali la prima è accompagnata e seguita da un ritornello di violini, la seconda di tromba, la terza di arpa, mentre le ultime tre non sono seguite da ritornello, e sono accompagnate da archi e da basso continuo. Nel quarto atto Orfeo canta la sua gioia, ma anche la sua presunzione e diffidenza in modo che proprio durante quest’aria si svolge la seconda peripezia.

Gli interventi cantati di Euridice, molto belli, sono solo due: uno nel primo atto, in risposta a “Rosa del ciel” e l’altro nel quarto atto, dopo che Orfeo, contravvenendo al comando dei Tartarei Numi, si è voltato. Quest’ultimo intervento “Ahi, vista troppo dolce”, è assai doloroso, cantato su una base fortemente cromatica e ricco di dissonanze.

Nel quinto atto, c’è un lungo intervento declamato di Orfeo, con risposte dell’eco, “Questi campi di Tracia”, dove il poeta rifiuta la possibilità di avvicinarsi ad altre donne che non siano la sua Euridice, e che sfocerà alla fine in un duetto con Apollo, all’inizio con un sobrio e solenne recitativo, e alla fine col simultaneo canto di “Saliam cantando al cielo”.

I cori accompagnano le scene e comunque chiudono sempre l’atto: pastori nel primo e secondo atto; spiriti infernali nel terzo e quarto; nuovamente pastori nel quinto, con la danza di chiusura rappresentata dalla Moresca.

La rappresentazione alla Scala.

La regia di Wilson si adatta splendidamente alla struttura drammaturgica di tipo “greco classico”.

Anzitutto la scenografia: il primo e il secondo atto sono ambientati nei boschi di Tracia, rappresentati da due filari di cipressi che da destra e da sinistra tendono a convergere verso il fondo. Nell’aria pende una cetra. Questa scenografia riprende lo sfondo di un quadro del Tiziano “Venere con Eros e organista” al Museo del Prado. Sulla scena vi sono pastori, bestie di varia natura e Orfeo, seduto, che col suo canto le ammalia. I costumi dei personaggi sono seicenteschi, come i costumi dell’epoca di composizione dell’opera. Il terzo e il quarto atto sono ambientati agli Inferi, rappresentati da una parete irregolare di roccia torva, nella quale si apre una finestra luminosa, dove si manifesta la presenza di Caronte, anch’egli in costume seicentesco. Nel quarto atto la finestra si allarga e in essa si mostrano Proserpina e Plutone, nella scena in cui Proserpina convince il suo sposo a liberare Euridice.

Nel quinto atto, ritornano i campi di Tracia, in presenza di un sole abbagliante verso il quale Orfeo salirà al cielo assieme ad Apollo, mentre i pastori cantano il coro finale.

I personaggi, in particolare i protagonisti, hanno movenze corporee molto lente. I diversi aspetti degli stati d’animo non trovano espressione in movimenti drammatici, ma piuttosto nella direzione sulla scena dei movimenti. Non c’è retorica e neppure intensità espressiva. Gli stati d’animo, la psicologia dei personaggi è affidata a lenti movimenti che consentono alla musica di esprimersi in modo palese. Per esempio notevole è lo sgomento di Orfeo, durante la prima peripezia, all’annuncio della morte di Euridice: rimane immobile, attonito, finché prende la parola con l’arioso “Tu se’ morta mia vita”, senza che questo ne aumenti l’agitazione, mentre il coro, immobile sulla scena, lamenta “Ahi caso acerbo!”. La drammaticità risulta di grande efficacia. Analogamente, i momenti drammatici successivi, l’incontro con Caronte, la seconda peripezia del quarto atto, etc. più che alle movenze esacerbate dei corpi, affidano l’espressione a una forma di staticità, che richiama l’espressione caratteristica della tragedia greca.

I cori, in diverse condizioni si esprimono in ritmi di danza: nel primo atto, ad esempio, come in “Lasciate i monti” la danza viene interpretata da uno strano uccello solista con lungo becco (Nicola Strada), che danza con movenze di scatto, giravolte etc. In altre occasioni, come nelle scene degli inferi, il coro non compare neppure.

Da osservare che il finale della favola è stato quello classico dell’ascesa al cielo, senza che vi sia stata la benché minima citazione della morte di Orfeo, straziato dalla Baccanti, come in altre rappresentazioni è avvenuto.

L’interpretazione musicale: mi è sembrato di altissimo livello. Alessandrini ha saputo immedesimarsi in modo chiaro ed efficace nella favola dando ottima luce ai diversi timbri che illustrano le diverse ambientazioni. I tempi usati mi sono sembrati un po’ più accelerati di altre edizioni che ho avuto modo di ascoltare in DVD (per esempio quella di René Jacobs o quella di Jordi Savall), ma perfettamente compatibili.

Il cast è stato di ottimo livello: in primo piano Orfeo, il tenore Georg Nigl, che ha dato una interpretazione superlativa del personaggio, sia come canto, sia come movenze sceniche.

Di alto livello anche gli altri personaggi: Euridice (Roberta Invernizzi, che ha interpretato anche il ruolo della Musica nel Prologo), la Messaggera e la Speranza interpretate da Sara Mingardo, Caronte interpretato dal basso Luigi De Donato e Plutone da Giovanni Battista Parodi, Apollo dal tenore Furio Zanasi, e Proserpina dal contralto Raffaella Milanesi.

Gli applausi sono stati convinti, soprattutto in direzione di Georg Nigl e del Direttore Rinaldo Alessandrini.

Vedi le foto di scena

Leggi l’analisi musicale di Denis Morrier su ASO

3 Commenti a “L’ORFEO di Monteverdi: considerazioni sull’opera e sulla rappresentazione alla Scala”

  1. katibu ciange scrive:

    la trama di orfeo di monteverdi ancora non è stata citata bene…gradirei qualcosa di più approfondito..grazie

  2. gigi scrive:

    hai perfettamente raggione…uff..-_-

  3. Rudy scrive:

    Perché? C’è bisogno di citarla?

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