CANALE MUSSOLINI, di Antonio Pennacchi

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Si tratta di una saga familiare, i Peruzzi, dei quali l’autore descrive le peripezie nel corso di un quindicennio, dal 1930 al 1945. Il perno del romanzo è la bonifica delle paludi pontine e il loro popolamento, come agro Pontino appunto, da parte di una popolazione immigratavi dall’area veneto-friulana-romagnola.

La storia dei Peruzzi, una di queste famiglie di immigrati, inizia da lontano e si intreccia con la storia nazionale a partire dall’inizio del secolo.  Viene raccontata da un loro discendente (un alter ego dello scrittore?), quasi un intervista a un giornalista interessato a raccogliere gli eventi che l’hanno caratterizzata. Emergono così le lotte che nei primi decenni del secolo hanno contrapposto i lavoratori della terra ai proprietari terrieri, la nascita del movimento socialista del quale Mussolini è stato un personaggio di rilievo. E poi, gli eventi successivi che hanno segnato la storia d’Italia: la svolta di Mussolini a favore dell’interventismo nella prima guerra mondiale, la grande guerra con la tragedia di Caporetto e la resistenza sul Piave, il distacco di Mussolini dal partito socialista e la fondazione del fascismo a Santo Sepolcro, la diffidenza del mondo del lavoro nei confronti di chi ha combattuto classificato come nemico di classe, culminata nel biennio rosso e in frequenti, e spesso anche violenti, scioperi; e infine il ribaltamento della situazione, con una restaurazione culminata nel 1922 nella marcia su Roma e la presa del potere da parte di Mussolini e del fascismo.

Questa parte del romanzo si pone come una specie di antefatto, narrato con parole semplici, in stile quasi di racconto elementare, dall’anonimo discendente dei Peruzzi, nel quale la famiglia compare sia per la partecipazione alla guerra che per la adesione al fascismo, soprattutto in rapporto all’amicizia con uno dei suoi leader, Rossoni.

Le vicende vere e proprie si preannunciano alla fine della prima parte, quando Mussolini ormai al potere, per combattere un’inflazione galoppante e per ragioni di prestigio, fissa il cambio della lira con la sterlina a quota 90 (1926-27). Questa decisione provoca il crollo dell’agricoltura, con perdita di valore delle terre e dei prodotti della terra, e di conseguenza l’espulsione e la disoccupazione di migliaia e migliaia di persone impiegate in quel settore. Fra queste, anche i Peruzzi, che si sono trovati improvvisamente senza più proprietà e senza più lavoro.

Alla loro miseria verrà in aiuto il regime fascista, anche nella persona del loro amico Rossoni, che occupa il posto di segretario del capo del governo, Mussolini.

Nel 1929 il governo decreta di realizzare la bonifica delle paludi pontine, che viene affidata all’Opera Nazionale Combattenti, con l’obiettivo di risanare tutta l’area palustre a sud di Roma compresa fra i monti Lepini e il mare; e realizzare oltre 3.000 poderi di terra coltivabile, da consegnare per riscatto ad altrettante famiglie di reduci.

I Peruzzi, grazie alla partecipazione di due di loro alla prima guerra mondiale, e alla loro numerosa famiglia (oltre ai genitori capostipiti, vi sono ben 17 figli tra maschi e femmine), sono fra i primi assegnatari di un podere.

Con la seconda parte inizia il racconto di questa emigrazione interna e di tutti i problemi che al suo seguito si sono verificati, visti con l’ottica dei componenti della famiglia Peruzzi.

I protagonisti della storia sono, assieme alla vecchia madre, autoritaria ma dotata di buon senso, alcuni dei 17 figli: Temistocle, il maggiore e il più saggio, Pericle con il carisma del leader, Iseo stretto amico di Pericle, Adelchi con più vocazione a dirigere che a lavorare, i più giovani Treves e Turati, e le sorelle, Modigliana dal dolce carattere, e Bissolata, velenosa come una vipera, e le mogli, soprattutto Armida, la moglie di Pericle, con la passione delle api, delle quali afferma di capire il linguaggio: la più bella, e anche la più ardente.

Il libro descrive difficoltà e vicende che la nuova sistemazione comporta, che si intrecciano con la storia nazionale: la terra a fatica dissodata nei primi anni, i contrasti fra immigrati del nord e abitanti dei monti Lepini per i quali i coloni erano usurpatori (“cispadàn”, venivano chiamati con disprezzo, replicati di rimando “marochìn” con altrettanto disprezzo); le inondazioni per un non ancora perfetto funzionamento dei canali di smaltimento delle acqua palustri, particolarmente il canale Mussolini, l’asse centrale della bonifica, e la conseguente perdita di raccolto; la malaria portata dalla zanzara anofele che la bonifica, nonostante che la propaganda ufficiale affermasse il contrario, non aveva sterminato, e che continuava a mietere vittime; l’invasione dell’Etiopia alla quale partecipa l’Adelchi come volontario (non si può non rispondere all’appello di chi ci ha dato il lavoro); la battaglia del grano, vinta solo nelle propaganda di regime, come risposta alle “inique” sanzioni da parte degli stati europei; la fondazione delle città: Littoria (Latina), Sabaudia, Aprilia, Nettunia etc. con i problemi politici, ma anche di convivenza che essa hanno apportato; la partecipazione alla guerra civile di Spagna; le leggi razziali, passate quasi inosservate, se non addirittura approvate, e infine la tragedia finale, la seconda guerra mondiale.

La storia della famiglia Peruzzi è in fin dei conti la storia delle 3000 famiglie che hanno popolato l’Agro Pontino provenienti dal nord: famiglie che nel fascismo, pur con tutte le contraddizioni che via via emergeranno, hanno trovato una risposta ai loro problemi, fra i quali, in primo luogo quello del lavoro: la bonifica e la coltivazione della terra. E questo si è manifestato in modo ancora più evidente durante la seconda guerra mondiale.

Le vicende della immane tragedia che ha coinvolto il nostro paese occupano l’ultima parte del libro. Vi si narra della partenza per il fronte di alcuni dei fratelli Peruzzi, la prigionia di alcuni di loro, la caduta del fascismo, la nascita della Repubblica di Salò, l’invasione delle truppe tedesche prima e di quelle alleate dopo, i bombardamenti, la guerra civile.

I Peruzzi, come la maggior parte dei coloni non hanno gioito per l’entrata in guerra. Hanno capito l’errore di Mussolini che si è messo, lui che negli anni precedenti aveva fatto da maestro a Hitler, al seguito del dittatore tedesco, facendo perdere al nostro paese l’orgoglio che sembrava essere risorto. Ma nonostante questo, hanno sentito il dovere di rimanere legati all’uomo e al movimento che lo aveva incarnato. Sono partiti per la guerra, sono stati fatti prigionieri (uno di loro, Pericle, è scomparso nel nulla, disperso lo definiscono le voci ufficiali, ma certamente morto, disintegrato da un granata). Alla caduta del fascismo si sono schierati con quella che per loro era l‘Italia, la loro patria, non quella di Badoglio e del re fuggiasco, ma quella della terra che con fatica avevano dissodato. Hanno subito i bombardamenti degli aerei alleati che distruggevano le città che avevano costruito, i campi che avevano coltivato. Hanno combattuto contro l’invasione anglo-americana e si sono opposti alla sbarco ad Anzio e Nettuno, costruendo un fronte di resistenza addirittura sulle sponde del canale Mussolini. Sconfitto il nazismo, sono stati testimoni di una rinascita che ha portato con sé il benessere, e soprattutto del fatto straordinario che gli Americani hanno sperimentato con successo proprio nell’Agro Pontino l’efficacia del DDT nello sterminio delle zanzare e nella eliminazione della malaria.

In questa parte del racconto, naturalmente si svolgono anche eventi che riguardano la famiglia: oltre al destino di chi è stato richiamato al fronte, c’è stata la crescita dei nipoti; si sono instaurati nuovi rapporti all’interno, ma anche all’esterno della comunità famigliare: amori e passioni leciti e illeciti (o almeno considerati tali), ostracismo con vituperio dei responsabili, gesti di solidarietà reciproca nella ricostruzione delle devastazioni della guerra, etc.

 

Il romanzo è scritto in un linguaggio semplice ed efficace. È sempre il nipote intervistato, alias lo stesso Pennacchi, mi sembra di poter affermare, che racconta; e per raccontare utilizza spesso, soprattutto quando riferisce discorsi diretti, un dialetto che è derivato da diversi dialetti della bassa padana, molto efficace; e spesso, per dare maggior energia al discorso, vengono utilizzate espressioni onomatopeiche, come ad es. “Pciaff!” per significare un ceffone dato ai ragazzini disobbedienti, oppure “dèn-dedèn-dedèn” del treno che trasporta gli emigrati, etc. Il modo di narrare è decisamente efficace, e il racconto nell’inserire le vicende della famiglia Peruzzi nel quadro più ampio della storia nazionale, mantiene sempre lo stesso tono discorsivo, elementare. Basti pensare che gli stessi interventi di Mussolini, non solo quelli confidenziali con amici e gerarchi, ma anche quelli più ufficiali, persino quelli con Hitler, quelli che si riferiscono alla strategia politica o a quella bellica, sono svolti in dialetto. In questo modo la grande storia e le piccole storie finiscono per intrecciarsi quasi come un’unica vicenda riguardante la famiglia.

In conclusione il libro è interessante, si legge con piacere, aiuta a comprendere una dimensione umana della politica “e della storia”, come quella dell’emigrazione e di tutti i problemi di rapporti che essa comporta, che anticipa di qualche decennio quella che sarà un’emigrazione di gran lunga più ampia e più importante: quella degli anni Cinquanta-Sessanta dal sud al nord per trasformare l’Italia da paese agricolo in paese industriale. La sua vittoria al Premio Strega, se pensiamo che sia avvenuta in alternativa ad Acciaio, il romanzo di Silvia Avallone, a mio avviso è giustificata.

 

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