IL SENSO DELL’ELEFANTE, di Marco Missiroli, 2011

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Il libro è stato finalista al Premio Campiello 2012. Nella valutazione finale è stato classificato quarto con 36 voti. Il romanzo è abbastanza noioso e confesso che ho fatto fatica a finirlo. Il tema è quello dell’amore familiare, in particolare del padre verso il figlio, anche se non necessariamente figlio biologico. Paternità in quanto forte rapporto affettivo.

La storia è quella di un giovane prete in una chiesa di Rimini, i cui rapporti con Dio sono di malcelata ostilità,  che viene a contatto prima in confessionale, poi sulla strada con una fanciulla che si considera una strega per aver ucciso un gatto. Il prete viene catturato dalla sua grazia e ha una breve relazione con lei. La ragazza, di nome Celeste si sposerà, mentre il prete, di nome Pietro, lascerà la chiesa per entrare nella vita civile.

Il romanzo inizia con la vittoria di Pietro, ormai cinquantenne, a un concorso per portinaio in un condominio di Milano, e il suo trasferimento in quella sede. La sua vita è condizionata da alcuni degli inquilini del condominio. In primis la famiglia Martini, che abita un appartamento del secondo piano, e composta dal padre, Luca, giovane medico oncologo pediatra, la madre Viola e una piccola figlia, Sara; poi un avvocato, Poppi, che vive nell’appartamento accanto a quello dei Martini, omosessuale e in grande afflizione per la recente perdita del suo compagno Daniele; infine Fernando e la madre Paola, che abitano anche loro allo stesso piano. Fernando è un ragazzo difficile con il quale i rapporti si rivelano problematici, e che proprio per questo attira l’interesse e l’affetto dei protagonisti del romanzo.

Pietro si è trasferito in quel condominio perché ha saputo che Luca Martini è in realtà suo figlio. Pur senza rivelargli nulla, Pietro cerca di conoscere tutto il possibile sulla sua vita, sui suoi trascorsi, sui suoi pensieri, anche con l’aiuto dell’avvocato Poppi, sempre informatissimo sugli inquilini dello stabile. Ne diventa amico, lo segue in ospedale dove Luca sta curando un piccolo bambino gravemente malato e continuamente sull’orlo di morire, Lorenzo, e dove nei confronti di questo bambino sviluppa un affetto che potrebbe essere un affetto paterno. Il bambino, per volontà della madre, dovrà essere dimesso dall’ospedale e in breve tempo morirà. Per Luca il dolore è grande e paragonabile a quello di un padre che perde il proprio figliolo. Un terzo bambino attraversa la vita di Pietro e di Luca: il figlio di un benzinaio, Andrea, completamente paralizzato, che comunica solo col movimento degli occhi e che manifesta una predilezione per Pietro.

Il romanzo è condotto con frequenti flashback che si riferiscono alla breve storia di Pietro con Celeste a Rimini, mentre la storia milanese procede con la separazione di Luca dalla moglie. Viola è da tempo innamorata di un collega di Luca, Riccardo. La cosa è risaputa da Luca che, alla morte del piccolo Lorenzo, decide di separarsi. Va a vivere in un monolocale portando con sé la figlia Sara.

La storia prosegue con una serie di eventi che hanno al centro sempre il problema dei rapporti famigliari, soprattutto con i figli: non solo il rapporto di Pietro con Luca che diventa vera e propria amicizia, ma quello dell’avvocato Poppi con i due, il rapporto di Pietro con una donna, Anita, che lo segue e lo aiuta nelle difficoltà con l’amore di una moglie, pur senza esserlo. Poi il rapporto di Luca con la piccola Sara, la figlia avuta con Viola, ma che di fatto è figlia biologica di Riccardo; il rapporto di Pietro col benzinaio e con Andrea, che terminerà con la morte di Andrea e l’eutanasia del padre provocata da Luca; il rapporto di Paola col figlio Fernando e poi anche con Pietro, rapporto potenziale e comunque mai realizzato.

Il libro procede con i due racconti, quello attuale e quello in flash back, e si conclude con un viaggio a Rimini dove Pietro recandosi al cimitero per trovare la tomba di Celeste, viene a sapere di Luca, mentre Luca verrà a sapere di Pietro proprio quando assisterà all’eutanasia del benzinaio che deciderà di morire alla morte del figlio per raggiungerlo nella vita dopo la morte. Nel finale, un altro personaggio abbandonerà la storia, dopo averne in parte condizionato lo sviluppo: l’avvocato Poppi che, sopraffatto dal dolore per la morte di Daniele, concluse positivamente o negativamente, non importa, comunque concluse le vicende del suo ambiente di vita, decide di suicidarsi.

Come ho cercato di illustrare in queste un po’ confuse considerazioni, il libro più che un vero racconto cerca di sviluppare sentimenti e affetti. Ma lo fa in modo abbastanza disgregato, non sostenuto da una logica ferrea che colleghi gli eventi ai sentimenti. Il tutto alla fine fa perdere l’interesse che il tema centrale aveva lo scopo di suscitare: quello dell’emozione dell’amore paterno. Il titolo, per me abbastanza incomprensibile, si riferisce al senso famigliare che pervade il branco degli elefanti, nel quale le madri accudiscono ai piccoli indipendentemente dal fatto che biologicamente siano figli loro o no. Per rendere un po’ più esplicito il collegamento l‘autore introduce nel racconto un elefantino di peluche, regalo di Pietro ai bambini che popolano la storia.

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