Da “LA VITA AGRA” di Luciano Bianciardi, 1962

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Ora io sono certo di avere avuto in sorte, durante la mia vita, un privilegio che è toccato a ben pochi: che io sappia ad Abelardo – mutilazione finale a parte – al Molinari Enrico di New York e alla mezzala sudamericana Cherubillo, pare, da quello che ne dicono gli sportivi la sera al caffè, astiosi contro di lui per cecità e per invidia. Ed ecco perché io non sento il bisogno di intervenire nei dibattiti sull’erotismo, in letteratura e dove che si sia, scomodando la Sìnngebung e l’epoché.

Non ricorreremo mai, Anna ed io, alle macchine orgoniche. Non ci chiederemmo mai se al momento della ricreazione, l’interno delle presentificazione si presentificasse in una nuova presenza, che fosse a sua volta ripresentificabile non nella memoria, ma soltanto in un nuovo atto creativo.

O se nell’atto sessuale ciascuno di noi si conoscesse come nascita del mondo in sé e ritrovamento dell’altro in sé e di sé nell’altro.

Infatti oggi parlano così gli esperti. Altri numerosi tecnici del ramo vanno dicendo che la nostra civiltà d’oggi vive all’insegna del sesso. L’insegna, sì, il segno, l’ideogramma, il paradigma, il facsimile.

Dicono: guardate come oggi per vendere un’aranciata la si accoppia a un simbolo sessuale, e così un’auto, un libro, un trattore persino. A un simbolo, certo, ma non al sesso reale. Un simbolo che funziona in vista di qualche altra cosa. Tu, dicono in sostanza, desiderai il coito per arrivare a. Mai il tuo desiderio, dioneliberi, sia per il coito in sé: deriva di qui l’attivismo teleologico della civiltà moderna, da qui deriva, aggiungiamo pure, lo scadimento della professione meretricia.

Come il tornio e la macchina da (per, anzi, se vogliamo accettare la correzione dei venditori d’ogni livello al soldo del marchese d’Ivrea, pallidi ed efficienti come tanti valvassini) come il tornio, dicevo, come la macchina da (per) scrivere non sono beni in sé, ma mezzi e strumenti per arrivare al denaro, così il prostituirsi non è mestiere, che si ama e si pratica perché bello, ma daccapo un mezzo e uno strumento per procurarsi denaro.

Quindi il metallurgico odia il tornio, io odio la macchina, forse più dei valvassini del marchese d’Ivrea, e la prostituta odia il coito.

La riduzione di fine a mezzo, qui e altrove, aliena, integra, disintegra, spersonalizzata e automatizzata, e così viene fuori l’incomunicabilità, e così viene fuori l’uomo-massa e la prostituta moderna, nelle sue varie sottospecie di cortigiana, mondana, amante, ganza, mignotta, zoccola, druda, ragazza-squillo, passeggiatrice, giù giù fino alla battona, alla barbona, alla spolverina e alla merdaiola, infima categoria che annovera le pestatrici di cacche canine negli stradoni bui di periferia, a notte.

Mai puttana però, secondo vorrebbe la parola antica che indicava, quando c’era, il mestiere. Non a caso la donna innamorata, accaldata, linfante, si glorierà di questa antica parola corporativa e ti dirà, nel momento supremo, fastigioso, quando si allentano i nessi del vivere secondo paradigma – e allora i simboli svaniscono lasciando soltanto la realtà reale – ti dirà di sentirsi puttana.

Ma per intanto il coito si è ridotto, per la stragrande maggioranza degli utenti, a pura rappresentazione mimica, a ripetizione pedissequa e meccanica di positure, gesti, atti, trabalzamenti, in vista dell’evacuazione seminale, unico fine ormai riconoscibile e legalmente esigibile. Il resto non conta, il resto è puro simbolo che serve a spingerti all’attivismo vacuo.

Questo vuole la classe dirigente, questo vogliono sindaco, vescovo e padrone, questurino, sociologo e onorevole, vogliono non già una vita sessuale vissuta, ma il continuo stimolo del simbolo sessuale che induca a muoversi all’infinito.

Un simbolo sempre ritrovato, nelle apparenze, e che la gente accetta senza discutere: altrimenti come spieghereste le fortune delle diete dimagranti, del modello stecco luto e asessuato, il quale riassume ed eleva a modulo la donna arrivista, attivista, carrierista, stirata, tacchettante, petulante e negata quindi al coito verace? E infatti essa già mira alla fecondazione artificiale e magari alla gravidanza in vitro, ove vaghezza la punga di maternità, e insieme mira a ridurre il maschio a pecchione inutile.

Da tutto questo, mi pare, vien fuori la noia, l’incapacità, come dicono, di possedere gli oggetti, di entrare in rapporto con i bicchieri, i tram e le donne. ma io so che la noia finirebbe nell’attimo in cui si ristabilisse la natura veridica del coito. Lo so, finirebbe anche la civiltà moderna, perché il coito veridico non è spinta ad alcunché, si esaurisce in se medesimo e, in ipotesi estrema, esaurisce chi lo compie.

Provate questa sorta di predicazione (evitando tuttavia di chiamarla educazione sessuale, altrimenti addio i miei limoni e buonanotte al secchio) e avrete ogni anno un certo numero di coppie estinte per consunzione da eccesso di coito. Lo so bene. Ma i casi mortali sarebbero pur sempre meno d’un decimo di quelli oggi provocati dai doppi sorpassi in terza corsia, o dallo smog, o dalle malattie cardiocircolatorie.

E non sarebbe forse una bella morte? Gli amanti così periti avrebbero onori distinti, e sulle loro tombe, erette nei parchi cittadini e nei campi di gioco dei bimbi, altri amanti andrebbero a giurarsi fedeltà eterna.

E poi ogni anno, al volgere della primavera, ciascun villaggio sceglierebbe il suo bel prato, e lì s’intratterrebbero, da stelle a stelle, due o trecento coppie di copulanti, sulla sfondo del cielo terso, durando lo strillare delle cicale, ma senza ventilazione di ninfe bianco velate, con accompagnamento dei cori che vanno eterni dalla terra al cielo, e in un angolo, gialla, ferma, inattiva, una macchina trebbiatrice della premiata ditta Cosimini di Grosseto.

Lo so, finirebbe la civiltà moderna: cesserebbe ogni incentivo alla produzione dei beni di consumo, essendo dono gratuito di natura l’unico bene riconosciuto e durevole; cesserebbe anche l’insorgere dei bisogni artificiali, nessuno vorrebbe più comprarsi l’auto, la pelliccia, le sigarette, i libri, i liquori, le droghe, e nemmeno giocare a biliardo, vedere la partita di calcio, discutere sul Gattopardo.

Unico grande bisogno sarebbe quello di accoppiarsi, di scoprire le centosettantacinque possibilità di incastro realizzabili fra l’uomo e la donna, ed inventarne ancora. Unirsi in piedi, seduti, supini, bocconi, inginocchiati, accoccolati, a caposotto. Eseguire la penetrazione vaginale, rettale, orale, scritta, telegrafata, intramammillare, sub ascellare, praticare l’ittumazione, la fellazione, la podicazione, il cunnilingo e il symplegma trium copulatorum.

Unirsi sui tetti, dentro gli armadi, alla finestra guardando chi passa, nei prati di periferia e nella pineta di Tirrenia, sopra un moscone al largo della costa adriatica, abbandonati al ritmo delle onde e delle correnti, anche a rischio di toccare l’orgasmo già in acque territoriali jugoslave; negli scompartimenti di seconda sulla linea di Sarzana, al cinema dietro le tende delle uscite di sicurezza, per le scale di casa (coi piedi su due gradini diversi, ove trattisi di donne zoppe, neanche esse escluse dai festeggiamenti), dentro le cabine degli ascensori, nei capanni della spiaggia di Rimini, in acque salse poco oltre la battigia e frammezzo ai bagnanti, sul piedestallo delle statue di Pomona, nei palchetti della Scala recubando sulla pelliccia pagata dal Bubù; nei vomitoria della rena di Verona, fra le rovine della cittadella di Pisa, e finalmente sulla poltrona padronale del padrone Timber Jack, lasciandovi a dispetto e a prova i segni di una eiaculazione ritardatissima.

Poche persone, ripeto, hanno sinora inteso queste cose: Abelardo, ripeto, il Molinari enrico di New York, la mezzala Cherubillo e io.

1 Commento a “Da “LA VITA AGRA” di Luciano Bianciardi, 1962”

  1. Rudy scrive:

    Straordinario brano tratto dal romanzo di Luciano Bianciardi “La vita agra”. Un atto naturalissimo come quello di fare all’amore in una società che si sta sviluppando in senso capitalistico e consumistico finisce per assumere ruoli che con la sua natura di espressione di amore e/o di erotismo non hanno più nulla a che fare.

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