2001: ODISSEA NELLO SPAZIO (Stanley Kubrick, 1968)

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In questo film Kubrick si dedica alla fantascienza. Il punto di partenza è una novella (o romanzo breve ) di Arthur Clark, La sentinella, che non solo viene ampliato ma, secondo il modo di lavorare di Kubrick, viene riempito di significati che nella novella mancano. A differenza dei due film precedenti (Lolita e Il dottor Stranamore), questo è a colori. Anzi, bisogna dire che in questo film il colore, oltre che strumento necessario per raccontare la storia, è, assieme alla musica che accompagna il film, un protagonista. Basti pensare alle immagini affascinanti della discesa della capsula con l’astronauta su Giove. La musica che accompagna il film è straordinaria, sia per i brani utilizzati sia per il significato filmistico che essi assumono.
I brani sono stati scelti fra quelli di alcuni grandi compositori: innanzitutto Richard Strauss, con l’inizio del poema sinfonico Così parlò Zarathustra; poi Johannes Straus, con brani dal Bel Danubio blu; quindi György Ligeti con quattro bellissimi brani: Atmospherès, il Kyrie dal Requiem, Lux Aeterna e Aventures; infine Aram Khachaturian con l’Adagio dal balletto Gayaneh.

La trama del film si basa sulla comparsa di un misterioso monolite, di provenienza extraterrestre, capace di emissioni che influenzano il modo di essere e di pensare dell’uomo, facendo sorgere il lui l’idea di progresso.

Il film inizia con immagini cosmiche che gradualmente si soffermano su una terra desertica nella quale pochi arbusti e qualche pozza d’acqua e qualche caverna consentono la sopravvivenza di alcune specie animali, che lottano fra loro per il cibo e il territorio. Fra questi animali, i più significativi sono scimmie di aspetto antropomorfo: ominidi, che vivono in gruppi. Una mattina un gruppo di questi ominidi è svegliato dalla comparsa, vicino alla grotta dove dormono, accompagnato dalla musica del Requiem di György Ligeti, di un monolite di forma, consistenza e aspetto del tutto estranei all’ambiente naturale che li circonda: un grosso parallelepipedo di colore bruno scuro e con superficie liscia appare piantato nel terreno e slanciato verso il cielo. Gli ominidi fra spaventati e incuriositi gli danzano attorno. Nei giorni successivi succede che questi ominidi si rendono conto che possono utilizzare diversi oggetti che la natura offre loro, e che prima erano passati inosservati, per svolgere alcuni compiti che facilitano la vita: per esempio aiutarli nell’acquisizione di cibo, migliorare il sistema di difesa personale, etc.. L’arrivo del monolite, accompagnato dalla musica del Così parlò Zarathustra di Richard Strauss, ha iniziato l’uomo al progresso che sarà poi la caratteristica del genere umano.

Bruscamente, il lancio nel cielo di un osso femorale, usato come strumento, da parte di un ominide, proietta il film in un’epoca successiva nella quale l’uomo ha cominciato a realizzare la conquista dello spazio. Una stazione orbitale ruota attorno alla terra, mentre un missile per viaggiatori le si avvicina e approda. Un dirigente dell’agenzia spaziale americana, il dottor Heywood R. Floyd (William Sylvester), deve recarsi sulla luna e fa una tappa alla stazione. In un suo colloquio con colleghi russi si viene a sapere che nella base lunare americana del cratere Clavius ci sono gravi problemi. Ed è proprio per questo che il funzionario deve raggiungerla. Alla base in una riunione di dirigenti si discute su un problema di estrema importanza e che deve essere mantenuto segretissimo: vicino al cratere Tycho, sepolto sotto il suolo lunare è stato scoperto un monolite di materiale sconosciuto, a forma di parallelepipedo, che emette una potentissima onda radio in direzione di Giove. Si presume che si trovi in quel posto da 4 milioni di anni e si pensa che sia una forma di vita intelligente extraterrestre. Il dottor Floyd si reca sul posto: il monolite è lo stesso che si è visto all’inizio del film nei pressi della grotta degli ominidi, ora piantato nel suolo lunare.

18 mesi più tardi una grande nave spaziale è in navigazione verso Giove. L’equipaggio è formato da 5 membri umani, di cui due in attività, il dottor David Bowman (Keir Dullea) e il dottor Frank Poole (Gary Lockwood), e tre ibernati in appositi contenitori, più un elaboratore elettronico della serie 9000, chiamato Hal, dotato di intelligenza artificiale e che parla con gli astronauti quasi fosse una vera e propria persona. Quest’ultimo controlla tutti i sistemi della nave spaziale riguardanti la navigazione, il contatto con la terra, il funzionamento dei vari sistemi, e il controllo degli stati di ibernazione dei tre uomini dell’equipaggio; e obbedisce agli ordini dei due astronauti in attività, anche discutendo con loro e fornendo loro i dati necessari per l’assunzione delle decisioni riguardanti la navigazione.
In una di queste discussioni Hal avverte i due astronauti che un modulo della nave spaziale si sta deteriorando e che è prevista la sua completa avaria nel giro di circa 70 ore. Occorre sostituirlo. Il dottor Poole esce nello spazio per cambiarlo. Con grande sorpresa il modulo sembra perfettamente funzionante. Non solo: dalla terra confermano che non risulterebbe alcuna avaria di quel modulo. L’elaboratore Hal mostra impercettibili segni di irritazione: un elaboratore della serie 9000 non ha mai commesso errori, afferma con decisione. Ribadisce quindi che il guasto esiste. I due astronauti capiscono che l’elaboratore, colpito nell’amor proprio, va disattivato. L’errore è troppo grave. Intervallo. I due astronauti cercano di prendere la decisione all’insaputa di Hal, ma Hal ha i mezzi per accorgersene, e adotta un piano per impedirlo. Prima fa in modo che al dottor Poole, nel corso di una fuoriuscita per ricontrollare il modulo, vengano a mancare i contatti che mantengono in vita durante le attività extraveicolari. Poi, quando il dottor Bowman esce con la capsula per riportare sulla nave il cadavere del collega, toglie il controllo delle funzioni vitali agli ibernati che così muoiono; e infine cerca di impedire all’astronauta il rientro sulla nave. Fortunatamente David riesce a entrare ugualmente e a disattivare Hal. In una mirabile scena, mentre l’astronauta spegne i vari elementi della memoria del computer, questi prima supplica di non disattivarlo, poi fa autocritica per aver preso decisioni discutibili, poi fa promesse di comportarsi al meglio, e davanti all’intransigenza di chi prosegue nella manovra di disattivazione, finisce per cantare una filastrocca infantile che via via si spegne fino all’arresto.

Ora la nave è nelle prossimità di Giove: Giove e oltre l’infinito. La capsula su cui è salito il dottor David Bowman fa una corsa allucinante nell’atmosfera del pianeta, accesa da infiniti colori e luci che si intrecciano, si aprono, si richiudono, si dilatano, cambiano in continuazione, mentre la musica del Requiem di Ligeti si espande fondendosi con queste immagini delle quali sembra essere il substrato portante. Dopo le immagini dell’atmosfera la capsula, sempre a folle velocità, sorvola una superficie fatta soprattutto da rocce scure, percorse da rivoli incandescenti di luce azzurra e blu, vasti laghi di vario colore, mari, isole di varia grandezza e forma, che scorrono tutte in successione sotto gli occhi di David, finché a un certo punto, dopo oltre 15 minuti di questa folle corsa, la capsula atterra. E non in una landa sperduta, ma all’interno di una casa con bellissime sale, ammobiliate in modo raffinato. La musica cambia registro e la colonna sonora introduce Aventures di Ligeti. L’astronauta esce dalla capsula e si guarda attorno. Gira per la casa. Tutto si fa silenzio. A un tavolo apparecchiato siede un personaggio, dall’aspetto di classico borghese che pranza; questo borghese maturo non è altro che l’astronauta che guarda se stesso come sarà dopo che tempo è passato; poi lo sguardo si dirige verso un letto dove giace un uomo morente, che è ancora sempre l’astronauta, dopo che ulteriore tempo è trascorso. Davanti all’uomo morente si staglia il monolite, e sul letto dove egli giace, al sua posto, fa la comparsa un bambino, o meglio un feto racchiuso nella sua membrana amniotica. Il feto si proietta nel cosmo verso la terra mentre nuovamente risuona la musica del Così parlò Zarathustra di Richard Strauss.

Quello che c’è di straordinario, oltre il racconto e ai significati simbolici che dal racconto emergono, in questo film sono le immagini che si intrecciano strettamente con i brani musicali. Intanto l’inizio del film: qualche minuto di schermo nero, assenza di immagini, come una specie di attesa o un cosmo prima della creazione, nel quale risuonano le splendide note di Atmosphères di György Ligeti. Straordinarie sono le successive immagini del cosmo, con globi luminosi su uno sfondo nero intenso, sorgenti di luce come soli accompagnate dalla intensa musica del Così parlò Zarathustra di Richard Strauss; poi nel corso del film si ammira l’immagine della stazione spaziale orbitante al dolce suono del Bel danubio blu di Johannes Strauss, la grande nave spaziale che porta l’umanità su Giove introdotta dall’Adagio dal balletto Gayaneh di Aram Khachaturian, e le scene delle attività extraveicolari dei due astronauti, e infine la folle corsa della capsula nella variegata e policroma atmosfera di Giove accompagnata dal Kyrie del Requiem di Ligeti etc. Sono immagini spettacolari riprodotte con un dettaglio e una minuzia di grande realismo. Accanto alle immagini del cosmo, molto suggestive sono le immagini della la terra all’alba dell’umanità con paesaggi desolati, all’inizio, e le immagini della superficie lunare, con luce radente e contrasto stridente fra la luce che illumina un lato delle rocce e il nero profondo del lato opposto, quando i tecnici delle esplorazioni spaziali vanno a vedere il monolite al centro della scavo: qui è di nuovo Ligeti a dettare le condizioni con il suo splendido brano Lux Aeterna. Le drammatiche immagini della terra agli albori e della superficie lunare contrastano in modo stridente, portandosi fuori della realtà con le quiete, eleganti immagini della casa su Giove, introdotte ancora da Aventures di Ligeti. E infine le immagini all’interno dei mezzi spaziali: il missile che porta i passeggeri alla stazione spaziale, la stazione spaziale stessa, la navicella che porta i tecnici sulla Luna e la grande nave che porta a Giove: tutte immagini di una precisione, una sobrietà, di una chiarezza che inchiodano l’attenzione dello spettatore a un mondo futuro che sembrerebbe del tutto privo del disordine, delle tensioni, e delle incertezze del mondo come lo consociamo.

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