FULL METAL JACKET (Stanley Kubrick, 1987)

raftermann

È il penultimo film di Kubrick, e l’ultimo girato integralmente da lui. È un film di guerra. Quindi egli ritorna a un argomento che aveva già affrontato nel 1957 con Orizzonti di gloria, quindi trent’anni prima. Qui la guerra è quella del Vietnam e viene vista, a differenza di quella precedente, non tanto come un massacro generalizzato a causa della stupidità degli alti gradi dell’esercito, ma piuttosto come disumanità che finisce per coinvolgere persone di normali sentimenti, quando si trovano in una situazione di conflitto dove la propria vita è in continuo pericolo, e la risposta non può essere che quella di uccidere il nemico che potrebbe uccidere te. Quando la risposta, sia pure per avere salva la vita, è uccidere, ci fa osservare Kubrick, si finisce per essere coinvolti in una deformazione dell’autostima: ci si sente degli eroi quando la nostra cultura naturale dovrebbe portarci in tutt’altra direzione.
Per arrivare a questa disposizione d’animo, i soldati vengono sottoposti ad un addestramento specifico, il cui obiettivo è quello di farne dei killer.

Il film, come del resto i tre film precedenti, Arancia meccanica, Barry Lindon, Shining, si divide in due parti, qui ancora più marcate: la prima parte si riferisce all’addestramento; la seconda all’azione militare vera e propria. Il protagonista, il marine “Joker” (interpretato da Matthew Modine) è una persona che viene da un ambiente dove la pace è un valore riconosciuto: porta sulla divisa il simbolo dei pacifisti. Le due parti del film hanno un collegamento logico che si esprime appunto nel comportamento del protagonista: l’addestramento militare lo mette davanti alla logica della guerra e quindi alla necessità di diventare un killer; l’azione militare, lo trasformeranno in un killer e solo dopo che avrà ammazzato il cecchino ferito egli potrà sentirsi un “vero uomo”. Anche se questo “essere vero uomo” è l’esatto contrario del significato del distintivo che porta sulla divisa.

Siamo in South Carolina, nel campo di addestramento per marines Perris Island. È appena arrivato un gruppo di reclute sistematicamente rapate a zero da uno zelante barbiere.. Dovranno trascorrere nel campo otto settimane. Vengono ricevute da un sergente carogna (Sergente maggiore Hartman, interpretato da Ronald Lee Ermey), che le accoglie con parolacce, le tratta come “vermi”, distribuisce soprannomi per ridicolizzare i diversi personaggi, e proclama che si farà odiare dal gruppo, perché l’odio così generato stimolerà in loro la volontà di uccidere. E la volontà di uccidere è l’obiettivo principale del corso.
L’addestramento si sviluppa fra marce di ordine chiuso al ritmo di canti cadenzati che vorrebbero essere particolarmente virili, esercizi fisici, cosiddetti percorsi di guerra con ostacoli di difficoltà crescente da superare, lezioni teoriche, e soprattutto viene messo in primo piano il proprio fucile, che deve essere trattato come una persona: deve essere amato, sentito come un amico, deve essere una parte di sé, eccetera eccetera; è l’arma con la quale si realizzerà lo scopo del corso: uccidere. Addirittura il fucile viene portato a letto come un amante e gli si rivolge una preghiera come se fosse Dio.
Il sergente maggiore, sempre animato da un comportamento irritantemente autoritario, non perdona la minima infrazione, elargisce punizioni sotto forma di flessioni da compiere, e altri esercizi faticosi. Fra le reclute in genere c’è obbedienza e volontà di riuscire, e in risposta alle provocazioni del sottufficiale i giovani cercano di essere di uomini che intendono arrivare alla fine del corso in modo positivo.
Una delle reclute, tuttavia, soprannominata Palla di Lardo a causa della corporatura piuttosto pingue (interpretato da Vincent D’Onofrio), fatica a tenere il passo, e si trova costantemente in difficoltà nei vari esercizi. Il marine Joker, suo collega di corso, cerca di aiutarlo, ma con scarso successo. Le punizioni fioccano, anch’esse tuttavia con nessun successo; e quando per colpa di Palla di Lardo le punizioni vengono estese a tutto il gruppo, la reazione contro di lui non si fa attendere sotto forma di pestaggio collettivo. Tutte queste situazioni, assieme al martellamento del corso che vuole trasformarlo in un killer, destano nella sua psiche uno sconvolgimento tale che alla fine del corso userà il fucile per uccidere il sergente maggiore e se stesso.
Il corso è finito. I marines marciano orgogliosi davanti alle autorità e poi partiranno per i luoghi di destinazione.

Siamo in guerra, in Vietnam, in una cittadina del sud, vicino a Da Nang, dove c’è la più importante base americana. I soldati americani, più che per proteggere la gente dal comunismo, sembrano essere delle fonti di danaro per i furbastri e malavitosi. Puttane si offrono disposte a fare “tutto”, ladri con abili sotterfugi derubano i militari poco attenti, e coì via. È il clima che c’è nelle città del Vietnam del sud. All’interno della base il clima è più quello di un esercito invasore che di una forza di liberazione. Il nostro protagonista, Joker, pur essendo addestrato come marine, nei fatti è un giornalista di guerra e fa parte dell’equipe di Stripes and Stars il giornale delle forze armate. Siamo in presenza di una riunione del comitato di redazione. Il caporedattore corregge gli articoli dei giornalisti. L’atmosfera è decisamente burocratica. Si deve costruire un numero del giornale che dimostri i successi dell’esercito americano nella guerra in corso. L’articolo scritto da Joker viene criticato: non è abbastanza convincente. La voce circolante che i Vietcong stiano organizzando un’offensiva per il Tet, il capod’anno vietnamita, è infondata, rassicura il caporedattore; è messa in giro solo per scoraggiare le truppe. Intenso fuoco d’artiglieria e di armi automatiche poco dopo dimostrano invece che l’offensiva del Tet (siamo nel 1968) è in pieno svolgimento. Da Nang riesce a respingerla, ma in molte altre parti del paese l’esercito americano si trova in difficoltà. Soprattutto a Huè, antica città sulle rive del fiume dei profumi, che è stata conquistata dai Vietcong.
Joker, addestrato come marine, ha il titolo per essere inviato al fronte come corrispondente di guerra. Il viaggio in elicottero ci introduce subito nel clima. Un mitragliere appostato davanti allo sportello aperto spara addosso a contadini, maschi e femmine, che scappano terrorizzati per i campi. Si vanta di aver fatto un gran numero di morti, e per questo chiede ai giornalisti di essere citato nei loro articoli come eroe.
A Huè Joker incontra un amico-collega del corso di addestramento, un marine soprannominato Cowboy per la sua provenienza texana. Per i due è una gioia ritrovarsi. Quello che tuttavia turba Joker è il clima che vige fra le truppe al fronte. Un clima di indifferenza per la vita umana, in particolare, ovviamente, per quella dei vietnamiti è evidente nei diversi comportamenti dei soldati. Vivere sotto il fuoco, con il continuo rischio di potervi lasciare la vita scuote le singole sensibilità, che reagiscono spesso e volentieri in manifestazioni di violenza non sempre giustificata.
La situazione militare davanti alla città è molto precaria. I vari tentativi di riprenderla incontrano un fuoco intensissimo, e fra gli americani ben presto si contano diversi morti e feriti. Il viavai degli elicotteri incaricati di evacuarli è continuo. La squadra di Cowboy e Joker sta cercando di penetrare in una zona di edifici distrutti dalle bombe. A un passaggio, un cecchino prende di mira uno di loro e lo ferisce. A questo punto la squadra è sotto il fuoco e non riesce a districarsi. Altri vengono colpiti. Aiuti non ne arrivano. Cowboy, che in quel momento ne è il comandante, è a sua volta ucciso. Dopo un appostamento, e una ricerca, il cecchino viene individuato da Joker. Si apre il fuoco, arrivano altri marines. Il cecchino è una giovane donna che alla fine viene ferita. I marines hanno completato il loro compito. Ora si può avanzare. Ma della donna-cecchino che si fa? La si lascia morire lentamente per le ferite? Nel film è la prima volta che si vede un vietcong in primo piano come persona umana. Fino a quel momento essi erano rappresentati solo come ombre sullo sfondo dell’azione che sparavano o contro le quali si sparava. Ora la donna appare agli occhi dei marines con espressione di una grande sofferenza. Joker, che probabilmente è quello che l’ha ferita, non può reprimere il sentimento di umanità. Non a caso sulla sua divisa ha il simbolo caratteristico dei pacifisti americani. Forse l’unica soluzione è il colpo di grazia. Joker, in preda a un indicibile tormento, si decide a ucciderla. Poi si guarda dentro di sé, e conclude di essere diventato un eroe, quello che il corso al campo di addestramento gli aveva insegnato a essere. Conclusione tragica. I marines americani ora avanzano lungo le strade di una città distrutta e in fiamme, cantando la Marcia di Topolino.

Questo film, pur toccando un argomento particolarmente sentito, la guerra del Vietnam, pur entrando nel merito del valore delle vita umana calpestato dai falsi valori che la guerra mette in primo piano, mi è parso meno forte dei film precedenti di questo grande regista. C’è meno ironia, il racconto è abbastanza frammentario; le fotografie comunque sono sempre di altissima qualità: il capo di addestramento, le camerate, e soprattutto nel finale, la città distrutta dalle bombe, edifici crollati, incendi che lasciano immaginare le violenze che in quella sede si sono succedute. La colonna sonora non ricorre più a brani di grande musica classica, ma ricorre a brani di musica popolare o musica rock. Non si può dire che si tratti di un brutto film; Kubrick non può fare brutti film. Ma l’ho trovato a un livello un filo inferiore agli altri che ho visto finora.

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