APPUNTI PER UN FILM SULL’INDIA, di PierPaolo Pasolini, 1968

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Si tratta di una specie di documentario della durata di una mezz’oretta in vista di un film sull’India. I problemi che interessano Pasolini sono i temi della religione e della fame. E, dice Pasolini, sono i temi di tutto il terzo mondo.


Pasolini gira per l’India: vediamo Nuova Delhi con l sede del parlamento, vediamo Jaipur con i suoi palazzi sedi dei maharaja, vediamo Bombay con la porta dell’India fatta erigere da Giorgio V, vediamo il convento della pace celeste rishikesh (?), il gange, il fiume sacro, ma soprattutto vediamo i volti del popolo, vediamo il suo modo di essere, mutilazioni comprese. In stile prettamente pasoliniano tutte queste cose si aggregano attorno a tre domande che pone a diverse persone.
La prima domanda è riferita a una storia mitologica indiana che risale alla notte dei tempi: un maharaja incontra, girando per le sue terre, in una landa desolata una tigre che sta morendo di fame con i suoi tigrotti. Decide di dare alle bestie il proprio corpo per sfamarle. Il mito ha chiaramente una valenza religiosa: il rispetto per il valore della vita, sia essa degli umani sia essa degli animali. E questo rispetto-amore giunge fino al sacrificio di se stessi. Pasolini pone la domanda a varie persone, in particolare ai monaci del convento, a semplici cittadini, a intellettuali, e alla fine a un maharaja che vive a Bombay con la moglie. La valorizzazione di questo mito dovrebbe essere proprio l’inizio del film sull’India. Le risposte sono varie: qualcuna affermativa, qualcuna negativa, altre cercano di spiegare la natura simbolica del mito. Anche il Maharaja risponde affermativamente se parliamo di un India ancora dei tempi antichi, me negativamente nell’India moderna.
La domanda allora cambia. In India la fame è un problema che si associa in gran parte a una sovrappopolazione difficilmente controllabile. La domanda da porsi allora è chi è favorevole alla proposta di legge di sterilizzazione di massa. Nelle città, la maggioranza. Ma nella campagne, dove vive la grande maggioranza della popolazione indiana, la risposta è brutalmente negativa; anzi diventa perfino pericoloso farla.
Il film allora avrà due parti. La prima si riferisce all’India antica, prima dell’indipendenza. La seconda all’India che ha raggiunto l’indipendenza. Si tratta di un’India in cui si stanno realizzando gradualmente quelle attività proprie del mondo occidentale, e in particolare l’industrializzazione. Da una parte le città dove al di sopra del sottoproletariato urbano, simile in tutte le parti del mondo, si sta formando una classe operaia. Dall’altra il mondo contadino, ancora legato alla tradizioni, ma consapevole che la loro millenaria cultura è insufficiente per tener dietro a un’economia in sviluppo. L’importante, comunque, sia per gli abitanti dei villaggi che per quelli della città è che l’occidentalizzazione del paese deve svilupparsi sono nelle conoscenze, mentre la cultura e l’identità nazionale devono essere difese.
Così il film deve trovare un suo sviluppo. Nel film si immagina che il Maharaja abbia compiuto l’eroico sacrificio per amore degli animali, e in tal modo la sua famiglia, la moglie, dallo splendido palazzo a Jaipur dove viveva è costretta a trasferirsi fra la gente e emigrare per l’India. Qui entra il problema della caste e dei complicati riti che ne dividono i componenti. La moglie del Maharaja riuscirà a vivere in mezzo a gente di casta inferiore? E come sarà il suo rapporto con i cosiddetti intoccabili?
La risposta a questa domanda è complessa e più del comportamento della moglie del Maharaja riguarda proprio il comportamento degli intoccabili che si vergognano della loro condizione e cercano di evitare il contatto con la gente comune per non sentirsi disprezzati. Per questo motivo vivono raggruppati, e solo per questa loro caratteristica sono individuabili.
Pasolini conclude questo viaggio nell’India con le immagini di un funerale e della cremazione di un morto e con una frase emblematica: “Un occidentale che va in India ha tutto, ma in realtà non dà niente. L’India, invece, che non ha nulla, in realtà dà tutto”.

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