UN’ESTATE PERICOLOSA (The Dangerous Summer), di Ernest Hemingway (postumo, 1985)

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Si tratta di un romanzo parzialmente inedito. L’ultimo romanzo di Hemingway: ricordiamo che Hemingway è morto nel 1961, in luglio, e che già da quell’anno era in preda a una violenta psicosi che è stata quella che l’ha portato alla morte.
Il romanzo si trova sulla falsariga di un altro romanzo dello scrittore, scritto nel 1932, Morte nel pomeriggio. Come è noto Hemingway amava moltissimo la Spagna, nella quale si recò a più riprese durante la sua vita, e amava soprattutto le corride, delle quali era anche un riconosciuto esperto nel giudicare il lavoro dei toreri. In Morte nel pomeriggio traccia un po’ la storia della corrida, ricostruisce il lavoro dei più grandi toreri fino al 1930, analizza tutte le componenti della corrida. In Una estate pericolosa ci racconta dei suoi ritorni in quella terra dopo il 1953, anno in cui conobbe Antonio Ordoñez, figlio di Cajetano, del quale divenne amico e soprattutto grande ammiratore.


Il libro si sofferma in particolare sul 1959, l’estate nella quale ebbe particolarmente rilievo, e successo, lo scontro, prima a distanza, e quindi anche sull’arena fra lo stesso Antonio Ordoñez e quello che fino a quel momento era considerato il più grande matador del mondo. Luis Miguel Dominguin.
Il libro è decisamente noioso, almeno per quanto riguarda il contenuto: è un po’ il racconto dei trasferimenti dello scrittore da una città all’altra per essere presente a corride nelle quali era protagonista l’amico matador. Si raccontano le sue imprese, e si valuta il suo lavoro sul toro, esaltandolo. Naturalmente la scrittura è quella classica di Hemingway, sobria, vivace, intensamente realistica, legata ad atti ed eventi, che, in un modo o nell’altro, catturano l’attenzione del lettore, e ne aiutano l’immaginazione a ricostruire personaggi al di fuori e all’interno dell’arena, e a esser presente nei loro rapporti con la realtà: la realtà della vita quotidiana, delle bevute nei bar, dei pranzi in ristoranti, nella camere d’albergo, nel lunghi viaggi di trasferimento; e la realtà della lotta dell’uomo contro il toro.
La corrida. L’uso della capa, la faena con la muleta, l’intervento dei picadores, gli ordini del matador, e soprattutto la sua capacità di dominare il toro sono gli aspetti che più richiamano l’attenzione dello scrittore. E in questi momenti, l’esaltazione è tutta per Antonio Ordoñez, per la sua capacità di trasformare un toro timido, o vigliacco, o perplesso, in un toro combattivo, in grado di caricare in linea retta e permettere al matador di compiere i passi più difficili e pericolosi, e finire poi con una estocada perfetta.
Questo suo competente amore per la corride gli fruttò la richiesta di collaborazioni a giornali; ma i progetti sfumarono, a causa della sua eccessiva partigianeria nei confronti di Ordoñez. Del suo avversario Dominguin ne parla bene, ma la sua importanza rimane sempre in secondo piano rispetto a quella del cognato.
nella descrizione degli incontri diretti fra i due, Hemingway si diffonde soprattutto a quelli di Valencia e di Malaga. Quella di Valencia fu una corrida con tre matador e due tori cadauno: Antonio Ordoñez, Luis Miguel Dominguin e Gregorio Sanchez. Quella di Malaga fu un mano a mano diretto fra i due toreri, con tre tori a testa.
Naturalmente per Hemingway, il vincitore fu sempre Antonio.
Sulla corrida di Valencia devo fare un’intrusione personale. Nell’estate del 1959, assieme al mio amico Luciano Pastore Celentano, a bordo della mia Topolino C (allora avevo 24 anni e stavo finendo l’università) facemmo una lunga vacanza in Spagna. A Barcellona, alla mensa universitaria, incontrammo due studenti spagnoli, Paco e Manolo, con i quali facemmo amicizia, e che caricammo sul nostro “coche pequeño”. L’obiettivo era fare un ampio giro della Spagna, scendendo lungo la costa mediterranea fino ad Alicante, risalire poi a Madrid e quindi, verso nord: Palencia, Burgos, San Sebastiano (dove oltretutto fui operato di appendicite nell’ospedale della Cruz Roja). Durante questo giro, ci fu una sosta proprio a Valencia, presso amici, e con loro si andò a vedere una corrida. Ebbene, con mia sorpresa, scopro che si trattò proprio della corrida narrata da Hemingway (ricordo perfettamente i nome dei tre toreri) e ricordo anche il particolare (riportato dalla scrittore), che Dominguin, nel secondo toro, al momento della estocada, per alcune volte (tre o quattro, se non ricordo male) colpì l’osso non riuscendo a far penetrare la spada nel corpo del toro, e uccise l’animale col descabello. È stato per me abbastanza emozionante, leggendo il libro, constatare che quel pomeriggio, proprio in quell’arena era presente anche il grade scrittore americano, che guardava le stesse cose che stavo guardando anche io. Naturalmente allora lo ignoravo, ovviamente, dato che non c’era nulla che indicasse la cosa.
L’estate del 1959 fu effettivamente un estate pericolosa. I due toreri cognati furono feriti in più di un’occasione. Ordonez fu ferito due volte, la prima in luglio. La ferita non gli impedì di riprendere l’attività qualche settimana dopo. Poi in agosto fu ferito a un piede.
Nel mano a mano di Malaga, Dominguin fu colpito dal toro, ma senza essere ferito. Riuscì ad alzarsi, a finire la faena e a uccidere il toro. Per lui le cose andarono meno bene a Blbao, verso la fine dell’estate, quando subì una ferita importante. A seguito di quella ferita, egli fu costretto ad abbandonare per quell’anno le corride. Dominguin si ritirò in modo quasi definitivo nel 1961. Fece un breve rientro del 1971 al 1973, e quindi si ritirò definitivamente. Ma questa è un’altra storia.

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