JOHAN PADAN A LA DESCOVERTA DE LE AMERICHE, di Dario Fo, 1991

johan_padan_a_la_descoverta_de_le_americhe_giulio_cingoli_014_jpg_tevu

Nell’introduzione Dario Fo racconta come è nata l’idea di questo racconto. Anzitutto il nome del protagonista: Johan è un nome che deriva da Giovan, Giani, Zanni, nome ricorrente proprio nella Commedia dell’arte. In secondo luogo, l’idea nacque in seguito a una rappresentazione in Spagna di un lavoro precedente, che abbiamo già visto: Isabella, tre caravelle e un cacciaballe del 1963.


La scarsa accoglienza di quest’ultimo lavoro, che accusava la regina Isabella di aver cacciato dalla Spagna gli ebrei per impadronirsi dei loro beni, ha indotto Fo a costruire una nuova storia, che riguardasse non tanto Cristoforo Colombo, quanto uno Zanni qualsiasi, Johan Padan appunto, che, per varie ragioni, indipendenti dalla sua volontà, si è trovato a percorrere la strada che porta alle Americhe e a vivere lì avventure emozionanti.
La storia inizia con la fuga di Johan da Venezia, inseguito dall’Inquisizione, che aveva condannato al rogo la sua donna, accusata di stregoneria. Johan all’ultimo momento riesce a salire su un brigantino, che lo porta prima a Tunisi e poi a Siviglia. Ma Siviglia non è posto tranquillo. Anche lì vi è una inquisizione attiva, e tutti i giorni nella piazza principale vengono accesi roghi per bruciare eretici, stregoni eccetera. Bisogna fuggire, e l’occasione questa volta è offerta dal quarto viaggio di Cristoforo Colombo per le Americhe.
Johan non vorrebbe, ma la paura la fa da padrona e alla fine si imbarca. È uno dei tanti marinai presi fra la gente comune, anche se il compito del nostro uomo ha ben poco di marinaio: deve accudire un gruppo di animali, bovini, cavalli e suini, che vengono portati in America, dove queste specie di animali sono assenti.
A Santo Domingo dove sbarcano, vengono accolti con grande simpatia dagli indigeni. Ma con grande imbarazzo Johan vede che la risposta dei bianchi che sbarcano non è dello stesso tenore: anzi. Gli indigeni vengono fatti prigionieri, ammazzati quelli che si ribellano, e gli altri ridotti in schiavitù e portati in Europa.
Le navi ripartono ben presto e Johan anche. Una terribile tempesta fa naufragare la nave su cui è imbarcato. Johan assieme ad altri cinque marinai, trovano salvezza facendosi trainare dai grossi e grassi suini presenti nella stiva, che li trascinano verso la costa. Qui una tribù di indigeni li accoglie con grande cordialità a far parte della loro comunità: i naufraghi dormono sulle loro amache, fanno l‘amore con le loro donne, mangiano i loro cibi. Imparano, fra le tante cose che la vita selvaggia insegna, che i tacchini (il pollame più diffuso su quelle terre) sono più buoni al gusto se vengono spiumati ancora vivi, piuttosto che dopo morti. E questa vale per tutte le altre bestie commestibili dotate di piume o peli.
L’amicizia dura poco. I nostri amici vengono incatenati e venduti a un nuovo popolo di indigeni che li reclama per mangiarli. La nuova terra in cui vengono portati è molto bella, tutta fiorita. Da questo aspetto, ci dice Fo, viene il suo nome: Florida.
Questi indigeni cannibali non perdono tempo e con un cerimoniale strappano tutti i peli al povero Johan che sarà il primo a essere mangiato. Ma la cosa non accade. Johan si salva perché proprio alla vigilia del grande pranzo, verrà colpito da un attacco di itterizia, e diventerà tutto giallo. Non si può mangiare la carne di un uomo di color giallo e il pranzo viene rinviato.
Johan tenta di fuggire, ma si imbatte in un’altra tribù di indigeni che dimostra intenti bellicosi. Dà allora l’allarme e così permette alla tribù dei cannibali di difendersi e di salvarsi. Johan diventa un eroe, anche perché riesce a curare i feriti del combattimento.
Johan non viene mangiato, ma i suoi colleghi, che non hanno partecipato alla battaglia lo dovranno essere. Inutilmente Johan, avvalendosi della sua veste di eroe, cerca di impedirlo. La decisione è presa.
Ma Johan ha un’altra arma a sua disposizione: gli insegnamenti della sua donna, quella veneziana messa al rogo per stregoneria. Da segnali del cielo, si rende conto dell’avvicinarsi di un grande ciclone tropicale. Avverte i suoi amici indios, i quali, con tutte le provviste che riescono a raccogliere, si rifugiano in una grotta.
La tempesta infuria quasi come fosse l’inferno e alla fine, quando gli indigeni possono uscire dalla grotta scoprono che tutto è stato distrutto: capanne, alberi, animali eccetera. Qui non si può più vivere. Occorre trasferirsi altrove, e cercare un altro luogo. Johan, che ha previsto il ciclone e salvato la tribù una terza volta, viene trasformato in un semidio, il figlio del sole nascente e della luna, e come tale viene adorato e si mette alla testa della migrazione forzata. L’eventualità per lui significa soprattutto la possibilità di tornare in patria, dalla quale è lontano da più di due anni e della quale sente una grande nostalgia.
Tutta la tribù si mette in marcia. E si cammina, si cammina; a un certo punto le provviste che si sono portati dietro finiscono, gli uomini uccidono asini, maiali, etc. poi sono costretti a camminare senza mangiare, finché la fame non prevale e decidono, fra le protesta di Johan Padan, di mangiarsi i prigionieri. Proprio quando la decisione sembra ormai irrevocabile, ecco che all’orizzonte si vede una terra ricca di alberi e di animali. È abitata da una tribù. Immediatamente con segnali di fumo, i nostri profughi informano gli abitanti della loro misera condizione. E gli abitanti accorrono per aiutarli con cibo, bevande e quant’altro. Ma quando vedono Johan e i suoi colleghi, gli indigeni si arrabbiano: gli spagnoli sono un popolo cattivo. Quando essi sbarcano su una terra da loro abitata, incuranti della amichevole accoglienza, si scatenano per trascinare in schiavitù gli uomini e violentare le donne, e se qualcuno si ribella, usano mezzi che incutono terrore: i cavalli, mostri terribili, e canne che vomitano fuoco e distruggono le capanne dove la tribù alloggia.
In questo modo Johan viene a sapere che una città di spagnoli è non lontano da lì. Pensa di andarci a trattare con loro e a farsi finalmente portare in Patria, ma gli indios hanno troppa paura e si rifiutano di accompagnarlo. Johan resta allora nella tribù e sfrutta il suo potere di figlio del sole nascente e della luna per aiutare gli indigeni. Le occasioni non mancano. Per prima cosa insegna loro che il cavallo non è un mostro, ma una bestia molto utile, che in caso di lotta, può essere di grande aiuto. Poi risolve in due diversi villaggi problemi alimentari: in uno fa in modo che la pesca nel corso dell’alta marea torni ad essere ricca, salvandoli così dalla possibilità di morire di fame. In una altro villaggio risolve il problema della siccità, riuscendo a far tornare la pioggia assente da moltissimo tempo. È chiaro che in entrambi i casi si è trattato solo di fortunate coincidenze, ma questo ha rafforzato il potere di Johan che ora viene adorato alla stregua di un dio.
La nostalgia delle patria continua ad essere forte. Decide di accompagnare le sue tribù in una città spagnola che si trova a non grande distanza. Ma per evitare che gli spagnoli considerino gli indios alla stregua delle bestie, decide di convertirli al cristianesimo. Quindi, seguito dalla colonna degli indigeni, arriva alla città. Va a parlare con l’Alcade e gli spiega gli eventi. L’Alcade fa molte assicurazioni, ma alla fine il risultato è quello che gli spagnoli vogliono: far lavorare gli indigeni come dei veri e propri schiavi. Questo provoca una immediata ribellione. E la ribellione ha successo. Gli indios ormai hanno imparato a usare il cavallo e hanno costituito una cavalleria che era rimasta in disparte e che ora viene chiamati al combattimento. Gli spagnoli vengono sconfitti, la città distrutta e gli indios si costruiscono una residenza imprendibile. Da quel momento diversi gruppi di spagnoli armati hanno cercato di aver ragione di quel gruppo di indigeni, sempre senza riuscirci. Johan è diventato oltre che il loro dio, anche il loro comandante, e finisce per rinunciare per sempre al ritorno in patria.

Il lavoro vuole mettere in primo piano la crudeltà con cui i bianchi hanno conquistato le nuove terre, e come quei popoli che le abitavano sono stati massacrati, trattati come bestie, con la giustificazione che non avessero l’anima. In realtà il problema religioso non aveva nessun senso. Il vero problema era quello di poter impadronirsi di una mano d’opera gratuita, e di poter impadronirsi delle ricchezze che quel popolo aveva accumulato. Johan è una persona qualsiasi e, capitato in mezzo agli indigeni, sente invece che quel popolo è fatto da persone dotate di umanità e convive con loro come ogni persona dovrebbe fare. Per questo non esita a combattere contro uomini di razza bianca e di fede cristiana, quando il loro comportamento non ha nulla a che fare con quello che dovrebbe essere un rapporto fra esseri umani.

Scrivi un commento