IL FIORE DELLE MILLE E UNA NOTTE, di PierPaolo Pasolini, 1974

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È l’ultimo film della Trilogia della vita. Come in Decameron e nei Racconti di Canterbury, il tema che percorre il film è la gioia di vivere, e il sesso come una manifestazione d’amore, libera, aperta, gioiosa, senza che venga rovinata da morbosità che ne facciano qualche cosa di cui vergognarsi o essere oggetto di rimorsi o di divieti e punizioni.
Pasolini ricava i racconti che costituiscono il film dal famoso Le mille e una notte, libro scritto da autori sconosciuti di racconti persiani e più in genere orientali che Shahrazād, fanciulla persiana racconta al suo sovrano Shahryar per salvarsi la vita. Per tale ragione il mondo ricostruito nel film è un mondo orientaleggiante sia nella folla dei mercati, sia nelle umide e strette strade delle medine, sia nei sontuosi palazzi del potere, sia nei deserti percorsi ca carovane.
La struttura del film è tale per cui i racconti si diramano a partire da un racconto iniziale, l’incontro fra Nur ed-Din e la sua schiava Zumurrud e le vicende dei due che si perdono, si cercano e si ritrovano alla fine del film.


La prima novella è proprio l’incontro fra i due protagonisti. Zumurrud (Ines Pellegrini), in vendita come schiava, ha il privilegio di poter scegliere l’acquirente. E, fra la folla che la circonda, sceglie proprio Nur ed-Din (Franco Merli). Fra loro nasce amore che consumeranno nella sua casa.
Qui si innesta una nuova storia raccontata da Zumurrud. Il poeta Sium incontra nel villaggio tre giovani dai quali prende piacere e racconta la storia del re Harùn e della moglie Zeudi. Fra i due coniugi nasce una questione: se in una coppia di giovani è il più brutto a innamorarsi del più bello, o viceversa. Essi trovano un fanciullo e una fanciulla, li fanno addormentare sotto la stessa tenda e osservano cosa succede. I due si svegliano in momenti differenti, e ciascuno dei due fa l’amore con l’altro(a) mentre dorme. La conclusione felice è che l’amore è reciproco.
Si torna a Zumurrud, che tesse un bel tappeto da vendere al suq. Nur ed-Din deve tuttavia evitare di darlo a un uomo con gli occhi azzurri. Purtroppo l’invito della schiava viene disatteso, e l’uomo dagli occhi azzurri, con un inganno rapisce la stessa Zumurrud e la cede a un riccone che si vendica per essere stato rifiutato a suo tempo, frustandola.
Nur ed-Din si rende conto del suo errore. È disperato, percorre le vie della città alla ricerca della sua schiava. Finalmente gli viene rivelato dove la può trovare, grazie ai buoni uffici di una allegra donnetta che, in cambio, con la gioia negli occhi, chiede al ragazzo di farle sentire se è un uomo. Ma ancora una volta Zumurrud gli sfugge. Il capo dei 40 ladroni la rapisce una seconda volta e a Nur ed-Din non resta che rimettersi di nuovo alla sua ricerca.
Zumurrud riesce a sfuggire anche a questo rapimento. Fugge attraverso il deserto e si ritrova alle porte di una grande città, dove una folla sembra essere in attesa.
È morto il re senza discendenza. La legge della città impone che, in questo caso, la successione venga affidata al primo uomo a cavallo che provenga dal deserto. Zumurrud si camuffa da uomo, diventa re e ha la possibilità di vendicarsi dei due uomini che l’hanno rapita. Entrambi arrivano nel pieno dei festeggiamenti che la città sta facendo in onore del nuovo re. Zumurrud li vede e li fa arrestare e crocifiggere fuori dalla mura.
Nur ed-Din, sempre alla ricerca della sua schiava, si imbatte in una fanciulla, Munis, che chiede il suo aiuto e poi lo porta a casa sua dove vive con due sorelle. Nella calma della terrazza, Munis racconta le sue storie.
La principessa Dunya (Abadit Ghidei) sogna un colombo catturato in una rete e liberato dalla colomba sua compagna. Ma il sogno ha un seguito: quando la colomba a sua volta viene catturata, il colombo se ne va senza più tornare. Dunya conclude sull’inattendibilità degli uomini dai quali si propone di stare lontana. Come pegno dipinge la scena su una pergamena.
Il racconto prosegue poi con la comparsa di un giovane nobile cavaliere, Tagi (Francesco Paolo Governale), che incontra lungo la strada un altro giovane in lacrime, Aziz (Ninetto Davoli). I due fanno amicizia. Tagi chiede spiegazioni delle sua tristezza e della lacrime versate sopra un pergamena che egli tiene fra le mani.
Aziz allora racconta la sua triste storia. Era fidanzato con la cugina Aziza (Tessa Bouché) e tutto era pronto per le nozze, quando la sera prima, viene attratto da una donna bellissima, Budur, detta la pazza. Fra i due nasce un’attrazione amorosa. Aziz racconta l’evento alla cugina e le nozze vengono sospese. Aziza dà buoni consigli al cugino, in modo che questi può vivere con Badur una vita d’amore. Ma Aziza ama il cugino, non regge al suo nuovo rapporto e muore. Badur lo viene a sapere e impone ad Aziz di costruire per la cugina una magnifica tomba. Questo tuttavia non avviene. Aziz, con i soldi della tomba gira per osterie, finché viene catturato da una fanciulla che lo costringe a sposarla. Il nuovo rapporto dura un anno, al termine del quale Aziz torna da Budur, che lo sta aspettando nella tenda in mezzo al deserto. Budur ha capito quello che è accaduto e decide di vendicarsi sul giovane, facendolo evirare delle donne sue amiche. Solo una frase di Aziza gli salva la vita.
Aziz, ormai non più uomo, riceve, tramite la madre, la pergamena di Dunya, ed è su quella che il giovane piange.
Tagi, che ha ascoltato la storia, vede la pergamena e confessa di essersi subito innamorato di Dunya. I due andranno nel suo giardino e dovranno convincere Dunya che il sogno dei due colombi ha un finale diverso. Tagi chiama due pittori mendicanti per le strade della città, e fa in modo che, sul soffitto della casa del giardino di Dunya, venga rappresentata la vera fine del sogno dei due colombi. Il colombo maschio non è andato a salvare la colomba femmina perché è stato aggredito e ucciso da un falco. Quindi la diffidenza di Dunya negli uomini non è giustificata.
I due pittori sono dei mendicanti che vivono in santità, e hanno una storia da raccontare.
Il primo dei due, Shahzaman (Alberto Argentino) racconta di essersi salvato per miracolo da un’aggressione di banditi alla sua carovana e di essere stato ospitato da un sarto. Nel bosco fuori le mura della città, trova una botola che lo conduce in una grotta sotterranea. Qui vive una fanciulla bellissima che di fatto è al servizio di una demone (Franco Citti). Shahzaman se ne innamora e la vuol portare fuori per farne sua moglie. Ma il demone è troppo forte. Uccide la ragazza e trasporta l’uomo in mezzo al deserto trasformandolo in uno scimpanzé. Come scimmia viene trovato da dei pescatori che lo portano alla città con la nave. Lo scimpanzé ricambia il favore scrivendo su pergamena il resoconto del viaggio. Quando il re legge il resoconto, vuole conoscerne l’autore, e lo scimpanzé gli viene portato con un solenne corteo al suono di campane. La figlia del re, che ha poteri magici, vede che lo scimpanzé è in realtà un uomo e lo restituisce alla forma primitiva. Ma l’atto le costa la vita. Shahzaman è profondamente colpito da questo sacrificio, e decide di darsi alla vita di mendicante per onorare Dio.
Anche l’altro, Yunan (Salvatore Sapienza) ha una storia da raccontare. È figlio di re, e una voce lo invita a percorrere il mare e visitare nuove terre. Chiede al padre una nave e si imbarca. Ma durante il viaggio accadono fenomeni strani. Alla fine la nave si sfascia contro un isola sorta all’improvviso. È un’isola magica, dove è presente un cavaliere tutto bardato d’acciaio, e le navi vi naufragano contro. Yunan deve distruggere il cavaliere, cosa che viene fatta. L’isola così s’inabissa per sempre. Yunan si salverà a nuoto, e finirà su un’altra isola dove un ragazzino viene depositato dal genitore in una grotta sotterranea. Il ragazzino compie 15 anni e la profezia dice che proprio qual giorno verrà ucciso da un uomo venuto dal mare: l’uomo che avrà distrutto il cavaliere malefico. Yunan scende nella grotta e tranquillizza il ragazzino. Mai egli gli potrà fare del male! Ma durante la notte, come in sogno, Yunan uccide il ragazzino. Al mattino si sveglia disperato per quello che ha fatto, senza esserne cosciente. Quando il padre verrà a prenderlo con la nave per portarlo in patria, Yunan, per espiazione, si dedicherà alla vita mendica per onorare Dio.
I due mendicanti, dopo i rispettivi racconti, sul tetto della casa di Dunya fanno un bellissimo lavoro: riproducono in mosaico la storia della colomba vista in sogno dalla principessa. Ma qui viene aggiunto il particolare che il colombo maschio non può aiutare la sua sposa perché è aggredito e ucciso da un uccello rapace. Dunya, recandosi al giardino, vede il mosaico e vede la parte aggiunta al suo sogno. Così Dunya si rende conto del suo errore nel tenere lontano gli uomini, incontra Tagi che la sta aspettando e con lui fa all’amore.
Dopo che Muniz ha letto queste storie, lei, assieme alle due sorelle e a Nur ed-Din si immergono nella piscina tutti e quattro nudi e fanno il bagno. Ma Nur ed-Din ha ancora una profonda nostalgia per Zumurrud e fugge dalla casa delle tre sorelle alla ricerca delle sua schiava. Attraversa il deserto. A un certo punto è stanco, ha sete, non intravede alcuna possibilità di trovarla. Incontra un leone e lo prega di sbranarlo, per porre fine alle sue sofferenze. Ma il leone gli fa segno di seguirlo, e lo conduce alla città dove Zumurrud è re. Nur ed-Din entra, e Zumurrud, lo riconosce. Lo fa portare nel suo appartamento regale dove finalmente i due si ritrovano e possono nuovamente fare l’amore.

Il film è molto bello. Qui l’ambientazione è di tipo orientale: i mercati sono veri e propri suq. I costumi delle donne sono sontuosi, con veli avvolgenti; i costumi dei nobili sono ricchi, con turbanti, gioielli etc. Le città sono fatte di case antiche, con mura aride, finestre ad arco, colonne. La città dove Zumurrud è stata incoronata re è Sana, la capitale dello Yemen. Pasolini è affascinato da quella città, rimasta pressoché intatta nei secoli, e non solo ne sfrutta l’architettura dei palazzi in questo film, ma vi ha girato un documentario-appello all’ONU perché quella città venga dichiarata patrimonio dell’Umanità e venga conservata senza essere sottoposta, con il plausibile arrivo di una certa ricchezza, al dominio della speculazione. E negli spazi fra le città si vede il deserto, con le dune, le montagne brulle di rocce rossastre, le carovane con asini e cammelli. Tutto secondo uno stile raffinato e nello stesso tempo immediato, senza mai scadere in atteggiamenti retorici. Anche le scene d’amore partecipano di questa immediatezza, pur nella loro arditezza, come la deflorazione di Budur con una freccia dalla punta a forma di pene. Sempre nello stile dei racconti orientali abbondano le citazioni proverbiali, come ad esempio quella che la verità non sta in un solo sogno ma in molti sogni, a proposito dell’interpretazione da parte di Dunya del sogno dei colombi.
Al film è stato assegnato il gran premio della giuria al Festival di Cannes del 1974.

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