LA POTENZA DELLE TENEBRE, di Lev Tolstoj (1886)

L.N.Tolstoy_Prokudin-Gorsky

Dramma fosco, opprimente, come preannunciato dal titolo. Siamo nella campagna russa. I protagonisti sono contadini che vivono sulla coltivazione di vasti spazi: alcuni sono proprietari terrieri, la maggioranza sono braccianti.
Il racconto ci porta nel seno di una famiglia, quella di Pëtr. Questi è un ricco possidente. Ha due figlie: la prima è Akulina, adolescente mezza scema, avuta dalla prima moglie; la seconda è Anjutka, ancora bambina, avuta dalla moglie attuale, Anisja. Quest’ultima è una donna ancora giovane e piacente, che mal tollera la vita con Pëtr ormai avanti negli anni, e contrae una relazione adulterina con Nikita, bracciante che lavora nella fattoria.


Nikita è un bel giovane che piace alle donne, scapestrato la sua parte. Oltre alla relazione con Anisja, contrae rapporti anche con altre fanciulle che si lasciano sedurre. Una di queste è un’orfana, Marina, che lavora come cuoca, ed è sostanzialmente una brava ragazza. Il padre di Nikita, Akim, un vecchio timorato di Dio, quando viene a conoscenza del fatto impone al figlio di sposare la ragazza e di rientrare in famiglia. La notizia mette nel panico Anisja, che si vede privare dell’uomo di cui è innamorata e che intende sposare alla morte, ormai ritenuta non lontana, del marito.
Se Akim vorrebbe che Nikita sposasse Marina, dello stesso parere non è la madre di Nikita, Matrëna, che anzi vede con favore il rapporto del figlio con Anisja. La donna spera che i due si sposino alla morte di Pëtr e che il figlio erediti in tal modo la proprietà. Matrëna si dà da fare con consigli, e cerca di convincere gli interessati che la sorte di Marina non è importante (di fatto Marina poi troverà un vedovo con tre figli che la prenderà in moglie), e che è vantaggioso per tutti che Nikita continui a lavorare nella proprietà di Pëtr.
Akim, sotto la pressione delle due donne, alla fine cede e Anisja vede avvicinarsi il compimento del suo progetto. Il problema è la morte di Pëtr, e una grossa cifra di danaro che egli tiene nascosta. Matrëna, come diavolo tentatore, si dà da fare a convincere Anisja ad affrettare la morte del marito con la somministrazione di veleno e nel frattempo di cercare i soldi che verranno poi trovati in una borsa che il vecchio si teneva addosso.
La vicenda finisce per risolversi nel senso desiderato dalle due donne, e Nikita non solo sposerà Anisja, ma diventerà il padrone della tenuta.
Nikita assume subito il suo ruolo con prepotenza. Persiste nel suo comportamento di persona scapestrata, si ubriaca frequentemente, picchia la moglie della quale ormai non è più innamorato (se mai lo è stato in passato), e seduce Akulina.
Questa, alle soglie della maggiore età, assume un ruolo da padrona, considerando se stessa la vera e unica erede di Pëtr, e spendendo a destra e a manca senza ritegno le ricchezza di cui dispone. La situazione va peggiorando. Anisja vede nella figliastra un ostacolo che la allontana da Nikita; Matrëna si schiera dalla parte del figlio del quale si sente complice; Akim si rende conto dei peccati del ragazzo e lo minaccia della vendetta di Dio, e, vista l’insofferenza del figlio per le critiche, tronca con lui ogni rapporto.
Akulina ha raggiunto l’età per sposarsi. Le si trova un marito e una famiglia ben disposta ad accoglierla, stante anche la disponibilità di una ricca dote. Ma proprio nel giorno in cui si deve contrarre il matrimonio, Akulina partorisce un figlio avuto dal rapporto con Nikita. Il fatto deve essere tenuto rigorosamente nascosto, e il figlio deve essere ucciso e sepolto, mentre nell’isba è in corso la festa nuziale. È compito di Nikita compiere l’infanticidio, prima di raggiungere i promessi sposi nel colmo della festa e impartire loro la benedizione paterna.
Ma Nikita senta nascere al suo interno l’oppressione del rimorso. L’incontro con Marina, venuta a cercare il marito che si trova fra gli invitati alla nozze, risveglia in lui la ripugnanza per una vita trascorsa al di fuori della legge morale. Si rifiuta di raggiungere gli ospiti alla cerimonia e di impartire la benedizione agli sposi. Ricorda gli ammonimenti del padre Akim, sente una grande vergogna. A completare il quadro, mentre il dolore provocato dal rimorso è tale da indirlo al suicidio, gli compare davanti Mitrič, il lavorante della proprietà, un poveraccio pieno di buon senso. È ubriaco, ma proprio per questo il buon senso fluisce all’esterno sempre più fluidamente. E la sua conclusione, che arresta il tentativo di suicidio di Nikita, è che il diavolo fa presa su tutti quelli che hanno paura degli uomini. Se non si ha paura degli uomini il diavolo non può far presa, e l’uomo può tendere a Dio. E la verità è la forma più alta di coraggio.
Nikita allora, convinto, raggiunge gli invitati nella festa, e invece di dare la benedizione, si libera della paura degli uomini e confessa tutte le sue malefatte, chiedendo perdono a Marina per averla sedotta; chiedendo perdono a Pëtr per averlo fatto uccidere per impadronirsi delle sue ricchezze; chiedendo perdono ad Akulina per averla sedotta; chiedendo perdono all’innocente che ha ucciso per nasconderne la nascita; e alla fine chiedendo perdono al padre Akim per non avere capito le previsioni davanti alle quali le sue prediche lo avevano posto. Così la tragedia finisce col suo arresto da parte dell’autorità di polizia.

La tragedia è cupa: il male è presente nell’avidità per i soldi, che induce Matrëna a spingere Anisja a uccidere il marito (tanto è quasi in fin di vita, si giustifica) e a convincere Akim a non imporre al figlio il matrimonio con la ragazza sedotta; è presente nella passione, che fa in modo che Anisja accetti di uccidere il marito per liberarsi di lui e affrettare le proprie nozze con Nikita; è presente nell’alcol e nell’ubriachezza che spingono Nikita a disprezzare e maltrattare la moglie, e a sedurre Akulina; e soprattutto è presente nell’assenza della speranza di un ritorno al bene e a Dio, quando Nikita, in preda alla disperazione aveva pensato al suicidio. Il male non solo non paga, ma contrariamente ai motivi per cui viene fatto, non porta alla felicità; porta alla tragedia. Solo il bene, la confessione, la vertità e la domanda di perdono possono redimere. In questo senso, se Matrëna, la madre di Nikita, è l’espressione del male, Akim, suo padre è, esattamente al contrario, l’espressione del bene. Tostoj, con questa tragedia ci ammonisce: ricordiamoci che il male può essere è fonte di disperazione, mentre la verità fa sì che il diavolo non possa far presa sulla nostra anima e ci conduce al bene.

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