LA BALLATA DI ADAM HENRY (The Children Act), di Ian McEwan, 2014

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Nel romanzo, sulla falsa riga dello sviluppo di una crisi coniugale fra Fiona Maye, giudice della Suprema Corte, e suo marito Frank, crisi che ne rappresenta il tema principale, Ian McEwan affronta alcune situazioni che riguardano lo stato e il diritto di famiglia. Ne fa testo l’aforisma introduttivo tratto dal Codice dei minori del 1989, Sezione I(a): “In tutte le questioni inerenti… l’educazione e lo sviluppo di un minore… la corte orienterà le proprie delibere assumendo come parametro decisivo il benessere del minore stesso“.

Fiona, in quanto magistrato, si occupa principalmente di diritto di famiglia ed è questa l’occasione per introdurre nel romanzo alcune situazioni, ovviamente di fantasia, ma tali da poter essere considerate come emblematiche e comunque di possibile accadimento nella vita privata. Apparentemente queste situazioni vengono introdotte senza una specifico legame con la trama, ma nel complesso hanno la funzione di descrivere coinvolgere il lettore sul rapporto fra l’ambiente in cui si svolge e la vicenda principale.
Uno dei casi riguarda la crisi fra una coppia di ebrei: il marito appartiene alla comunità haredi, di osservanza ultraortodossa, le cui regole molto rigide ammettono per la donna compiti dedicati esclusivamente alla gestione della famiglia, negandole la possibilità di accedere a un’occupazione lavorativa; la moglie, pur di religione ebraica, non è disposta ad accettare queste regole; si separa dal marito e si dedica a un’attività professionale. In questa situazione sorge il problema per le loro due figlie. La madre vuole che le figlie frequentino una scuola normale che impartisca l’istruzione necessaria a vivere in un ambiente “normale” e dove il rapporto fra i sessi è dettato da una convivenza senza remore particolari. Il marito al contrario vuole che le figlie vivano all’interno delle rigide regole della comunità haredi, e che quindi frequentino una scuola della comunità. Ian McEwan si diffonde in ragionamenti che intrecciano il carattere giuridico con l’interpretazione del principio dell’ottenimento del benessere e il rispetto per l’appartenenza a una religione, e conduce alla conclusione, assunta nella sentenza, che le figlie siano affidate alle forme educative volute dalla madre.
Un altro caso riguarda il destino della piccola figlia di una coppia di genitori divorziata. Il padre, marocchino, aveva, contro le decisioni precedenti di un tribunale, sottratto la minore alla madre e l’aveva portata in Marocco per farla educare secondo le usanze musulmane. Qui il problema riguarda soprattutto i rapporti giuridici fra i due paesi, tali da poter richiedere il rimpatrio della piccola in ottemperanza a una sentenza adottata in un tribunale inglese. E a questo aspetto si conforma la sentenza di Fiona.
Un terzo caso riguarda due gemelli siamesi. Ma non sono uguali. Uno si presenta integro, l’altro è carente, tale da non poter sopravvivere se distaccato: polmoni insufficienti, cuore non funzionante, cervello non sviluppato, etc. La separazione quindi potrebbe configurarsi come un vero e proprio omicidio, ma la non separazione condurrebbe in tempi brevi alla morte di entrambi. I genitori, e le stesse gerarchie ecclesiastiche sono contrarie, alla separazione. La situazione, e quindi anche la morte naturale di entrambi i gemelli, viene interpretata come volontà di Dio, e quindi non contrastabile. Fiona, nella sentenza prende la decisione di accedere alla separazione chirurgica, sulla base di ragionamenti di tipo giuridico, che discendono dall’assunto preliminare che il giudice non deve dare una risposta morale, ma applicare la legge. Si rifà quindi allo stato di necessità e alla ricerca del benessere nei confronti del minore. Tutto dipende dal fatto che Il gemello debole, dotato di un cervello non adeguatamente sviluppato, non può vantare interessi.
Questi tre casi sono serviti al narratore per offrire un terreno di discussione nel quale fare entrare un quarto caso, quello che poi finisce per essere il portatore della trama del romanzo e che si intreccia con la crisi familiare di Fiona.
Un giovane di 17 anni e 9 mesi, quindi in prossimità di diventare maggiorenne, cade ammalato di una forma di leucemia altamente rischiosa. Le cure sono possibili, ma comportano trasfusioni di sangue. Il giovane, insieme alla famiglia, appartiene alla comunità dei testimoni di Geova, che rifiutano le trasfusioni considerate contrarie alla volontà di Dio.
Il problema è serio: riguarda la possibilità di sopravvivenza, e il tempo per risolverlo è brevissimo.
Per autorizzare l’ospedale a fare le trasfusioni contro la volontà del paziente, e quindi salvagli la vita, occorre una sentenza. Le testimonianze, sia quelle che sostengono la necessità di intervento terapeutico, sia quelle che si appellano alla volontà di Dio, portano tutte argomenti convincenti. La sentenza dovrà tener conto della volontà del paziente, che, pur minorenne, in un caso come questo, secondo la giurisprudenza, ha un peso determinante. Il problema è quello di asserire che la sua volontà sia libera e frutto di una cultura autonomamente costruita, e non semplicemente indotta da pressioni della comunità o della famiglia.
Questo aspetto fa decidere a Fiona di avere un colloquio personale col paziente.
La visita conferma a Fiona di trovarsi davanti a un ragazzo molto intelligente, determinato, colto. Fra i due nasce una specie di amicizia: lui le fa leggere delle sue poesie, poi imbraccia il violino, cantano assieme, etc. Comunque la sua posizione, in merito alla trasfusione, sembra irremovibile: intende rifiutarla, pur sapendo che, per adempiere alla volontà di Dio, dovrà pagare un prezzo altissimo: la sua stessa vita.
La sentenza di Fiona, pur tenendo conto dell’intelligenza e della cultura autonoma del ragazzo, va in direzione opposta. L’ospedale dovrà mettere in atto tutte le forme terapeutiche che gli oncologi ritengono necessario per salvargli la vita, compresa la trasfusione di sangue. La motivazione addotta da Fiona si riferisce alla intuizione della esistenza di una contraddizione fra la sviluppatissima cultura del ragazzo e l’accettazione con motivazioni rigide e non sufficientemente o approfonditamente dimostrate (cosa che la sua cultura gli permetterebbe di fare) delle indicazioni della comunità.
Il tempo necessario per affrontare questo problema ha pesantemente interferito con la sua crisi coniugale. Il marito di fatto se ne è andato di casa per stare con la propria amante e Fiona si è sentita tragicamente sola. Solo alcune lettere del ragazzo leucemico, alle quali non risponde affatto, le hanno dato un minimo di orgoglio, vedendo che la sua sentenza ha avuto esito positivo. Il ragazzo è stato curato ed è sopravvissuto alla malattia.
Il lavoro comunque la chiama in giro per il paese a risolvere problemi in tribunali di piccole città. In una di queste città, Newcastle, mentre trascorre le serate con i colleghi nell’appartamento a lei riservato, si vede raggiungere dal ragazzo guarito dalla leucemia. È in buona forma. Confessa a Fiona che la sua ostinazione al rifiuto non era dovuta alla convinzione religiosa, ma a una forma di orgoglio che lo faceva in qualche modo sentire una specie di martire. Questo orgoglio, una volta venuto alla luce, gli ha fatto capire quanto le appartenenze possano influenzare le convinzioni. Uscire dalle appartenenze è il modo per dare alla propria vita un senso legato alla propria cultura. Per questi motivi ha abbandonato la comunità dei Testimoni e nel contempo la stessa fede, per assumere un ruolo indipendente nel decidere del proprio destino.
Il ragazzo confessa di sentirsi molto vicino a Fiona (innamorato?) e le chiede di poter andare a vivere con lei. Fiona lo congeda, ma nell’abbracciarlo, si lascia sfuggire un bacio: casto, certamente, ma forse, almeno nel profondo, non troppo. Il ragazzo vorrebbe trattenersi, ma l’atteggiamento di Fiona, impaurita dal bacio che le è sfuggito, diventa improvvisamente freddo, e il ragazzo, con un evidente fondo di delusione, se ne va.
Quando Fiona rientra, la crisi col marito ha superato il culmine e sembra avviarsi verso una soluzione. Il marito è tornato a casa, pentito per tutto quello che ha provocato, chiede perdono. È l’inizio di un riavvicinamento fra i due, e alla rinascita di un’attrazione reciproca che tende a ritornare fisica.
I contatti di Fiona con il ragazzo sono ora interrotti, anche se nello stato d’animo di Fiona quel bacio scambiato a suo tempo, resta nel profondo come una contrastante sensazione di rimorso e di paura. Davanti alla piena confessione del marito, in lei rimane quel lato oscuro. Lato oscuro che riemerge quando le viene recapitata una lettera proveniente dal ragazzo che contiene solo una poesia, dal titolo La ballata di Adam Henry. La poesia è incompiuta e sembra una forma di addio, che per Fiona è straziante.
E di fatto è un addio. Il ragazzo è ricaduto nella leucemia. Questa volta, maggiorenne, ha rifiutato le terapie senza possibilità di impedirglielo, non per ragioni religiose, ma come scelta culturale: ha deciso che quello è il suo futuro, lontano dalla donna che lo ha ammaliato.
Il romanzo termina con Fiona che, spinta al riavvicinamento al marito, si decide a raccontargli queste ultime vicende e gli stati d’animo che in lei hanno comportato, mettendosi così sullo stesso piano.

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