LA CHIMERA, di Sebastiano Vassalli (1990)

vassalli

Il senso dell’opera Vassalli lo rende noto alla fine, in una specie di Appendice dal titolo “Perché il Seicento”. Infatti si tratta di un romanzo ambientato in quel secolo; un romanzo storico, si potrebbe definire, nel quale viene narrata la storia e la breve vita di Antonia, una bambina nata illegittima, ed esposta sulla ruota, e alla fine morta sul rogo come strega. La sua storia, e soprattutto la sua fine, ci aiutano a penetrare il modo di vivere della gente comune, per la quale la violenza era un importante strumento di sopravvivenza. E soprattutto ci aiutano a comprendere, secondo quanto direbbe il Manzoni, come si è formata e sviluppata la cultura che poi è diventata il comune modo di vivere degli Italiani in quanto popolo di uno Stato unitario.

Come Manzoni, Vassalli è convinto che il carattere nazionale degli italiani si sia formato proprio nel Seicento, fortemente influenzato da due fattori dominanti: la Controriforma della Chiesa Cattolica e la dominazione spagnola a Milano e a Napoli. La critica che svolge nei confronti del modo in cui Manzoni ha affrontato il problema nei Promessi Sposi riguarda una certa attenuazione di quella che sembra essere stata la violenza che ha dominato i comportamenti della persone. Per dimostrarlo, ne sottolinea gli aspetti più evidenti, che riguardano Don Abbondio, il Cardinale Federigo Borromeo, lo stesso Don Rodrigo; mentre più aderente allo spirito secentesco dei comportamenti viene giudicata la descrizione della rivolta del pane e soprattutto la reazione della popolazione all’epidemia di peste.

Il racconto di Vassalli ci porta nella pianura della bassa novarese. I campi sono per lo più invasi dalle acque, e la coltivazione principale e più redditizia è quella del riso. Da una parte ci sono i signori, che dal riso traggono i profitti; dall’altra i contadini, e ancora più in basso i risaroli, quei poveracci che, privi di qualsiasi forma di sostentamento, per sopravvivere vengono forzatamente reclutati a lavorare nelle piantagioni in un lavoro massacrante e insano, che ne porta molti a morte precoce. In questo ambiente si sviluppa la lotta, tutta interna alla chiesa, fra comportamenti ecclesiastici tradizionali e comportamenti dei sacerdoti aderenti alla Controriforma e al Concilio di Trento. Da una parte una Chiesa dedita a una vita dispendiosa e gaudente, dall’altra una Chiesa moralmente ripulita che richiama sacerdoti e fedeli al sacrificio. Un prelato particolarmente attivo nel richiamo dei fedeli a una fede più moralmente esercitata, è stato il vescovo di Novara, Monsignor Bescapè, allievo e ammiratore dell’intransigenza di Carlo Borromeo.
Questa sua intransigenza lo mise in forte contrasto con il papa Aldobrandini, Clemente VIII, notoriamente portatore di una concezione che si richiama alla chiesa preconciliare. La beffa delle reliquie fatta a danno di Bescapè fu uno dei momenti più acuti di questo scontro.
Anche nel comune in cui si svolge la vicenda, il comune di Zardino, a poca distanza da Novara,
si manifesta lo scontro fra le due concezioni della Chiesa Cattolica. Nel periodo preconciliare il prete che avrebbe dovuto gestire le anime, Don Michele, di fatto non era affatto ordinato sacerdote, e viveva sfruttando chiesa e commercio delle indulgenze per guadagnarsi e magari godersi vita. Questi preti, chiamati quistoni, erano tollerati. Il Concilio di Trento e la Controriforma portarono a Novara, e quindi anche a Zardino, la nuova concezione religiosa della Controriforma, e, a sostituzione del quistone Don Michele, un parroco vero sacerdote, don Teresio.

In questi anni, comincia la storia di Antonia, un’esposta, affidata nel gennaio del 1990, al torno, come veniva chiamata la ruota della Casa di Carità di San Michele, appena fuori della città di Novara. Su questa ruota venivano “esposti” i figli nati illegittimi, assai numerosi in una terra dove signori, soldati spagnoli e preti non avevano scrupoli a mettere incinte le giovani contadine e dove le prostitute, spontanee o indotte, abbondavano.
Antonia era una bellissima bambina, dai capelli e dagli occhi nerissimi. E la sua bellezza aumentava col passar degli anni. Come spesso accadeva, famiglie del contado, erano interessate ad adottare qualche esposto, al fine di farne un servo per i lavori più faticosi. Un adozione che fece discutere fu proprio quella di Antonia, all’età di circa 5 anni. Ella fu adottata da Bertolo e Francesca Nidasio, una coppia privi di figli, che non ne fecero una serva, ma la trattarono come una della famiglia. Tuttavia questo non fu sufficiente per dare ad Antonia un rango nella comunità. Esposta era e come esposta veniva trattata dalla comunità del paese.
I Nidasio subirono critiche, e in alcuni casi si acuirono inimicizie nei loro confronti.
Antonia cresce in quell’ambiente: poche amiche, una vita caotica, fra processioni, mercati, lavoro nei campi, impara a conoscere il mondo e a capirne il funzionamento.
Fra i discorsi della gente, soprattutto quando ci si ritrova a sera nelle stalle, l’argomento che più viene discusso, soprattutto dopo l’arrivo del nuovo parroco, don Teresio e le sue costrizioni a seguire la fede in modo esasperato, è la religione: come adempiere ai comandamenti, come sconfiggere il diavolo, e come riconoscere le persone che col diavolo hanno rapporti, come salvare la propria anima etc. Un luogo temuto, in quel di Zardino, è una coppia di dossi a poca distanza dal centro abitato, indicato come luogo in cui si radunavano le streghe e dove di notte alloggiava il diavolo.
Un altro argomento di conversazione erano le imprese del Caccetta. Questi era un nobile che aveva dilapidato tutto il suo patrimonio e che in seguito, arruolato un ferocissimo gruppo di bravi, rapinava e uccideva. Le sue imprese erano molto temute ed erano argomento privilegiato di discussione e di racconti fra la gente. Le autorità si dovettero assoggettare al loro ruolo di tutela della legge, e finirono per catturare, processare e giustiziare il bandito. Ciò avvenne nel 1609 nella piazza di Novara, dove fu decapitato.
Antonia intanto aveva raggiunto l’età dell’adolescenza, ed era sempre più bella. Molti uomini si erano invaghiti e la chiedevano in matrimonio, ma ella tendeva sempre a respingerli. E riusciva a respingere anche veri e propri tentativi di stupro. Cosa che fece molto scalpore fu il fatto che respinse anche le proposte di una persona appartenente a un ceto elevato, imparentata con la nobiltà. Questo suo ripudio fece mormorare molto la gente: un’esposta (ancora quel titolo del quale Antonia non si sarebbe mai liberata), quindi un’appartenente a un rango umilissimo, come poteva respingere un matrimonio del genere? La sua bellezza, i numerosi pretendenti da lei rifiutati, finirono per far pensare che Antonia fosse provvista di strani poteri, e di qui, cominciò a formarsi l’ipotesi che potesse trattarsi di stregoneria.
Ma Antonia, per carattere, per educazione, per orgoglio, non accetta le imposizioni di una società che l’avrebbe voluto sottomessa, umile e disposta a subire ogni forma di prevaricazione, come appunto si conviene a una “esposta”. Vuole vivere la sua vita. All’età di 18-19 anni (siamo nel 1609) si innamora di un camminante, cioè di una di quelle persone libere, senza un’abitazione, senza un lavoro fisso, che hanno come sistema di vita quello di fare mille lavori a propria scelta e di interrompere quando il lavoro smette di suscitare interesse. Il camminante di cui Antonia si innamora si chiama Gasparo. È capitato dalle parti di Zardino in quanto arruolatore dei risaroli. Quella di Antonia è una passione. Scappa da casa nelle ore notturne per incontrarsi col suo amore, sperando di non essere vista. E il loro luogo di incontro spesso è sul dosso dell’“albera dei ricordi”, proprio quello presso il quale la credenza popolare pensava che avvenisse il sabba delle streghe.
Le dicerie sui suoi poteri di strega crescono, e vengono collegate anche a qualche fatto giudicato insolito, come ad esempio l’ammalarsi di un bambino in una casa dove lei aveva in precedenza fatto visita, oppure la nascita di un vitello deforme, o la morte di un cane.
In sostanza queste dicerie trovano una certa credibilità a Novara, non tanto presso il vescovo Bescapè, quanto presso l’inquisitore Manini. Ancora una volta si manifesta lo scontro fra chiesa pre-conciliare, quella inquisitoria dei frati domenicani, e la chiesa conciliare, il vescovado. E Antonia e le accuse di stregoneria che la riguardano sarà un ennesimo, crudele strumento di scontro.
Si apre così un’istruttoria contro Antonia. In un primo momento a piede libero: vengono sentiti testimoni, fra cui proprio i Fratelli Cristiani, che hanno visto più volte Antonia uscire di notte, e in un’occasione è stata vista, assieme a una figura non identificata, proprio sul dosso dell’“albera dei ricordi”. Altre testimonianze riguardano singoli episodi, come, per esempio il fatto che un pittore di strada l’abbia utilizzata come modelle per dipingere in una edicola il volto della Madonna, oppure, peggio ancora, il fatto di averla vista ridere durante una visita nella chiesa di Zardino del Vescovo di Novara. Tutti questi episodi, di evidente nessuna importanza, tuttavia danno l’estro all’Inquisitore di imbastire un processo, dimostrando così il suo potere in alternativa a quello del vescovo. Nonostante molte testimonianze in grado di chiarire che i fenomeni strani elencati dai testimoni a carico non avessero nulla a che fare con la natura di strega di Antonia, ma fossero fatti assolutamente naturali, il processo ha luogo. Antonia viene imprigionata, interrogata, torturata finché, sotto la sofferenza e spinta da una giustificata ribellione, ammette di essere una strega e di avere avuto rapporti carnali con diavolo. Alla fine viene condannata e consegnata al braccio secolare per essere abbruciata sul rogo.
In questi ultimi capitoli Vassalli ci fa sentire i pensieri della giovane, che nel giro di pochi mesi vede la propria vita massacrata: dapprima lo stupore, poi la sofferenza, la ribellione e infine una rassegnazione che scivola nella morte fra le fiamme della catasta di legna ammucchiata sul famoso dosso dell’“albera dei ricordi”, il luogo dei supposti sabba cui avrebbe partecipato.
Le conclusioni del racconto, riguardano proprio i comportamenti della gente comune, delle “brava gente”: dapprima il disprezzo per l’esposta, poi le maldicenze per la sua vita indipendente e orgogliosa, poi le dicerie per la sua bellezza e per il fatto di essere corteggiata da molti uomini; poi la convinzione che stregasse gli uomini e che quindi fosse una strega; e le testimonianze sui fatti insoliti, tutti negativi di cui la sua presenza fosse causa; e alla fine gli insulti, gli aizzamenti, le grida di “C’è la strega! Arriva la strega! A morte! Al rogo! Al rogo!” mentre Antonia, sul carretto viene portata al luogo dell’esecuzione. Tutto questo è manifestazione di una violenza che albergava proprio all’interno del modo di essere e di pensare della gente. Della gente comune, ci avverte il Vassalli. Si trattava di gente comune, dice, “erano tutti brava gente: la stessa gente laboriosa che nel nostro secolo ventesimo affolla gli stadi, guarda la televisione, va a votare quando ci sono le elezioni, e, se c’è da fare giustizia sommaria di qualcuno, la fa senza bruciarlo, ma la fa; perché quel rito è antico come il mondo e durerà finché ci sarà il mondo.”
Fra gli eventi quotidiani che portano questo segno, uno in particolare, mi viene alla mente, ora, dato che si è svolto proprio in questi giorni: il linciaggio, anche mediatico, del preside della scuola di Rozzano, accusato, a torto, di avere vietato i festeggiamenti del Natale nella scuola, cosa che ben presto si è dimostrata non vera.

Scrivi un commento