MOOLAADÉ di Ousmane Sembène (2004)

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Il film del regista senegalese ha vinto al festival di Cannes del 2004 Cannes la palma d’oro per Un certain regard.
Il racconto si svolge in un villaggio del Burkina Fasu di nome Djerisso. Il villaggio è governato da un gruppo di anziani guidati da un capo-villaggio. Il loro compito è quello di far osservare le antiche tradizioni agli abitanti. In diverse capanne collocate attorno a uno spiazzo e a una Moschea centrale, vivono le famiglie, tutte da tempo convertite alla fede islamica. In molte delle famiglie gli uomini possiedono più di una moglie. La vita scorre tranquilla, le donne si adoperano nelle faccende domestiche, e alla custodia dei piccoli.

La tranquillità viene improvvisamente interrotta da quattro bambine che, terrorizzate, si raggruppano attorno a una delle donne, una certa Collè Gallo Ardo Sy. È la seconda moglie di Ciré Bathily, fratello minore di uno degli anziani. Cosa è successo? Le quattro bambine più altre due, sono scappate rifiutandosi di sottostare al rito iniziatico della infibulazione. Questo rifiuto non è ammissibile, è una violazione di una antica tradizione alla quale tutti gli abitanti del villaggio devono sottostare. Le madri della bambine, accompagnate dalle salindane, si presentano davanti a Collè e chiedono che le bambine vengano riconsegnate per essere sottoposte al rito. Collè rifiuta. Ella ha una figlia, Amsatou. A suo tempo ha rifiutato di sottoporla all’infibulazione, dato che due figlie precedenti erano morte a cause del sanguinoso rito. Per impedire il riaffidamento delle bambine alle salindane, Collé invoca un’antica tradizione, il moolaadé, cioè una specie di diritto di asilo che non può essere violato, pena terribili sciagure per chi lo facesse.
Si scontrano così due diverse tradizioni alle quali sono soggetti gli abitanti del villaggio, e che sono considerate inviolabili. Da una parte l’infibulazione, che dovrebbe rendere le donne purificate e tali quindi da poter contrarre matrimonio. Le donne non sottoposte all’infibulazione vengono considerate impure, definite bilakoro e nessun uomo, per nessun motivo, si azzarderebbe mai a sposarle. Dall’altra parte il moolaadé, una parola che, quando pronunciata, ha un’efficacia insormontabile, rappresentata in modo visibile da una corda tesa davanti all’ingresso dell’abitazione. Solo chi ha pronunciato il moolaadé può pronunciare la parola che vi mette termine.
Il contrasto è un grave problema e si rende necessario il raduno degli anziani, sollecitato dalle salindane, che sono impegnate a sottoporre le quattro fuggitive al rito della purificazione. La discussione è accanita; si passano in rassegna le antiche tradizioni, si capisce che il ricorso al moolaadé in questa circostanza mette a repentaglio l’equilibrio del villaggio, basato sull’osservanza della fede islamica arricchita dalle tradizioni millenarie. L’oggetto delle rimostranze è, ovviamente, Collè che è ricorsa al moolaadè, e le si chiede ripetutamente di togliere la parola maledetta. Ma alla fine le salindane sono costrette ad abbandonare il campo. Dato che le ragazze fuggite sono sei e quelle protette dal moolaadè sono quattro, non resta loro che trovare le altre due, che tuttavia sono scomparse.
Collé viene isolata. Gli uomini, e soprattutto gli anziani, la allontanano. Ma le donne, all’inizio scettiche, gradualmente, a cominciare dalla prima moglie di Ciré e poi anche dalla terza, guardano a Collè con interesse. In questo sembra avere una certa influenza anche l’ascolto della radio. Gli uomini cominciano a temere che si stia realizzando fra le donne l’esigenza di una maggior libertà. Da una parte la resistenza di Collè, dall’altra l’ascolto della radio che trasmette musica, canti ma anche notizie dal resto del mondo. Quasi tutte le donne ne hanno una. Ebbene, gli anziani decidono che le radio vengano tutte sequestrate e accumulate nello spiazzo davanti alla moschea, dove, nonostante le proteste delle donne, verranno date alle fiamme.
Nel villaggio vi sono due uomini che hanno perso la mentalità del luogo: uno viene chiamato “mercenario”. È un ex militare, che ha un banchetto dove vende diversa merce: dal pane a vestiti, caramelle, dolcetti e altro. Ha fama di essere un donnaiolo. Verremo a sapere che non è un vero mercenario, ma un ex-militare che, per essersi ribellato a soprusi dei suoi superiori è stato radiato dall’esercito e ridotto allo stato borghese.
L’altro uomo che si è allontanato dalla mentalità del luogo è Ibrahima Doukouré, figlio del capo del villaggio. Egli torna da un lungo soggiorno in Francia dove è venuto a contatto, e in parte ha anche appreso, con il modo di vita occidentale. Vuole portare il progresso nel villaggio e ha con sé un apparecchio televisivo, simbolo e strumento del progresso. Ibrahima era stato considerato il promesso sposo di Amsatou, la figlia di Collè, e lui l’avrebbe molto volentieri sposata, dato che è una bella ragazza di almeno 18 anni. Ma la vicenda delle sei fuggiasche ha reso le cose più complicate. Amsatou è una bilakoro e il capo del villaggio vieta al figlio di sposarla. Gli procura lui una moglie adatta, una nipote di appena 11 anni. Ibrahima si assoggetta, ma il mercenario accusa di pedofilia lui e il padre. Il Mercenario, che fino a quel momento non aveva preso posizione nella diatriba, comincia a schierarsi con Collé.
La situazione precipita.
Le due bambine fuggite all’infibulazione assieme alle altre quattro, ma non protette dal moolaadé, si sono suicidate buttandosi nel pozzo.
Il marito di Collé si vede costretto, dal fratello maggiore e dagli anziani, a esercitare la sua autorità sulla moglie, costringendola a pronunciare la famosa parola che libererebbe le bambine dal moolaadé, e permettendone così l’infibulazione. La costrizione verrà portata all’estremo, mediante frustate date in pubblico. Collé sviene. Gli uomini guardano indifferenti, quasi compiaciuti, ma le donne del villaggio, già arrabbiate per la questione delle radio, si schierano attorno a lei, mentre il mercenario, che ha assistito alla fustigazione, preso da grande rabbia, blocca la mano di Ciré. Questo gli costerà la vita.
Intanto, approfittando della confusione, la madre di una della quattro bambine, Diatou, riesce a convincere la piccola a scavalcare la corda del moolaadé. Irriguardosa dai suoi pianti, la porta alle salindane per l’infibulazione. Diatou muore durante il rito.
La morte di Diatou sconvolge Collé che decide di pronunciare la parola che scioglie il moolaadé.
Ora la lotta delle donne contro l’infibulazione diventa aperta. La madre di Diatou si dispera, e le madri delle altre tre bambine, assieme alle altre donne del villagio, capiscono il dramma che è scaturito da un rito che si dimostra barbaro, e si schierano tutte contro l’infibulazione. Tutte assieme si recano dalla salindane e le costringono a cedere i coltelli con i quali tagliano i genitali delle fanciulle. Mai più infibulazione! E lo gridano davanti agli anziani schierati e agli uomini che li circondano. Ciré è pentito di aver frustato la moglie e insulta il fratello che l’aveva costretto. Gli uomini sono paurosi: bruciano le radio, uccidono il mercenario, ma le donne, gridano, sono più valorose degli uomini. È questa una loro vittoria, che celebrano con grande allegria, canti e danze. Ibrahima, finalmente trova il coraggio, si ribella al padre, si alza e va verso Amsatou, che, pur essendo bilakoro, sarà comunque sua sposa.
Il messaggio importante del film, a mio avviso, è che la liberazione delle donne, non può e non deve essere frutto di “esportazione” della cultura e del femminismo occidentale, ma deve nascere dalla consapevolezza delle donne dei loro problemi e della possibilità, partendo da questi di imporre all’altro sesso il rispetto dovuto a loro come esseri umani.

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