CARMEN, agli Arcimboldi

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Si dice che la Carmen sia l’opera più rappresentata in assoluto nel 
mondo. Indubbiamente la sua trama è avvincente, con drammaturgia 
perfettamente costruita, la musica è elettrizzante, intrigante, 
emozionante, di immediata lettura, senza momenti di stanca: tale insomma 
da catturare lo spettatore e di tenerlo avvinto dall’inizio alla fine. 
Per questo, quando vedo che una stagione come quella della Scala, di un 
Teatro (sia pure temporaneamente trasferito agli Arcimboldi) che gode 
(ancora, anche se sempre meno meritatamente) un alto prestigio nel 
mondo, la propone, mi immagino che ci si offra qualche cosa di nuovo: o 
dal punto di vista dell’interpretazione, o dal punto di vista della 
qualità dei cantanti, o dal punto di vista della regia. Soprattutto se 
si tratta di un nuovo allestimento.

Purtroppo devo dire che questo, per quanto possa io avere visto, non è 
stato. La Carmen offerta è stata una messa in scena senza alcun momento 
che mi abbia particolarmente stimolato. D’altra parte il fatto che il 
cartellone prevedesse 14 repliche mi aveva già messo in sospetto: non 
sarà un’operazione prettamente finanziaria, cioè mirata soprattutto a 
fare grande audience con un titolo che più popolare non si può?

Non so se l’obiettivo di una audience di massa sia stato raggiunto. 
Quello che è stato raggiunto, invece, è l’obiettivo di fare una Carmen 
tradizionale, con una scenografia scontata e a volte decisamente brutta 
(come la scena della Taverna di Lilas Pastia, con decorazioni che 
sarebbero state più appropriate in una casa norvegese per il giorno di 
Natale, che non in una Taverna del sud della Spagna). 
Ma anche la regia non ha dato nulla. Scene scontatissime, movimenti 
corporei pure, quali si vedono un po’ dappertutto in ogni messa in scena 
della Carmen in teatri di secondo ordine. La scena della seduzione del 
secondo atto, tanto per dirne una, la scena sulla quale ruota un po’ 
tutta la tragedia, è tanto poco seducente che i due protagonisti non 
solo non si toccano, ma non si guardano neppure in faccia; la scena 
della sfilata della quadriglia e della folla di venditori, spettatori, 
molto economica (in senso scenico, ma penso anche in senso di costi) è 
tuttosommato brutta, priva di almeno quella vivacità o quella 
sontuosità che ci si possa aspettare in una plaza de toros di Siviglia. 
Insomma nulla o ben poco ho avuto occasione di vedere che abbia acceso 
il mio interesse o la mia ammirazione.

La direzione orchestrale di Plasson mi è sembrata conseguente: mai un 
brivido. Tutto fatto diligentemente, ma freddamente (o ero io 
raffreddato quella sera?) Lo spettacolo mi è scivolato davanti con una 
estraneità che difficilmente mi capita quando vado a teatro a vedere 
un’opera. Ho avuto l’impressione di una Carmen piatta, senza nulla da 
dire.

Gli intepreti. Il pregio maggiore dell’opera mi è sembrata Julia 
Gertseva, la messosoprano che ha sostituito la Borodina. Prima di tutto 
occorre dire che si tratta di una bella donna, e questo è stato un 
piacere (forse l’unico). Poi ha recitato il suo ruolo con convinzione, 
ha evitato il solito eccesso di braccia alzate alla spagnola stile 
Natalia Estrada, ha saputo rendere bene i momenti drammatici, senza 
eccessiva enfasi, con voce forse di timbro non bellissimo (molto vibrato 
negli acuti) ma espressivo. In realtà è opportuno notare che il 
”parlato” in questo allestimento è ridotto al minimo, pochissime parole 
(e moltissimi tagli), e quindi non ho capito bene la polemica imposta 
dalla Borodina. Il tenore (Walter Fraccaro) mi è parso molto meno 
efficace della mezzosoprano, più immobile sia nella recita che nel 
canto: gira sulla scena con gesti nervosi senza saper bene che cosa deve 
fare; canta perché le note sono quelle. Escamillo (Ildar Abdrazakov) lo 
si vede, bel ragazzo, ben palestrato, entra con grande impeto accolto da 
grida di giubilo, poi ci si mette ad ascoltarlo: aspetto, aspetto prima 
di rendermi conto che a cantare effettivamente ha già cominciato. In 
seconda fila non riuscivo a sentire dalla sua voce un suono che colpisse 
il mio povero timpano. Senza lode e senza infamia la gravina Angela 
Marambio nella parte di Micaela.

Il pubblico ha applaudito senza eccessivo entusiasmo, e spesso anche a 
scena aperta. Io sono uscito con la convinzione di avere assistito ad 
uno spettacolo inutile (almeno dal mio punto di vista). 

 

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