Le Apuane

Le Apuane le ho viste come scena di fondo, fata morgana di esistenza forse improbabile, le coronassero nubi o le nascondesse la foschìa o le rivelasse, verso settembre, una prima pioggia seguita dal sereno nella loro essenza di pietra preziosa, viste e amate come insostituibili, nei tempi lunghissimi delle vacanze marine.

Oggi, passati anni e anni, ho osato rompere l’incanto, ho voluto visitarle (è possibile visitare da svegli un sogno?), verificarne la natura. È stata un’esperienza terribile ma probabilmente ne
cessaria. La “terribilità”, parola usata dal Vasari a proposito di Michelangelo, si conviene alle solitudini bianche e ventose del ventre durissimo della Apuane, da Michelangelo, da Henry Moore “terribilmente”, quasi sessualmente, amato e violato.

Vi potete arrivare da Sarzana superando la turrita Fosdinovo, o da Massa o da Carrara che può dirsi, di questa terra, a gran diritto, la capitale e alla quale io ho preferito scendere alla fine del viaggio per ristorarmi dal trauma della contemplazione inebriante e ansiosa di quei calanchi sublimi, d’un candore che acceca, tutti segnati dai tagli, dalle ferite inferte loro da faticati, intrepidi cavatori. Al fine che altri non meno faticati e intrepidi uomini, da Michelangelo ai più umili e anonimi degli scalpellini, portassero a dignità d’arte, in sfida alla morte delle cose, quei massi immemoriali e silenti.

Dopo l’ebbrezza dei 1.200 metri dell’Uccelliera, specola impareggiabile e astrale, disceso alle porte di Carrara, a vista ravvicinata, nel rumore a dimensione umana del lavoro di tutti i giorni, mettici anche quello dei maestosi caterpillar, si ha l’impressione, assai meno drammatica delle emozioni di prima, di trovarsi di fronte a una grande, involontaria e innocua figurazione cubista.

La tensione allentatasi, siamo pronti ad una cena per la quale non voglio darvi consigli precisi di trattorie perché in NordToscana, a qualsiasi di esse vi fermiate, troverete il pane, la carne e il vino eccellenti, perché “nostrali”, come li chiamano qui. Affrettatevi, perché se nevica, lassù arrivano gli sciatori, ahimè.


“L’Espresso”, 21 novembre 1982

 
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