LA POESIA

LA POESIA
Eccomi nel vecchio bosco incantato,
dolci alberi di tiglio profumano il vento,
lo splendore della luna proietta
una malia sulla mia mente.
In avanti io cammino, e, mentre cammino –
ascolto quell’alta, soffice melodia!
È l’usignolo: esso canta,
d’amore e delle pene d’amore.
Esso canta d’amore e delle pene d’amore,
di risate e di lacrime,
così triste la sua gioia, così gioiosi i suoi singhiozzi,
che io sogno di anni dimenticati.
In avanti io cammino, e mentre cammino
vedo davanti ai miei occhi
un orgoglioso castello sull’ampio prato,
le cui torri alte si innalzano.
Con le finestre chiuse, e dovunque
triste silenzio nella corte e nelle sale,
sembrava come se la morte avesse dimora
all’interno di quelle povere mura.
Davanti all’entrata una Sfinge era accovacciata,
per metà orrore e per metà grazia;
un corpo e artigli da leone,
una faccia e un petto da donna.
Una bella donna! Il marmoreo sguardo
parlava di selvaggio desiderio e astuzia.
Le silenti labbra erano piegate
in un sorriso confidente e lieto.
L’usignolo, esso cantava dolcemente,
mentre io gli fornivo il tono.
Toccavo, baciavo l’amabile faccia,
ed ecco, che io mi sentii sopraffatto!
L’immagine marmorea si aprì alla vita,
la pietra cominciò a muoversi;
essa bevve l’ardore dei miei infocati baci
con ansimante amore assetato.
Essa avidamente bevve il mio respiro
e, ancora più piena di desiderio,
mi abbracciò, e la mia carne contorta
con gli artigli di leone mi strappò.
Oh, estatico martirio! incantevole dolore!
Oh, infinita angoscia e beatitudine!
Essa con i suoi terribili artigli mi feriva,
mentre faceva rabbrividire la mia anima con un bacio.
L’usignolo cantava: “Oh bella Sfinge,
Oh amore! che cosa significa questo?
Che tu mescoli ancora le pene della morte
con tutte le tue beatitudini?
Tu, bella Sfinge, oh risolvi per me
questo meraviglioso enigma!
Ho ripetutamente riflettuto su esso,
per molte migliaia di anni!”
Heinrich Heine (Buch der Lieder, Proemio alla terza edizione, Scritto a Parigi il 20 febbraio 1839)
LA SFINGE
di Heinrich Heine
Heinrich Heine, martedì 11 maggio 2010