POESIA

 
 
 
 
 
 

Due piccioni si amavano di tenero amore.

Uno dei due, annoiandosi della vita di casa,

fu tanto poco furbo da intraprendere

un viaggio in paesi lontani.

L’altro gli disse: «Che vuoi fare?

Vuoi abbandonare tuo fratello?

L’assenza è il più grande dei mali:

a te, crudele, forse non sembra. Possano la fatica,

i pericoli, le difficoltà del viaggio

farti cambiare idea!

Tanto la stagione si inoltra.

Aspetta lo Zefiro. Perché questa premura? Un corvo

poco fa ha annunciato sventura.

Io immaginerò che farai incontri funesti,

come falchi, reti. Ahimè, dirò, piangerà:

mio fratello non ha già tutto ciò che vuole,

buon cibo, buon alloggio, e il resto?»

Questi discorsi fecero vacillare il cuore

del nostro imprudente viaggiatore;

ma il desiderio di vedersi attorno e l’umore inquieto

alfine lo spinsero a partire. Disse: «Non piangere:

Tre giorni al massimo, faranno il mio animo soddisfatto;

Tornerò e ti racconterò puntualmente

le mie avventure, fratello mio.

Ti svagherò: quelli che non vedono niente

non hanno niente da raccontare. Il racconto del mio viaggio

per te sarà un estremo piacere.

Dirò: sono stato là; la tal cosa mi è piaciuta;

e sarà come se ci fossi stato tu stesso.»

A queste parole, piangendo, essi di dissero addio.

Il viaggiatore si allontana; ed ecco che un uragano

lo obbliga a cercare riparo in qualche luogo.

Lo trova in un albero solitario, mentre l’uragano

investe il piccione nonostante la protezione delle foglie.

Ritornato il sereno, egli riparte con coraggio,

asciugato al meglio il suo corpo bagnato di pioggia.

In un campo a distanza vede del frumento sparso,

e vicino vede un piccione; gli fa invidia;

vi vola accanto, ed è catturato; questo frumento copriva un laccio,

si trattava di una trappola.

Il laccio era logoro! usando ali,

piedi e becco, l’uccello finalmente lo rompe.

Ci rimette solo qualche piuma; ma un destino peggiore

gli si avvicina: un avvoltoio dagli artigli crudeli

vede il nostro sfortunato, il quale, trascinando lo spago

e i frammenti del laccio che l’aveva catturato,

sembrava un prigioniero fuggito.

L’avvoltoio stava per assalirlo, quando dalle nubi

compare a sua volta un’aquila con le ali distese.

Il piccione approfittando della lotta fra i due rapaci,

se ne vola via e atterra nelle vicinanze di una stamberga,

pensando che, per questa volta, le sue disgrazie

siano finite con questa avventura;

ma un briccone di un bambino, questa età è senza pietà,

prende la sua fionda e colpisce

il volatile sfortunato,

che, maledicendo la sua curiosità,

trascinando l’ala, e strascicando i piedi,

mezzo morto e mezzo zoppo,

se ne torna dritto al suo alloggio.

Bene o male vi ci arriva

senza altre avventure spiacevoli.

Ecco, i nostri amici si ricongiungono; e lascio immaginare

quanto grande sia il piacere che ripaga le loro pene.

Innamorati, felici innamorati, volete viaggiare?

Qualunque cosa ci sia attorno a voi,

siate l’uno per l’altro un mondo sempre bello,

sempre diverso, sempre nuovo;

Siate tutto per voi, e non pensate ad altro;

Io ho amato qualche volta! e non avrei allora

scambiato il Louvre e i suoi tesori,

e il firmamento e la volta celeste, per i boschi, e i luoghi

onorati dai passi, e rischiarati dagli occhi

dell’amabile e giovane pastorella,

per la quale, sotto il figlio di Citera,

io servivo, impegnato dai miei primi giuramenti.

Ahimé! Quando rivivrò simili momenti?

Occorre che simili cose così dolci e così affascinanti

mi lascino vivere nonostante l’inquietudine della mia anima?

Ah! se il mio cuore osasse ancora infiammarsi!

Non sentirò mai più d’una magia il filo che m’arresta?

Ho oltrepassato il tempo dell’amore?


Jean de La Fontaine (Da Fables de La Fontaine II°, 1678)

 

I DUE PICCIONI

di Jean de La Fontaine

Jean de La Fontaine, martedì 31 maggio 2016

 
 
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