GABRIELE D’ANNUNZIO

 
 
 
 
 

Graziano Piazza, martedì 10 aprile 2018

 

         CON IN BOCCA IL SAPORE DEL MONDO



La sera fiesolana


Fresche le mie parole ne la sera

ti sien come il fruscio che fan le foglie

del gelso ne la man di chi le coglie

silenzioso e ancor s’attarda a l’opra lenta

su l’alta scala che s’annera

contro il fusto che s’inargenta

con le sue rame spoglie

mente la Luna è prossima a le soglie

cerule e par che innanzi a sé distenda un velo

ove il nostro sogno si giace

e par che la campagna già si senta

da lei sommersa nel notturno gelo

e da lei beva la sperata pace

senza vederla.

Laudata sii pel tuo viso di perla,

o Sera, e pè tuoi grandi umidi occhi ove si tace

l’acqua del cielo!

Dolci le mie parole ne la sera

ti sien come la pioggia che bruiva

tepida e fuggitiva,

commiato lacrimoso de la primavera,

su i gelsi e su gli olmi e su le viti

e su i pini dai novelli rosei diti

che giocano con l’aura che si perde,

e su ‘l grano che non è biondo ancóra

e non è verde,

e su ‘l fieno che già patì la falce

e trascolora

e su gli olivi, su i fratelli olivi

che fan di santità pallidi i clivi

e sorridenti.

Laudata sii per le tue vesti aulenti,

o Sera, e pel cinto che ti cinge come il salce

il fien che odora!

Io ti dirò verso quali reami

d’amor ci chiami il fiume, le cui fonti

eterne e l’ombra de gli antichi rami

parlano nel mistero sacro dei monti;

e ti dirò per qual segreto

le colline su i limpidi orizzonti

s’incúrvino come labbra che un divieto

chiuda, e perché la volontà di dire

le faccia belle

oltre ogni uman desire

e nel silenzio lor sempre novelle

consolatrici, sì che pare

che ogni sera l’anima le possa amare

d’amor più forte.

Laudata sii per la tua pura morte,

o Sera, e per l’attesa che in te fa palpitare

le prime stelle!


(Alcione 1903; composta 17 giugno 1899)



Stringiti a me


Stringiti a me,

abbandonati a me,

sicura.

Io non ti mancherò

e tu non mi mancherai.

Troveremo,

troveremo la verità segreta

su cui il nostro amore

potrà riposare per sempre.

immutabile.

Non ti chiudere a me,

non soffrire sola,

non nascondermi il tuo tormento!

Parlami,

quando il cuore

ti si gonfia di pena.

Lasciami sperare

che io potrei consolarti.

Nulla sia taciuto fra noi

e nulla sia celato.

Oso ricordarti un patto

che tu medesima hai posto.

Parlami

e ti risponderò

sempre senza mentire.

Lascia che io ti aiuti,

poiché da te

mi viene tanto bene!


(da: Il fuoco , 1900 – II L’impero del silenzio)



La pioggia nel pineto


Taci. Su le soglie

del bosco non odo

parole che dici

umane; ma odo

parole più nuove

che parlano gocciole e foglie

lontane.

Ascolta. Piove

dalle nuvole sparse.

Piove su le tamerici

salmastre ed arse,

piove sui pini

scagliosi ed irti,

piove sui mirti

divini,

su le ginestre fulgenti

di fiori accolti,

su i ginepri folti

di coccole aulenti,

piove su i nostri volti

silvani,

piove su le nostre mani

ignude,

su i nostri vestimenti

leggieri,

su i freschi pensieri

che l’anima schiude

novella,

su la favola bella

che ieri

t’illuse, che oggi m’illude,

o Ermione.

Odi? La pioggia cade

su la solitaria

verdura

con un crepito che dura

e varia nell’aria

secondo le fronde

più rade, men rade.

Ascolta. Risponde

al pianto il canto

delle cicale

che il pianto australe

non impaura,

nè il ciel cinerino.

E il pino

ha un suono, e il mirto

altro suono, e il ginepro

altro ancóra, stromenti

diversi

sotto innumerevoli dita.

E immersi

poi siam nello spirto

silvestre,

d’arborea vita viventi;

e il tuo volto ebro

è molle di pioggia

come una foglia,

e le tue chiome

auliscono come

le chiare ginestre,

o creatura terrestre

che hai nome

Ermione.

Ascolta, ascolta. L’accordo

delle aeree cicale

a poco a poco

più sordo

si fa sotto il pianto

che cresce;

ma un canto vi si mesce

più roco

che di laggiù sale,

dall’umida ombra remota.

Più sordo e più fioco

s’allenta, si spegne.

Solo una nota

ancor trema, si spegne,

risorge, trema, si spegne.

Non s’ode voce del mare.

Or s’ode su tutta la fronda

crosciare

l’argentea pioggia

che monda,

il croscio che varia

secondo la fronda

più folta, men folta.

Ascolta.

La figlia dell’aria

è muta; ma la figlia

del limo lontana,

la rana,

canta nell’ombra più fonda,

chi sa dove, chi sa dove!

E piove su le tue ciglia,

Ermione.

Piove su le tue ciglia nere

sì che par tu pianga

ma di piacere; non bianca

ma quasi fatta virente,

par da scorza tu esca.

E tutta la vita è in noi fresca

aulente,

il cuor nel petto è come pesca

intatta,

tra le pàlpebre gli occhi

son come polle tra l’erbe,

i denti negli alvèoli

son come mandorle acerbe.

E andiam di fratta in fratta,

or congiunti or disciolti

(e il verde vigor rude

ci allaccia i mallèoli

c’intrica i ginocchi)

chi sa dove, chi sa dove!

E piove su i nostri vólti

silvani,

piove su le nostre mani

ignude,

su i nostri vestimenti

leggieri,

su i freschi pensieri

che l’anima schiude

novella,

su la favola bella

che ieri

m’illuse, che oggi t’illude,

o Ermione.


(Alcione 1903; composta luglio-agosto 1902)



Nella belletta


Nella belletta i giunchi hanno l’odore

delle persiche mézze e delle rose

passe, del miele guasto e della morte.

Or tutta la palude è come un fiore

lutulento che il sol d’agosto cuoce,

con non so che dolcigna afa di morte.

Ammutisce la rana, se m’appresso.

Le bolle d’aria salgono in silenzio.


(Alcione 1903; Madrigali dell’estate)

 

D'Annunzio

 
 
Realizzato con un Mac
successivo  
 
  precedente