VINCENZO CARDARELLI

 
 
 
 
 

Sergio Mancinelli, martedì 17 aprile 2018

 

L’ULTIMA SPIAGGIA


Autunno


Autunno. Già lo sentimmo venire

nel vento d’agosto,

nelle piogge di settembre

torrenziali e piangenti,

e un brivido percorse la terra

che ora, nuda e triste,

accoglie un sole smarrito.

Ora passa e declina,

in quest’autunno che incede

con lentezza indicibile,

il miglior tempo della nostra vita

e lungamente ci dice addio.


(1931 – Giorni in piena, 1934)



Alla morte


Morire sì,

non essere aggrediti dalla morte.

Morire persuasi

che un siffatto viaggio sia il migliore.

E in quell’ultimo istante essere allegri

come quando si contano i minuti

dell’orologio della stazione

e ognuno vale un secolo.

Poi che la morte è la sposa fedele

che subentra all’amante traditrice,

non vogliamo riceverla da intrusa,

né fuggire con lei.

Troppe volte partimmo

senza commiato!

Sul punto di varcare

in un attimo il tempo,

quando pur la memoria

di noi s’involerà,

lasciaci, o Morte, dire al mondo addio,

concedici ancora un indugio.

L’immane passo non sia

precipitoso.

Al pensier della morte repentina

il sangue mi si gela.

Morte, non mi ghermire,

ma da lontano annunciati

e da amica mi prendi

come l’estrema della mia abitudini.


(Italia Letteraria, 1931 – Giorni in piena, 1934)



Alla deriva


La vita io l’ho castigata vivendola.

Fin dove il cuore mi resse

arditamente mi spinsi.

Ora la mia giornata non è più

che uno sterile avvicendarsi

di rovinose abitudini

e vorrei evadere dal nero cerchio.

Quando all’alba mi riduco,

un estro mi piglia, una smania

di non dormire.

E sogno partenze assurde,

liberazioni impossibili,

Oimè. Tutto il mio chiuso

e cocente rimorso

altro sfogo non ha

fuor che il sonno, se viene.

Invano, invano lotto

per possedere i giorni

che mi travolgono rumorosi.

Io annego nel tempo.


(Italia Letteraria, 1931)



Passato


I ricordi, queste ombre troppo lunghe

del nostro breve corpo,

questo strascico di morte

che noi lasciamo vivendo,

i lugubri e durevoli ricordi,

eccoli già apparire:

melanconici e muti

fantasmi agitati da un vento funebre.

E tu non sei più che un ricordo.

Sei trapassata nella mia memoria.

Ora sì, posso dire

che m’appartieni

e qualchecosa fra di noi è accaduto

irrevocabilmente.

Tutto finì, così rapido!

Precipitoso e lieve

il tempo ci raggiunse.

Di fuggevoli istanti ordì una storia

ben chiusa e triste.

Dovevamo saperlo che l’amore

brucia la vita e fa volare il tempo.


(Il Selvaggio, 31 agosto 1931)



Adolescente


Su te, vergine adolescente,

sta come un’ombra sacra.

Nulla è più misterioso

e adorabile e proprio

della tua carne spogliata.

Ma ti recludi nell’attenta veste

e abiti lontano

con la tua grazia

dove non sai chi ti raggiungerà.

Certo non io. Se ti veggo passare

a tanta regale distanza,

con la chioma sciolta

e tutta la persona astata,

la vertigine mi si porta via.

Sei l’imporosa e liscia creatura

cui preme nel suo respiro

l’oscuro gaudio della carne che appena

sopporta la sua pienezza.

Nel sangue, che ha diffusioni

di fiamma sulla tua faccia,

il cosmo fa le sue risa

come nell’occhio nero della rondine.

La tua pupilla è bruciata

del sole che dentro vi sta.

La tua bocca è serrata.

Non sanno le mani tue bianche

il sudore umiliante dei contatti.

E penso come il tuo corpo

difficoltoso e vago

fa disperare l’amore

nel cuor dell’uomo!

Pure qualcuno ti disfiorerà,

bocca di sorgiva.

Qualcuno che non lo saprà,

un pescatore di spugne,

avrà questa perla rara.

Gli sarà grazia e fortuna

il non averti cercata

e non sapere chi sei

e non poterti godere

con la sottile coscienza

che offende il geloso Iddio.

Oh sì, l’animale sarà

abbastanza ignaro

per non morire prima di toccarti.

E tutto è così.

Tu anche non sai chi sei.

E prendere ti lascerai,

ma per vedere come il gioco è fatto,

per ridere un poco insieme.

Come fiamma si perde nella luce,

al tocco della realtà

i misteri che tu prometti

si disciolgono in nulla.

Inconsumata passerà

tanta gioia!

Tu ti darai, tu ti perderai,

per il capriccio che non indovina

mai, col primo che ti piacerà.

Ama il tempo lo scherzo

che lo seconda,

non il cauto volere che indugia.

Così la fanciullezza

fa ruzzolare il mondo

e il saggio non è che un fanciullo

che si duole di essere cresciuto.


(1916, Prologhi)



La speranza è nell’opera


La speranza è nell’opera.

Io sono un cinico a cui rimane

per la sua fede questo al di là.

Io sono un cinico che ha fede in quel che fa.



Estiva


Distesa estate,

stagione dei densi climi

dei grandi mattini

dell’albe senza rumore –

ci si risveglia come in un acquario –

dei gironi identici, astrali,

stagione la meno dolente

d’oscuramento e di crisi,

felicità degli spazi,

nessuna promessa terrena

può dare pace al mio cuore

quanto la certezza di sole

che dal tuo cielo trabocca,

stagione estrema, che cadi

prostrata in riposi enormi,

dai oro ai più vasti sogni,

stagione che porti la luce

a distendere il tempo

di là dai confini del giorno,

e sembri mettere a volte

nell’ordine che procede

qualche cadenza dell’indugio eterno.

E ora, in queste mattine

così stanche

che ho smesso di chiedere e di sperare,

e tutto il giardino è per me,

per il mio male sontuosamente,

penso agli amici che mai più rivedrò,

alle cose care che sono state,

alle amanti rifiutate,

ai miei giorni di sole…


(1942, Poesie)

Cardarelli

 
 
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