Sabbioneta

La prima, non certo unica ragione, per andare con animo tranquillo e la certezza di non stancarsi, a Sabbioneta, visitata o no che si sia la vicina Mantova, è che di quest’ultima la piccola città cui oggi vi invito, rappresenta, per così dire, la miniaturizzazione perfetta. Come Vespasiano, che fra la metà e la fine del ‘500, la costruì nuova sulle rovine di un borgo medievale, è Gonzaghesca, nei vizi privati e nelle pubbliche virtù (peccati e crimini in famiglia e urbanistica all’aperto, ineccepibili), ma minore compiuto
esemplare.

A Sabbioneta potete arrivare avendo attraversato il mediano fiume Olio, se venite dal Nord, il grande fiume Po se venite dal Sud: che la città sorge in una terra ricca d’acque, dunque fertilissima. È tutta abbracciata da mais, erba, piante da frutto d’un rigoglio tale che quasi ne soffocano la struttura muraria, che è di città ideale del Rinascimento, a pianta stellare, cinta da mura, attraversata da una strada principale che va da una porta all’altra (marmoree, in contrasto-accordo col mattone degli edifizi che formano il corpo caldo seppur geometrico del centro). Due piazze su cui s’affacciano il Palazzo Ducale nell’una, la Galleria degli Antichi e il Palazzo del Giardino nell’altra. Del primo raccomanderei di guardare le quattro statue equestri, rinascimentali fin che volete ma per il fatto d’essere in legno particolarmente care perché evocanti i cavalloni della giostre e i cavallucci a dondolo delle stanze infantili. La seconda, la Galleria o Corridora, come la chiamano qui, è una meraviglia di segno umanistico padano che accoglieva la collezione d’arte classica di Vespasiano, trasferita a Mantova da Maria Teresa d’Austria. Così, svuotata, è anche più suggestiva, nella sua inutilità, e ancor più che sogno, incubo surreale.

La gemma di Sabbioneta è il Teatro Olimpico, opera di Vincenzo Scamozzi, che fu aiuto del Palladio nel costruire il suo fratello maggiore, l’olimpico di Vicenza. Questo, che Huxley visitò e descrisse negli anni venti ridotto a cinematografo, oggi è stato restituito all’antico splendore, con gradinate e loggia sovrastate da sculture grecizzanti a scena fissa e vi si rappresentano Monteverdi e altri grandi musici. Rimasta, per fortuna, eminentemente agricola, la città ospita ogni anno una mostra dell’antiquariato che gode di meritata fortuna.

Di primavera arriva in città il profumo del fieno, d’autunno quello del mosto. Auguriamoci che sia sempre così.


Inedito

 
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