GUERRA E PACE, alla Scala

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Si dice che per Prokof’ev comporre l’opera Guerra e Pace dal romanzo di L. Tolstoj sia stata una sfida: una sfida più verso se stesso che non nei confronti del romanzo.

A mio avviso, se sfida c’è stata, essa è stata solo parzialmente vinta dal musicista. Indubbiamente la musica ha dei momenti bellissimi, di grande commozione. Quello che secondo me tuttavia non è riuscito completamente è l’intento drammaturgico. Ridurre per teatro un romanzo così complesso, così ricco di implicazioni, così analitico nella descrizione dei personaggi, del loro carattere, dei loro sentimenti, ma così sintetico nel fare un grande, sontuoso affresco di un periodo storico “caldissimo” per la Russia, dal 1805 al 1812, è oggettivamente un’impresa di estrema difficoltà se non addirittura impossibile. E di questo ci si accorge guardando e ascoltando l’opera.

L’operazione di Prokof’ev è stata quella di utilizzare uno degli 
episodi delle vicende “private” del romanzo, certamente quello più noto 
e più emozionante, il tragico triangolo amoroso Natasha, Andrej, 
Anatol’ (che occupa tutta la prima parte dell’opera) per introdurci alle 
tragiche vicende “collettive” della guerra seguita all’invasione 
napoleonica del suolo russo (che ne occupa la seconda parte). 
Il risultato, a mio avviso, da un punto di vista drammaturgico non è 
stato particolarmente felice. Le due parti rimangono slegate, direi 
semplicemente giustapposte; l’unità drammaturgica non viene realizzata, 
anche se nella prima parte viene evocato spesso il fantasma di Napoleone 
(preannuncio della guerra), e nella seconda parte agiscono alcuni 
personaggi che sono protagonisti nella prima (in particolare Andrej e 
Pierre), con alcuni riferimenti, anche musicali. Quelli che sono i 
dettami fondamentali di un evento drammaturgico sono notoriamente 
l’unitarietà della vicenda, che deve svilupparsi attraverso i diversi 
momenti, fino alla soluzione, e la tanto biasimata, ma secondo me 
importante nel teatro, unità di tempo di luogo. E, nello spcifico del 
teatro musicale, l’unitarietà deve essere espressa dalla musica, come 
il principale strumento di espressione delle passioni che si sviluppano 
nella vicenda. In Guerra e Pace manca proprio questa unitarietà, e, 
come corollario, ne fa testo il particolare non insignificante che i 
personaggi (fra principali e secondari) siano circa sessanta (esclusi i 
cori).

Un discorso a parte merita la figura di Pjer. Pjer è, a mio avviso, il 
vero protagonista del romanzo, quello che realizza la sintesi fra le 
vicende private e la tragedia collettiva. Questo avviene sia attraverso 
le sue meditazioni che frequentemente vengono esposte, sia attraverso il 
suo comportamento. È un personaggio che condivide nella propria persona 
passioni e intrighi del grande mondo, ma anche la passione, generosità, 
orgoglio umano propri del popolo più umile. Anche nell’opera Pjer 
dovrebbe svolgere questo ruolo, e lo vediamo protagonista nelle due 
parti. Ma ancora una volta non mi sembra che il trattamento di questo 
personaggio riesca nell’intento suo proprio di ricreare l’unitarietà 
drammaturgica. La musica triste, angosciata che lo caratterizza nella 
seconda parte, testimone consapevole e partecipe della tragedia del 
popolo russo, non si avverte nella prima, dove il suo ruolo sembra 
essere limitato a quello di protettore (innamorato) di Natasha.

Come è nata l’opera. In questo caso, a mio avviso, il particolare non 
è irrilevante ai fini della sua comprensione. L’opera è stata scritta 
nel 1941, anche se è stata concepita prima. Siamo in piena invasione 
nazista, Mosca stessa è minacciata. Comunisti o no, per i Russi questa 
è stata una tragedia di dimensioni enormi, non solo per l’ingente 
numero di morti, ma perché essi sentivano minacciata la propria 
indipendenza, la propria identità nazionale, della quale sono 
particolarmente gelosi, da un nemico agguerrito e apparentemente 
invincibile. Prokof’ev, anch’egli come tutti, viveva nel suo interiore 
questa tragedia. E Guerra e Pace, che descrive l’invasione napoleonica, 
alla fine sconfitta, si prestava molto bene per un parallelo con la 
situazione storica attuale. 
L’elemento che balza subito agli occhi, nell’opera, è l’esaltazione del 
valore, della passione del popolo russo, che già nel 1812 aveva 
sconfitto le apparentemente invincibili armate napoleoniche. Le due 
stupende arie di Kutuzof “Popolo senza eguali” (VIII scena) e “Quando si 
è decisa una cosa così terribile” (X scena) , e i numerosissimi 
interventi del coro presenti nella seconda parte, ci portano 
direttamente in questo clima, e possono essere intesi come una 
incitazione, una dimostrazione di fiducia che alla fine anche le armate 
naziste saranno sconfitte. Una cosa da osservare è che circa 
tre-quattro anni prima Prokof’ev aveva composto le musiche di scena per 
l’Alexandr Nevskij di Ejsenstein, film che tratta, anch’esso, 
dell’invasione del suolo russo da parte delle armate dei cavalieri 
teutoni, e della vittoria dei Russi. Non si può sfuggire all’idea che 
questa cantata sia una specie di premonizione di Guerra e Pace.  E nella 
stessa musica di Guerra e Pace si avvertono alcune assonanze.

La musica. 
Se personalmente ho avvertito i limiti drammaturgici di cui ho detto 
sopra, occorre anche dire che la musica di Guerra e Pace, ha dei momenti 
di altissima commozione.

Nella prima parte, proprio nella prima scena, veramente affascinante per 
poesia è il duetto Natasha-Sonia, con bellissime parole e musica. 
Sempre nella prima parte, alla fine della seconda scena, è notevole 
l’incontro e il ballo di Natasha e Andrej. Qui non siamo davanti al 
classico duetto d’amore: l’espressione principale della nascita del 
reciproco sentimento proviene da un tema di valzer, che inizia con un 
delicatissimo intervento degli strumenti che paiono disegnare un trine o 
un sottile gioco di cristalli, per assumere poi una caratterizzazione 
più decisa: quasi a significare dapprima la nascita di un sentimento 
delicato e stupefacente in chi lo prova, e poi la consapevolezza 
dell’accettazione e la felicità che il sentimento amoroso porta con 
sé. 
In questa prima parte non mancano spunti di colore e di ironia nei 
confronti della ricca e gaudente società nobiliare russa, sottolineati 
fino a livello caricaturale e farsesco dalla regia di Konchalosky. Si 
pensi all’ospite del ballo, al vecchio principe Bolkonskij, alla figura 
di Elena, l’ambigua e intrigante sorella di Anatol’, al Medico francese, 
all’Abate, che ha una sola battuta, ma decisamente ironica, se non 
addirittura comica nel suo servilismo; e poi alla stessa figura di 
Anatol’ che alla fine risulta più un fantoccio che un vero uomo davanti 
alle dure rampogne di Pjer.

Il passaggio dalla prima alla seconda parte è piuttosto repentino. Pjer 
viene informato dello scoppio della guerra, proprio alla fine della VII 
scena, con un fortissimo e dissonante intervento dell’orchestra. Segue 
l’Epigrafe, un coro del popolo russo che descrive orrori e sofferenze 
provocate dall’invasione napoleonica con forte tensione drammatica. 
Nell’attuale rappresentazione scaligera è stato tuttavia tagliato.

La seconda parte a me è piaciuta moltissimo. Le scene di massa, i cori 
si succedono con grande intensità. Si dice che Prokof’ev abbia trovato 
cori realmente cantati dai soldati russi durante l’invasione napoleonica 
e li abbia largamente utilizzati. Il canto dei russi è un canto largo, 
solenne, pieno di fiducia, di amor di Patria, di speranza, spesso in 
tonalità modale, a volte marziale, misto anche di allegria, 
accompagnato da timbri acuti come quelli dell’ottavino, a volte 
nostalgico. I temi sono diversi, ma su di essi prevalgono i due temi 
delle arie di Kutuzov, che si presentano frequentemente quando l’azione 
vuole mettere in risalto l’eroismo del popolo, o la tragica assurdità 
della guerra. Devo ripetermi: sono temi bellissimi, emozionanti, 
fortemente coinvolgenti. Tutto è impostato sul valore espresso 
dall’amor di patria, sulla forza del cuore, vincente nel raffronto con 
le aride strategie militari. Si pensi al piccolo e fortemente ironico 
episodio dei generali tedeschi che elaborano piani su piani, ma, dice 
Andrej, alla fine hanno consegnato l’Europa a Napoleone! 
Ai francesi, al contrario, viene riservata una musica isterica, se non 
addirittura volgare. Vedi ad esempio tutta la IX scena, nella quale – e 
qui c’è anche molto ironia – i generali francesi fanno a Napoleone 
rapporti sempre più ottimistici sull’andamento della battaglia di 
Borodino, ma continuano a chiedere truppe di rinforzo. Alla fine 
Napoleone, all’inizio fiducioso nella vittoria (“Il vino è stappato, 
bisogna berlo” musica che ricorda un po’ quella dei cavalieri Teutoni 
nella cantata Alexandr Nevskij), esce in un canto di grande stupore e 
sgomento: perché le sue armate vittoriose, la sua abilità di generale 
fatica tanto ad avere ragione dei russi? A questa esclamazione di 
disappunto risponde, fuori scena, il coro dei russi con il meraviglioso 
tema dell’eroismo del popolo. Purtroppo in questa realizzazione 
scaligera, anche questo coro è stato tagliato (e non capisco il 
perché).

La scena X è la grande scena dell’incendio di Mosca. Tutta la prima 
parte è dominata dall’alternarsi di soldati francesi e di popolo russo. 
La musica caratterizza gli uni e gli altri in modo decisamente 
contrastante. Ai soldati francesi sono riservate ariette e coretti 
volgari, mentre i russi col loro canto esprimono ironia (per es. mentre 
leggono gli editti napoleonici che fanno promesse che i fatti si 
incaricano di smentire), o baldanza, volontà di battersi o addirittura 
aggeassività quando concepiscono l’idea di incendiare Mosca. 
In questo contesto assume rilievo la vicenda di Pjer, che mescolato fra 
la folla della quale vuole condividere miserie e passioni, viene 
arrestato e minacciato di morte. Il suo canto è angosciato e 
angoscioso, e davanti alla morta manifesta il grande sentimento umano 
della paura (come d’altra parte questo sentimento è presente anche 
negli eroi di Tostoj). 
L’incendio di Mosca conclude la scena. La musica è forte, drammatica, 
con stridenti dissonanze; sotto certi aspetti ricorda quella della 
battaglia sul ghiaccio dell’Alexandr Nevskij. Al culmine di nuovo la 
figura di Napoleone che finalmente capisce il senso della tenacia, 
dell’eroismo, dell’amor di ptria del popolo russo. La scena è 
interpretata da Konchalovsky con uno sfondo proiettato che raffigura un 
fantasma di città invaso da bagliori rossi continuamente in movimento. 
Il tutto è straordinariamente impressionante.

Prima dell’ultima scena, che raffigura la mesta ritirata dell’armata 
napoleonica nella tormenta dell’inverno (qui la musica è felicemente 
evocativa), e quindi l’apoteosi finale in cui risuonano ancora i cori 
(anche in questa occasione viene alla mente il coro finale liberatorio 
dell’Alexandr Nevskij),  e l’aria di Kutuzov che annuncia la vittoria 
riprendendo il bellissimo tema dell’eroismo del popolo, Prokovf’ev ha 
voluto prendere commiato dal principe Andrej e da Natasha. 
L’agonia delirante del principe è accompagnata da una struggente 
melodia, sullo sfondo (fuori scena) di un coro intensamente onirico. 
L’ultimo incontro con Natasha, il perdono e il riaffiorare dell’amore 
richiamano lo stupendo tema del valzer che porta alla nostalgia della 
reminiscenza, subito prima della morte.

L’esecuzione. Gergiev, come è noto ha dato forfait, per volare a San 
Pietroburgo dove la moglie stava partorendo il primo figlio. L’orchestra 
è stata diretta dal suo ormai celebre braccio destro Noseda. L’annuncio 
è stato dato appena prima dell’inizio. Gli spettatori sono stati 
delusi. Come è possibile che un uomo assuma impegni all’estero 
nell’imminenza del parto della propria moglie? Misteri russi. 
Comunque, anche se non mi è possibile fare un confronto fra la 
direzione di Noseda e quella di Gergiev (fra l’altro è mancata anche la 
diretta RAI della prima), la mia sensazione è che il complesso del 
Mariinsky avrebbe potuto suonare alla perfezione anche senza direttore, 
tanto ormai conosce l’opera. 
Infatti, occore dire che l’esecuzione è stata pressoché perfetta: 
orchestra, cantanti e coro, tutti hanno dato il loro contributo ad 
altissimo livello. Ottima è stata anche la regia. Le scene, se si 
eccettua qualche piccolo episodio forse di eccessiva ironia al limite 
del farsesco, o qualche incongruenza, come l’aver fatto ballare il 
valzer ad Andrej morente, sono state molto belle dal punto di vista 
visuale e nell’evocazione del clima dell’opera. Particolarmente mi è 
piaciuta la prima scena, con una porta sovrastata da un balcone su uno 
sfondo nerissimo, che, all’uscita delle due cugine, si è gradualmente 
schiarito per mostrare uno splendido cielo stellato, in clima con la 
poesia del loro canto. Anche i cantanti hanno recitato in modo efficace. 
Da notare Natasha, (splendido il suo canto), che nella leggerezza delle 
movenze ricordava da vicino il personaggio interpretato da Audrey 
Hepburn nel film di King Vidor.

Come appunto finale vi è da rilevare che, rispetto all’edizone del 
Mariinsky del 1991 sono stati tagliati alcuni brani: L’ouverture, 
l’intera V scena, nella quale Anatol’ prepara il rapimento di Natasha, 
l’epigrafe e alcuni altri tagli minori nel corso dell’opera.

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