FRANCESCA DA RIMINI, di Rachmaninov

Ammetto che il mio pre-giudizio su Rachmaninov, soffriva di un certo grado superficialità, almeno per quanto riguarda l’opera Francesca da Rimini. Rachmaninov affronta l’episodio del V° canto dell’Inferno della Divina Commedia con un taglio molto interessante. A differenza, per esempio, dell’opera omonima di Zandonai, nella quale il racconto dell’episodio si svolge in termini realistici, e quindi viene sviluppato come una storia d’amore in ambiente pre-rinascimentale, con diversi personaggi di contorno ai tre protagonisti, Rachmaninov cerca di entrare nell’atmosfera dantesca in modo diretto e “asciutto”, a mio avviso riuscendovi in modo molto convincente.

L’opera, che ha una durata relativamente breve, e consta di un solo atto, si divide in un Prologo, due parti e un breve epilogo.

Il prologo è ambientato nel girone dei lussuriosi e ha per protagonisti Dante e l’ombra di Virgilio che osservano il turbine delle anime trascinate dal vento, e chiedono alle anime di Paolo e Francesca di raccontare la loro storia.

La prima parte è costituita da un lungo monologo di Lanciotto, che deve partire per la guerra, ma che manifesta la sua disperata gelosia per una moglie che l’ha sposato a seguito di un inganno, e che egli sospetta fortemente che sia innamorata del fratello Paolo; e da un breve dialogo di commiato di lui con la moglie Francesca. La seconda parte è tutta incentrata sulla lettura, da parte di Paolo e Francesca, del libro che tratta degli amori di Lancillotto e Ginevra, e sulla attrazione amorosa ed erotica che porta i due a congiungersi e ad essere poi uccisi da Lanciotto improvvisamente ritornato. L’Epilogo ci riporta all’Inferno, dove le anime riprendono la loro vorticosa corsa in preda al vento, e Dante manifesta una profonda emozione per il racconto appena udito.

Il prologo e le due parti, hanno circa una durata di 20 minuti cadauno.

Il Prologo, secondo me, è la parte più bella. Vi domina l’orchestra che esprime una musica costituita da piccoli aggregati di due, tre, cinque note che si ripetono e susseguono in continuazione formando delle vere proprie onde sonore. Il timbro è fosco, non tanto per il prevalere delle note basse, che anzi sono continuamente sovrapposte da note acute, quasi lamentose, quanto per un’andamento ondulante o a spirale che è privo di temi veri e propri che attirino l’attenzione e la fermino in un determinato punto del flusso musicale. Il risultato è proprio quello di un “aere senza tempo” come Dante descrive il paesaggio infernale:

Io venni in loco d’ogne luce muto

che mugghia come fa mar per tempesta,

se da contrari venti è combattuto.

un “vuoto” informe, una mancanza di colori, una profondità misteriosa, priva di contorni. L’immaginazione non può non correre alle illustrazioni che Blake fece della Divina Commedia.

In questo aere senza tempo si materializza un coro che nasce da quella musica: un coro fatto di sole vocali. Non vi sono parole. Anch’esso similmente alla musica ha un andamento ondulante, spirale, di avvicinamento e di allontanamento, dando la concreta impressione di spiriti trascinati dal vento.

Dante, Virgilio vi si avvicinano e Dante chiede chi siano quel due spirti che “paion sì al vento esser leggieri”. In questo ambiente fosco, statico pur nel suo moto interno, le voci dei due poeti sembrano qualche cosa di irreale, di estraneo. La musica, pur mantenendo le caratteristiche che abbiamo detto, si fa più agitata, più convulsa, il coro delle anime più vicino: sembra ora che i due poeti si trovino avvolti dal turbine, che tuttavia si quieta per lasciare uscire le voci di Paolo e Francesca che cantano all’unisono il celebre verso del quinto canto “Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria.

 

Le due parti, dopo il prologo, svolgono il dramma. E questo lo fanno portando alla ribalta i due punti salienti: la gelosia di Lanciotto, e il manifestarsi dell’attrazione erotico-amorosa fra Paolo e Francesca durante la lettura del romanzo di Lancillotto e Ginevra, con il finale doppio omicidio da parte di Lanciotto.

Anche questa impostazione drammaturgica è molto interessante. Lo sviluppo del dramma avviene tutto attraverso gli stati d’animo dei personaggi. Nel monologo di Lanciotto si avverte dolore, disperazione, gelosia estrema, ansia di vendetta. Il breve dialogo di commiato dalla moglie ce ne spiega le origini. Alle esortazioni, alle suppliche di Lanciotto, cantate in tono appassionato con un accompagnamento orchestrale tumultuoso, Francesca risponde su una tonalità modale, accompagnata dai legni nel registro acuto, fortemente contrastante con la passionalità del marito, che ne fa emergere la freddezza, la fedeltà costretta, la rassegnazione di sposa obbligata e ingannata.

Nella seconda parte, l’orchestrazione leggera riporta l’atmosfera in uno stato di serenità apparente, che tuttavia è incrinata da un leggero tremolare dei violini, quasi un ronzio, che fa capire che dietro questa apparente serenità si sta sviluppando una tensione. Durante la lettura si sviluppa il conflitto fra Paolo e Francesca, e soprattutto nell’animo di Francesca che, prima del definitivo cedimento, canta un’aria, o un breve arioso, nel quale questo conflitto ha un’ultimo sussulto: l’amore per Paolo, la tentazione esercitata dal libro e dalle insistenze dell’uomo si scontrano un’ultima volta con il dovere della fedeltà: “Non piangere, mio Paolo… avendo rifiutato i tuoi abbracci in questo mondo, io sarò tua per l’eternità”. Subito dopo, tuttavia riprende il ronzio dei violini che era sentito all’inizio della parte, preludio al definitivo cedimento. I due amanti esplodono in un canto all’unisono che gradatamente si spegne in una musica calma: le tensioni lasciano posto all’abbandono del cedimento all’amore. L’orchestra tuttavia riprende quasi subito un ritmo agitato che si conclude con l’irruzione di Lanciotto e l’uccisione dei due.

L’epilogo, molto più breve ci riporta all’inferno, dove il racconto di Francesca ha turbato il poeta e gli spiriti, che riprendono, con maggior vigore i loro volteggi trascinati dal turbine del vento, e i loro lamenti.

Delle tre parti, quella che trovo più espressiva, più nuova, nel senso di “invenzione”, secondo me è senz’altro il prologo.

Le altre due parti, pur nel taglio drammaturgico asciutto, efficace alla ricerca solo dei momenti salienti, nella realizzazione le ho trovate più tradizionali.

Dal punto di vista musicale non mi sembra affatto sbagliato considerare Rachmaninov un compositore romantico. Le sua ascendenze ciajkovskiane sono, a mio avviso, molto chiare, sia nella forma, sia nelle espressioni timbriche. Di Čajkovskij tuttavia, secondo me, non ha la bellezza, quella che egli stesso rimproverava a Brahms di non avere, che possiamo ammirare in opere come Mazeppa, Iolanta, l’Eugenio Onegin.

La data in cui è stata composta l’opera è il 1906: dire che questo romanticismo sia in ritardo, non mi sembra una bestialità.

Fatte queste critiche, comunque, mi sento di affermare che questa opera è molto interessante, e offre momenti di grande intuizione, e anche di emozione, e uno sviluppo drammaturgico che, questo sì, va oltre il romanticismo, ed è piuttosto insolito trovare nelle opere di quel periodo.

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