BOULEVARD SOLITUDE, di Henze a Genova (diretta radiofonica)

Ne parlo solo ora sia perché aspettavo che ne parlasse qualche genovese che avesse visto lo spettacolo, sia perché solo ora ho potuto leggere il libretto (cosa essenziale per entrare nello spirito si un’opera). Così ho potuto riprendere in mano la registrazione e ascoltarla con una certa cognizione di causa. Non conoscevo Henze, ma ero vivamente incuriosito dopo che Felix me ne 
aveva parlato come di uno dei pochissimi compositori di opere che, nella 
seconda metà del Novecento, avesse ancora il senso della drammaturgia. 
Devo dire che sono rimasto affascinato da quest’opera. È stata una 
esperienza notevole.

Occorre dire, per coloro che non conoscessero l’opera, che si tratta di 
una rivisitazione del mito della Manon Lescaut, in chiave moderna (anni 
Cinquanta, secondo le didascalie del libretto), pur mantenendo, per i 
protagonisti, gli stessi nomi e la stessa nazionalità del romanzo di 
Prevost. Naturalmente diventa spontaneo pensare alle altre più celebri 
Manon, quelle di Puccini e quella di Massenet, (e anche a quella di 
Auber, che tuttavia non conosco). E ci si rende conto delle grandi 
differenze, anche se l’eco delle antenate, in certo qual modo si 
avverte, secondo me soprattutto di quella di Massenet. 
La cosa strana è che Henze afferma che al momento della composizione 
della sua opera non conosceva la Manon Lescaut di Puccini. Non tutti i 
critici sono comunque disposti ad accreditare questa affermazione. Il 
libretto è di Grete Weil (con una elle sola, come ama specificare 
Henze)

Intanto l’impianto drammaturgico: l’opera non si snoda come racconto in 
successione temporale, ma è un’opera a quadri, separati da interludi. 
Un impianto drammaturgico che richiama quello del Pelléas et Mélisande e 
del Wozzeck. Sostanzialmente una drammaturgia che si allontana dalla 
Poetica di Aristotele, ma non per questo meno efficace.

I quadri sono sette, e isolano alcuni momenti significativi e ricchi di 
simbolismo della vicenda amorosa; gli interludi rappresentano un 
commento e un collegamento fra i quadri.

1 – L’incontro fra Des Grieux e Manon avviene nell’atrio di una stazione 
ferroviaria; in tal modo viene introdotto il tema principale del lavoro, 
che è proprio la solitudine (come specifica il titolo). L’ambientazione 
ha un forte valore simbolico, facilmente comprensibile. Il dialogo fra i 
due, incontro di due solitudini, si conclude con la decisione di fuggire 
assieme 


2 – La casetta di Parigi dove i due amanti vivono la loro breve 
felicità, ma dalla quale alla fine Manon fugge per raggiungere un ricco 
e brutto amante (Lilaque padre) sotto l’incalzare dell’avidità del 
fratello e della propria femminile ambizione. 


3 – La casa lussuosa di Lilaque padre, dove ora vive Manon, che, pur 
soddisfatta della sua nuova condizione, pensa sempre al suo Armando. Il 
quadro si conclude con la cacciata di Manon e del fratello reo di avere 
svuotato la cassaforte di Lilaque padre. 


4 – La biblioteca dell’Università (luogo di illusoria ricerca) dove Des 
Grieux pensa con tormento e solitudine alla fanciulla amata, mentre il 
coro intona liriche di Catullo sui travagli dell’amore e sulla 
impossibilità che l’amore possa essere fonte di vera felicità. Alla 
fine del quadro nuovo incontro fra Des Grieux e Manon, che assieme 
intonano una lirica di Catullo sullo stesso tema. 


5 – La scena della taverna, nella quale la china discendente di 
infelicità e di solitudine di Des Grieux fa un ulteriore gradino in 
basso: egli considera l’amore di Manon  come l’amore di una donna morta; 
si sente come Orfeo che non resiste alla tentazione di voltarsi e 
guardare Euridice. Ma ciò non allevia la sua solitudine, che trova 
rifugio nella droga. 
Nuovo incontro con Manon, che tuttavia, sotto la pressione del fratello, 
accetta le profferte di un nuovo amante, Lilaque figlio. Manon è 
tuttavia, sempre innamorata di Armand. 


6 – Des Grieux  è in casa di Lilaque figlio (in sua assenza) dove ha un 
incontro amoroso con la fanciulla. È la scena più movimentata (e 
trasgressiva) dell’opera. Lescaut fa premura ad Armand di andarsene nel 
timore dell’arrivo del padrone di casa. Ma poi i tre si perdono in 
disquisizioni (condotte con ironia, un po’ come in una commedia degli 
equivoci) davanti a un quadro di un pittore contemporaneo appeso alla 
parete. Lescaut, non ne capisce il valore artistico, tuttavia ne 
comprende il valore venale, e lo ruba. 
Nel frattempo arriva Lilaque padre, ciò che costringe i due uomini a 
nascondersi. Lilaque padre, è ancora attratto dalla fanciulla, e, per 
somma libidine, vuol fare all’amore con lei nel letto ove ella si 
congiunge col figlio. Alla fine, c’è la scoperta della presenza dei due 
uomini e del furto del quadro;  e quindi l’uccisione di Lilaque padre, 
mentre sta arrivando il figlio. Da osservare che l’uccisione di Lilaque 
padre non si manifesta come un climax drammatico ma come un evento 
ordinario, che addirittura Henze o la Weil sembrano dimenticare, dato 
che lo fanno comparire di sfuggita nell’ultima scena (errore, o 
incongruenza voluta?) 


7 – La piazza antistante la prigione. Des Grieux vede passare il 
cellulare dove c’è Manon. Ultimo e disperato incontro, e consapevolezza 
definitiva della solitudine come proprio destino. Ora egli non è più 
nemmeno Orfeo, dilaniato dalla Menadi. Mentre cade la neve, e si ode un 
canto di bambini, passa una vettura con dentro Lilaque padre e figlio.

La musica esprime molto bene il tema della solitudine, che emerge in 
tutte le scene, nelle quali gli incontri fra Des Grieux e Manon non 
manifestano mai l’abbandono della felicità, ma sempre e solo la sua 
impossibile ricerca.

La musica. Anzitutto vi è da osservare che il linguaggio dell’opera è 
di tipo seriale o comunque atonale nelle scene che coinvolgono Des 
Grieux e Manon. Mentre è di tipo piattamente e, direi, trivialmente 
tonale nelle scene che riguardano i due Lilaque e Lescaut, trattati un 
po’ come il simbolo di un mondo vacuo, un background nel quale i 
sentimenti più elevati ed intimi finiscono per affogare e lasciar luogo 
alla penosa sensazione della solitudine. 
Lo stesso Henze si esprime in questo senso, quando confessa ad esempio 
che guardava «alla dodecafonia come ad una liberazione … per la 
possibilità di esprimere gli affetti in maniera nuova e approfondita”. 
Mentre questi affetti trovano vita (e morte) in “un mondo di gente 
corrotta, distrutta, non più capace dell’idea della Fede, della coerenza 
umana, sociale. Un mondo kaputt, come noi eravamo kaputt in quel 
periodo.»  «Lilach vecchio e Lilach giovane per me erano due oggetti di 
aggressione rappresentando un mondo borghese di ricchi stupidi, col 
quale non avrei mai voluto avere a che fare.» Ad essi possiamo 
aggiungere la figura di Lescaut, mezzano della sorella e per di più 
ladro.

Fare un’analisi musicale dell’opera va fuori delle mie capacità. Posso 
comunque limitarmi ad alcune osservazioni che mi paiono pertinenti. 
Manon è caratterizzata da una serie che si avverta subito all’inizio 
quando ella entra nell’atrio della stazione. Il suo canto tende alla 
coloratura, ma con discrezione (sotto certi versi ricorda la Lulu). Ci 
sono legami fra le due donne (anche Manon uccide con la pistola Lilaque 
padre), ma mentre in Lulu prevale una amoralità totale, in Manon il 
sentimento amoroso è vivo, anche se parzialmente soffocato 
dall’ambizione femminile, che la induce ad accettare ricchi e ripugnanti 
amanti. 
L’atonalità con la quale viene espressa l’angoscia di Des Grieux è 
volta verso il declamato, e l’espressione è affidata principalmente 
alla musica di accompagnamento (come in grande misura avviene anche per 
Manon). L’ostinato, le note ribattute, i timbri striduli e impertinenti 
dei legni, gli squilli degli ottoni sono un armamentario musicale di 
frequentissimo riscontro nell’opera. Gli strumenti percussivi, fra i 
quali il suono gelido del vibrafono e del glockenspiel, hanno ampio 
spazio. L’opera stessa inizia e termina con brani quasi elusivamente 
percussivi. 
In altre occasioni, invece, agli archi è affidata l’espressione di 
momenti di tenerezza, come accade all’inizio del secondo quadro, dove i 
due cantano una canzone “O dit le blanc rideau“, che ricorda la canzone 
di Antonia e Hoffmann “C’est  une chanson d’amour“, o nel secondo 
interludio. 
La musica che caratterizza  le persone negative (Lescaut, Lilaque padre 
e figlio) è invece tonale, con ariette triviali. L’aria di Lescaut nel 
secondo quadro, in cui espone un po’ la sua “filosofia” di vita, oppure 
il motivetto con il quale Lilaque padre dà l’avvio al terzetto nel 
quadro terzo, o ancora il motivo da musica leggera che caratterizza 
Lilaque figlio nella scena della taverna, e che, con diversi 
significati, si prolunga per tutta la scena; o il duetto fra Lilaque 
padre e Manon, sono gli elementi salienti con il quale questo “mondo 
borghese di ricchi stupidi” viene raffigurato.

Dal punto di vista formale l’opera è articolata in arie, duetti, 
terzetti (c’è anche un concertato, nella scena della taverna) in modo 
da richiamare l’assetto formale dell’opera a numeri chiusi. Ma questo 
non deve trarre in inganno, poiché non vi è netta separazione fra i 
”numeri”.  Da ricordare, in particolare, a mio avviso, sono le arie di 
Manon, ricche di coloratura, soprattutto le due legate a lettere d’amore 
che ella manda ad Armand, le arie di Des Grieux in declamato, 
soprattutto quella dell’ultimo quadro; quella di Lescaut, con “da capo”, 
nel secondo quadro. Molto belli gli ensemble con coro nelle scene della 
biblioteca e della taverna; e i duetti o terzetti “tonali” nei quali 
intervengono i due Lilaque. Un’altra cosa da osservare: la voce di 
Lilaque padre è di tenore, mentre quella di lilaque figlio è di 
baritono. Questo, mi pare per dare un volto più grottesco al 
personaggio del padre.

Infine gli interludi: sono quasi tutti in linguaggio seriale o almeno 
atonale. E sono tutti di folgorante bellezza. In particolare il secondo 
intermezzo, particolarmente struggente, e l’intermezzo che prelude 
l’ultima scena.

Si potrebbe dire molto di più su quest’opera, complessa sia dal punto 
di vista drammaturgico (come per esempio approfondire il significato di 
molte citazioni, a partire dalle liriche di Catullo, alla citazione di 
Orfeo, etc.), sia dal punto di vista musicale (si può dire che ogni 
frase, ogni tonalità di colore strumentale assumono un significato). 
Naturalmente tutto questo è possibile con adeguata conoscenza del 
compositore che a me manca del tutto. Mi rimane solo l’entusiasmo di 
avere fatto una grande scoperta. 

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