La battaglia di Legnano al San Carlo di Napoli (ascolto radiofonico)

Anzitutto ringrazio Marco Daverio per avere postato un suo commento su un’opera rappresentata in teatro, anche se in base solo ad un ascolto radiofonico. Anch’io ho ascoltato l’opera per radio, e anch’io sono interessato a fare qualche osservazione, soprattutto relativamente all’opera. Mi sarebbe piaciuto leggere qualche post scritto da chi è andato a vederla di persona, ma finora ciò non è finora avvenuto e credo che non avverà più.

L’opera mi è parsa interessante per alcuni motivi: anzitutto è l’opera più (se non l’unica esplicitamente) politicizzata di Verdi. Come è noto la figura del compositore (accanto a certi passaggi delle sue opere) veniva considerata un po’ come un simbolo dell’ Italia unita. Tuttavia Verdi come persona in genere si teneva lontano dalle vicende risorgimentali e le guardava con un certo distacco, pur conoscendo ed essendo in contatto con grandi menti del risorgimento, compreso lo stesso Mazzini.

L’unica volta in cui si è sentito coinvolto dalla politica ed ha accettato che essa entrasse nel suo lavoro di compositore, è stata proprio La battaglia di Legnano scritta nel periodo più caldo delle rivoluzioni italiana ed europee. Nel ’48 c’erano state le cinque giornate di Milano, oltre a vari moti irredentistici e di grande partecipazione. Verdi, che in quel periodo era a Parigi, era stato coinvolto almeno a livello sentimentale, e a questo (oltre che per altri motivi) è dovuto il suo (fugace) rientro in Italia. Dal punto di vista artistico gli è venuto spontaneo desiderare di comporre qualche cosa che fosse di aiuto e di stimolo alle azioni patriottiche di quel periodo. Il frutto è stato, appunto, La battaglia di Legnano grazie anche ai suggerimenti di Cammarano. E nell’opera vi sono frequenti richiami all’Unità d’Italia, alla cacciata degli stranieri (il Barbarossa è un po’ il simbolo degli Austriaci, la Battaglia di Legnano un po’ il simbolo delle cinque giornate di Milano): si pensi al ripetuto grido di Viva l’Italia con cui inizia il coro di apertura dell’opera, al ritmo di marcia del tema principale con cui inizia l’ouverture (ha qualche lontana somiglianza con la Marsigliese), alle commuoventi parole in cui Rolando, in caso di sua morte, lascia l’incarico alla moglie di educare il figlio all’amor di patria.

Non è un caso che quest’opera abbia avuto una vita difficile, grazie alla censura di tutti i tirannici staterelli in cui l’Italia era divisa, e che la sua prima rappresentazione sia avvenuta a Roma, proprio durante il periodo della Repubblica Romana, dove ebbe grande successo.

In secondo luogo l’opera riveste un certo interesse, perché fa parte di quel piccolo gruppo di opere nelle quali Verdi ha cominciato a risentire dell’influenza francese e del Grand-Opéra (l’altra opera è stata Jerusalem, composta più o meno nelle stesso periodo come rifacimento dei Lombardi alla prima crociata).

L’influenza del Grand-Opéra si avverte anzitutto nell’impostazione drammaturgica: viene portato sulla scena un evento drammatico privato sullo sfondo di grandi rivolgimenti storici, nonché l’alternarsi di scene di massa con scene di sapore intimistico, secondo una cadenza tipica.

Qui ci sono da fare alcune osservazioni.

La prima è che Verdi, non avendo evidentemente una grande dimestichezza con l’opera francese, non riesce a fondere i due piani, quello che potremmo definire privato, e quello storico. Il libretto è mediocre, scritto in un bruttissimo italiano, pieno zeppo di incongruenze nel tentativo appunto di far svolgere l’azione “privata” legandola strettamente ai fatti storici. Cammarano si è ispirato ad una tragedia francese scritta da Mery (anch’egli, fra l’altro, attivo come librettista di opere), che tuttavia non aveva una valenza storica, come invece doveva avere La battaglia di Legnano. Di qui la difficoltà a collegare i due piani. Difficoltà che, nonostante l’enorme istinto teatrale di Verdi, si è trasferita anche nella musica.

In questo caso l’alternanza di scene di massa e scene private, più che una scansione drammaturgica, si è rivelata una semplice apposizione, togliendo continuità al discorso musicale. Si potrebbe dire che l’opera, come lavoro complessivo, non sia un’opera riuscita, ma al suo interno si possono isolare spunti e quadri di notevole interesse. Fra questi, citerei la sinfonia, mentre il coro introduttivo a cappella, mi sembra alquanto convenzionale, nel suo ritmo di marcia. Da citare anche il recitativo di Linda seguito dalla cavatina di sortita e, dopo il riconoscimento di Arrigo, dalla cabaletta. In questo caso la cabaletta ha il senso drammaturgico di esprimere l’agitazione della donna. Altre cose secondo me da ricordare sono la scena del giuramento della compagnia della morte, e, soprattutto, la cosa che mi è piaciuta di più tutta la scena del congedo di Rolando dalla moglie.

Una seconda osservazione si riferisce alla mancanza di un baritono che impersona il “cattivo”. Non c’è un cattivo, ma solo una fatalità che porta alla tragedia. Il baritono non è un nemico, ma un amico fraterno di Arrigo. C’è, sì, un personaggio cattivo che fa precipitare il tutto (manco a dirlo, è un tedesco), ma è un personaggio del tutto secondario che, come funzione drammaturgica, ha unicamente quella di portare a conoscenza di Rolando gli eventi (il supposto tradimento della moglie). Quindi non c’è un vero e proprio triangolo.

Una terza osservazione riguarda il trattamento dell’orchestra in rapporto al canto. Qui l’orchestra non ha solo il ruolo di un mero accompagnamento, ma sviluppa, sia pure in modo ancora non completamente convincente, una espressività che si riferisce sia al clima storico delle masse, sia ai momenti di intimità. L’orchestra risuona con forza e a volte anche con retorica quando accompagna i grande eventi (uso degli ottoni, ritmi di marcia, sia trionfale, sia funebre), ma diventa leggera, spesso affidandosi ai legni (il corno inglese soprattutto) e all’arpa, quando esprime il dolore, la sofferenza dei protagonisti per le vicende che li vedono coinvolti.

In fine, un altro dei motivi che mi hanno reso interessante l’opera, è che Verdi vi accenna ad uno studio psicologico: abbastanza superficiale per quanto riguarda i due protagonisti maschili (Rolando e Arrigo), ma un po’ più approfondito per quanto riguarda la protagonista femminile (Lida). Qui Verdi ci mette davanti ad un personaggio che viene sconvolto dal doppio contrastante sentimento: l’amore infelice e impossibile per Arrigo (Lida si è sposata con Rolando, dal quale ha avuto un figlio, dopo avere appreso la falsa notizia della morte di Arrigo), e il dovere di sposa e soprattutto di madre. Il tradimento è in bilico, non ci sarà, ma vi sono tutte le condizioni per cui vi possa essere. Nel finale, la morte da eroe di Arrigo porta ad una specie di perdono generale, di riconoscimento dei propri torti, etc.

Una studio psicologico abbastanza simile sarà fatto su Lina, la protagonista dello Stiffelio, secondo me con maggior convinzione e maggior penetrazione.

Sull’esecuzione non posso dire molto: è la prima volta che ascolto quest’opera. La lettura che ne ha fatto Guidarini (direttore che non conoscevo) mi è sembrata abbastanza chiara e comprensibile, non cercando mai una fusione (del resto impossibile) fra i due piani, quello privato e quello storico.

Sui cantanti mi pare di essere abbastanza d’accordo con Marco. Volontè mi ha dato la sensazione di faticare nella parte acuta della tessitura, dove la voce esce piuttosto velata. Inoltre dà un’interpretazione del personaggio molto (forse troppo) sopra le righe. La Taigi ha fatto il suo lavoro con onestà. Mi piacerebbe sentire un soprano che riesca ad essere maggiormente espressivo, e magari un po’ meno drammatico (il dolore di Lida, lo immagino più forte, ma anche più interiore, rispetto a quanto espresso dalla Taigi). Maestri ha una bella voce, rotonda piena. Nella sua aria e nel duetto del congedo dalla moglie (forse la cosa più bella dell’opera) sa esprimere vera commozione. Purtroppo l’ho visto nella Traviata agli Arcimboldi, e scenicamente fra proprio l’effetto un armadio in mezzo alla scena, senza alcuna gestualità degna di nota. Mi sarebbe piaciuto sentire quale sia stato il suo comportamento sul palcoscenico del San Carlo.

Mi resta infine la curiosità e la voglia di “vedere” l’opera, nella convinzione che solo con la presenza a teatro sia possibile capire bene tutti i risvolti della sua drammaturgia e della sua musica.

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